Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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sabato 28 aprile 2018

TUTTO ACCADE – Piotr Demianovich Ouspensky




La suprema illusione dell'uomo è la sua convinzione di poter fare. Tutti pensano di poter fare, vogliono fare, e la loro prima domanda riguarda sempre ciò che dovranno fare. Ma a dire il vero, nessuno fa qualcosa e nessuno può fare qualcosa. Questa è la prima cosa che bisogna capire. Tutto accade. Tutto ciò che sopravviene nella vita di un uomo, tutto ciò che si fa attraverso di lui, tutto ciò che viene da lui — tutto questo accade. E questo capita allo stesso modo come la pioggia cade perché la temperatura si è modificata nelle regioni superiori dell'atmosfera, come la neve fonde sotto i raggi del sole, come la polvere si solleva con il vento.

P. D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Roma 1976, p. 27


sabato 29 novembre 2014

MAPPE – Mariapia Veladiano


A volte sembra sicuro fin dal nascere quale sarà il nostro andare, per viottoli stretti stretti, già da soli disegnati perché il bisogno o la malattia o il nostro nome o anche la geografia, ci hanno costretti. La nostra sorte sembra un fatto di zanzare, pozzi da scavare e qualche volta, o forse spesso, pazzi al potere. Ci sono anche strade immense, fin troppo piane e proprio per noi, ci assicurano, da altri accomodate. E anche loro non son facili da lasciare.
Capita che non ci venga in mente che si possa fare.
E allora il nostro esistere in esemplare ci dipinge deferenti a un disegno, chissà come assimilato. Figli di chi quaggiù per ventura siamo, solo questo sembra che possiamo. Poi se il cielo vuole, c'è anche un vivere di grazie, ricevute in mille forme, da chi un pozzo l'ha scavato con noi o forse senza di noi, e insieme pane e libertà sono stati conquistati. E viene il tempo in cui non sembra vero di essere stato prigioniero e non aver voluto credere che una nuova strada c'era. Anche se davvero non la si vedeva, perché così capitava, e sempre capita se vogliamo, che la strada si disegna mentre andiamo, sotto i passi che facciamo.
Un far parte della vita che amiamo. Che amiamo.
Mariapia Veladiano, Ma come tu resisti, vita, p. 118.

mercoledì 22 ottobre 2014

INSEGNARE IL FUTURO - Daniel Pennac


Io ci credevo quando i professori mi dicevano che ero un cretino e che quindi non avevo futuro. Non riuscivo a vedermi in divenire. Vivevo nel presente dell'indicativo come tanti bambini che pensano che non riusciranno mai. Si possono deprimere o darsi all'azione presente, al banditismo.
Ci si chiede perché le bande non hanno rimorsi: non è una questione morale, ma è l'abitudine di vivere al presente perché nessun adulto ti ha mai detto di non preoccuparti che prima o poi passa tutto, che il tempo scorre.
Daniel Pennac, Palermo, Teatro Massimo, 19 ottobre 2014


sabato 18 ottobre 2014

A RISVEGLIARE IL MONDO - Massimo Gramellini


... non sarebbe stata la logica dei sapienti, ma l'energia degli innamorati: gli unici ancora capaci di coniugare i verbi al futuro.

Massimo Gramellini, L'ultima riga delle favole, p. 47.

lunedì 29 settembre 2014

ECCO QUANTO SIAMO IMPORTANTI - Eckhart Tolle


Voi siete qui per consentire al divino scopo dell'universo di manifestarsi.
Ecco quanto siete importanti!
Eckhart Tolle, Il potere di Adesso


mercoledì 29 gennaio 2014

RIEMPITI GLI OCCHI DI MERAVIGLIE – Ray Bradbury


Riempiti gli occhi di meraviglie, vivi come se dovessi cadere morto fra dieci secondi!
Guarda il mondo: è più fantastico di qualunque sogno studiato e prodotto dalle più grandi fabbriche.
Non chiedere garanzie, non chiedere sicurezza economica, un siffatto animale non è mai esistito; e se ci fosse, sarebbe imparentato col pesante bradipo che se ne sta attaccato alla rovescia al ramo di un albero per tutto il santo giorno, ogni giorno, passando l'intera vita a dormire. Al diavolo - diceva il nonno - squassa l'albero e fa' che il pesante bradipo precipiti al suolo e batta per prima cosa il culo!

Ray Bradbury, Fahreneit 451, p. 186

mercoledì 14 novembre 2012

VEDERE LONTANO - Silvano Agosti



Il mio accompagnatore mi porta a casa sua, dove propone di vedere la televisione. In Kirghisia la televisione rende onore al proprio nome: televisione, vedere lontano.
Ogni televisore è collegato ad un piccolo computer, col quale è possibile allestire infiniti programmi, perché i tecnici kirghisi hanno disseminato migliaia di telecamere in tutto il Paese.
Così, ognuno può organizzare la sua trasmissione chiedendo al computer di vedere in sequenza le persone che stanno sorridendo, o collegarsi con le telecamere che stanno riprendendo giochi d’ogni sorte o punti d’incontro dove chiunque può esprimere alla televisione il proprio pensiero o la propria creatività.
“Quando il mondo vivrà come noi, si potranno finalmente vedere, in diretta, oltre alla vita stessa, spettacolo inimmaginabile e sempre nuovo, le centinaia di tramonti che avvengono sul pianeta ad ogni istante, le migrazioni degli uccelli, e gli immensi silenzi dei deserti”.
Vedremo ogni giorno in diretta centinaia di tramonti, sempre diversi, sempre magnifici.
Vi lascio, amici, con questo progetto sublime.
Un saluto emozionato.
Silvano Agosti, Lettere dalla Kirghisia, dalla Sesta lettera

mercoledì 15 agosto 2012

1. LA STORIA DI ASLAM - Greg Mortenson



Il ragazzo del K2
Quando Aslam Khan era un ragazzo, nelle strade della valle di Hushe non esistevano ancora le strade. La vita del villaggio era scandita dai ritmi di sempre: in estate, i ragazzi come lui conducevano pecore e capre in alta montagna, mentre le donne facevano lo yogurt e il formaggio. Dai pascoli più elevati si poteva vedere la montagna che loro chiamavano Chogo Ri, o “Grande Montagna”, conosciuta in tutto il mondo come K2.
In autunno, Aslam si dava il cambio con altri ragazzi del villaggio per far girare intorno a un palo una squadra di yak ansanti che, con i loro zoccoli pesanti, avrebbero trebbiato il grano appena raccolto. Per tutto il lungo inverno avrebbe fatto a gara con i suoi cinque fratelli, le tre sorelle e il bestiame di famiglia per trovare il posto caldo vicino al fuoco nei giorni più rigidi.
Questa era la vita, era così che ogni ragazzo di Hushe poteva aspettarsi di trascorrere i propri giorni. Ma Aslam era il figlio del nurmadhar di Hushe. Tutti dicevano che era il bambino più intelligente della famiglia, e suo padre Mohammed aveva altri progetti per lui.
Greg Mortenson, David Oliver Relin, Tre tazze di tè, Milano 2008, p. 297-298

lunedì 13 agosto 2012

TRE TAZZE DI TE' - Greg Mortenson



Greg Mortenson, americano appassionato di alpinismo, decide di scalare il K2 per onorare la memoria della sorella Christa, disabile, morta a soli 24 anni. Per ricordarla, Mortenson vuole tentare l’impresa di lasciare un suo braccialetto sulla cima della montagna.
Invece, si smarrisce su un ghiacciaio del Pakistan ed è costretto a tornare indietro. Viene accolto nello sperduto villaggio di Korphe, dove rimane per sette settimane, affidandosi alle cure degli abitanti.
Di nuovo in forze, lo scalatore riparte, ma promette di tornare: per sdebitarsi costruirà una scuola nel villaggio. Una promessa che lo obbligherà a mettere in gioco la sua intera vita, il lavoro, gli amici, persino la casa. Tra mille difficoltà, Mortenson è però riuscito a realizzare il suo progetto e a costruire cinquantacinque scuole, tra Pakistan e Afghanistan.
La storia vera, emozionante e avventurosa di un sogno che dimostra al mondo come la guerra alla violenza vada combattuta con il coraggio e l'impegno personale. 

CENTRAL ASIA INSTITUTE

lunedì 28 maggio 2012

GIOVENTU' LIQUIDA, Zygmunt Bauman



«Questa è la preoccupazione  maggiore. I giovani non sono stati preparati, dalla lezione di chi è più vecchio, al mondo in cui entrano. Sono cresciuti attendendosi un mondo in cui il livello raggiunto dai loro genitori dovrebbe essere solo il punto di partenza per i loro sforzi finalizzati a superare e a lasciarsi dietro gli standard di vita già raggiunti; hanno bisogno di affrontare una realtà che li costringe a difendere e ricreare il benessere che i loro genitori hanno raggiunto – un compito che loro considerano schiacciante e fuori dalla loro portata.
I lavori redditizi e la sicurezza della navigazione attraverso la vita, promessi a quanti acquisiscono le giuste credenziali educative, sono in una disponibilità scandalosamente bassa. Hanno lavorato duramente per ottenere quelle credenziali – ma per non servirsene.
Loro si confrontano con un mondo inospitale, noto per il fatto di ritirare le proprie promesse e per minacciarli invece con un futuro che non possono prevedere e tanto meno controllare».
Zygmunt Bauman, Intervista al Festival biblico 2012

sabato 26 maggio 2012

IL TIMONE AI GIOVANI - Carl Gustav Jung (1875-1961)



Nei momenti di grande instabilità e mutamento è logico che siano i giovani a prendere il timone, perché sono i giovani a possedere audacia, energia e spirito di avventura. Oltretutto è il loro futuro che è in gioco. Questo è il loro azzardo, il loro esperimento.
Altrettanto naturalmente la vecchia generazione di schiera contro, anche se l’esperienza di vita dovrebbe averle insegnato che è necessario assecondare questo inevitabile corso di eventi. La vecchia generazione ha già avuto il suo momento. E la spaccatura tra le generazioni è dovuta precisamente al fatto che la vecchia generazione non ha saputo assecondare i tempi e, anziché prevederla, si è lasciata sopraffare dalla tempesta della nuova èra.
Carl Gustav Jung, in Jung parla

giovedì 17 maggio 2012

TROVATE UNA VOCAZIONE - Jonathan Haidt



Trovate una vocazione, rilancia Jonathan Haidt, professore di psicologia all’università della Virginia. «Lavorate di meno, guadagnate di meno, accumulate di meno e dedicate invece più tempo alla famiglia, alle vacanze o altre attività gradevoli. Perseguite i vostri obiettivi ma ricordate: ciò che conta è il cammino, non il risultato. Se il lavoro che svolgete non ha nulla a che vedere con la vostra vocazione, perché non tentate di impostarlo in modo che vi appaia qualcosa di più di un semplice stipendio a fine mese? Se non ce la fate, cercatevi un impegno appagante al di fuori dell’ambito lavorativo. In campo religioso, sociale o politico. Trovate attività che sappiano coinvolgere pienamente la vostra attenzione: cantare in coro, dipingere, praticare sport. Solo così vi sentirete 'in sintonia' con voi stessi. Tutti abbiamo necessità di dare e ricevere amore, di impegnarci e di sentirci collegati a qualcosa di più grande di noi. Create le condizioni ideali e abbiate pazienza».

Hannah Booth

lunedì 9 aprile 2012

IL VINO NEL VASO PIENO - Autore anonimo

Installazione a Figueres (Spagna 2010)
Un professore, all'inizio della sua lezione di filosofia, senza dire niente prese un grande vaso vuoto e lo riempì di palline da golf. Quindi chiese agli allievi se il vaso fosse pieno. Tutti i ragazzi confermarono che era pieno.
Allora  il professore  prese una scatola di ciottoli e li versò  nel vaso. Poi agitò leggermente il vaso. I ciottoli rotolarono negli spazi liberi  fra le palline da golf. Chiese di nuovo agli allievi se il vaso fosse pieno. Loro di nuovo assentirono.
Il professore prese allora una scatola di sabbia e la versò nel vaso, riempiendolo fino all'orlo. Chiese ancora una volta  se il vaso fosse pieno. Gli allievi risposero con un unanime "sì".
Il professore allora tirò fuori  due bicchieri di vino da sotto il tavolo e versò l'intero contenuto nel vaso. A quel punto gli allievi scoppiarono a ridere.
Quando le risate furono terminate, il professore disse: "Ora, io vorrei che  consideraste questo vaso come la vostra vita. Le palline da golf sono le cose importanti come la vostra famiglia, i vostri bambini, la vostra salute, i vostri amici e i vostri hobby, cose che se tutto andasse  perso e soltanto loro rimanessero, le vostre vite  comunque sarebbero ancora piene. I ciottoli sono le altre cose che importano come il vostro lavoro, la vostra casa. La sabbia è tutto il resto, le piccole cose di tutti i giorni. Se mettete la sabbia nel vaso per prima, non ci rimane spazio per i ciottoli o le palline da golf. Lo stesso vale per la vita. Se spendete tutto il vostro tempo ed energia sulle stupidaggini, non avrete mai spazio  per le cose che sono veramente importanti. Prestate attenzione alle cose che sono critiche per la vostra felicità. Giocate con i vostri bambini; trovate il tempo per  i controlli medici; fate una passeggiata; portate il vostro partner a cena fuori. Ci sarà sempre tempo di pulire la casa e riparare gli apparecchi rotti. Prendetevi cura delle palline da golf in primo luogo, le cose che realmente importano. Stabilite le vostre priorità. Il resto è solo sabbia!” 
Uno degli allievi sollevò  la  mano per domandare che cosa rappresentasse il vino. Il professore  sorrise: "Sono contento che tu me lo abbia chiesto. Serve a dimostrare  che per quanto possa sembrare piena la tua vita, c'è sempre spazio per un bicchiere di vino con un amico...”
Autore anonimo

sabato 17 marzo 2012

SORAPIS, 40 ANNI FA - Eugenio Montale

Lago delle Buse, Passo Manghen (2006)

Non ho mai amato molto la montagna
e detesto le Alpi. Le Ande, le Cordigliere
non le ho vedute mai. Pure la Sierra
de Guadarrama mi ha rapito, dolce
com'è l'ascesa e in vetta daini, cervi
secondo le notizie dei dépliants turistici.
Solo l'elettrica aria dell'Engadina
ci vinse, mio insettino, ma non si era
tanto ricchi da dirci hic manebimus.
Tra i laghi solo quello di Sorapis
fu la grande scoperta. C'era la solitudine
delle marmotte più udite che intraviste
e l'aria dei Celesti; ma quale strada
per accedervi? Dapprima la percorsi
da solo per vedere se i tuoi occhietti
potevano addentrarsi tra cunicoli
zigzaganti tra le lastre alte di ghiaccio.
E fu lunga! Confortata solo
nel primo tratto, in folti di conifere,
dallo squillo d'allarme delle ghiandaie.
Poi ti guidai tenendoti per mano
fino alla cima, una capanna vuota.
Fu quello il nostro lago, poche spanne d'acqua,
due vite troppo giovani per essere vecchie,
e troppo vecchie per sentirsi giovani.
Scoprimmo allora che cos'è l'età.
Non ha nulla a che fare con il tempo, è qualcosa che dice
che ci fa dire siamo qui, è un miracolo
che non si può ripetere. Al confronto
la gioventù è il più vile degl'inganni.

Eugenio Montale, Diario del ’71 e del ’72, Milano 1973, p. 115-116

sabato 4 febbraio 2012

GLI DEI HANNO DISPOSTO MEGLIO - Seneca


Sia che tu voglia osservare gli altri, le cui vicende riusciamo a giudicare più liberamente, sia che voglia osservare te stesso con ogni imparzialità, comprenderai e confesserai che in tutti gli oggetti desiderabili e cari non c’è alcuna utilità se non ti sei premunito contro l’incostanza della sorte e degli eventi che ne seguono; se, in tutte le traversie, non sei pronto a ripetere senza lamenti: “Gli dèi hanno disposto diversamente”. Anzi, ti voglio suggerire una formula più efficace e più giusta per sostenere meglio il tuo spirito. Tutte le volte che l’evento sarà contrario alla tua attesa, dì: “Gli dèi hanno disposto meglio”.
Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio

lunedì 30 gennaio 2012

TECLA - Italo Calvino


Chi arriva a Tecla, poco vede della città, dietro gli steccati di tavole, i ripari di tela di sacco, le impalcature, le armature metalliche, i ponti di legno sospesi a funi o sostenuti da cavalletti, le scale a pioli, i tralicci. Alla domanda: – Perché la costruzione di Tecla continua così a lungo? – gli abitanti senza smettere d’issare secchi, di calare fili a piombo, di muovere in su e giù lunghi pennelli. – Perché non cominci la distruzione, – rispondono. E richiesti se temono che appena tolte le impalcature la città cominci a sgretolarsi e a andare in pezzi, soggiungono in fretta, sottovoce: – Non soltanto la città.
Se, insoddisfatto delle risposte, qualcuno applica l’occhio alla fessura d’una staccionata, vede gru che tirano su altre gru, incastellature che rivestono altre incastellature, travi che puntellano altre travi. – Che senso ha il vostro costruire? – domanda. – Qual è il fine d’una città in costruzione se non una città? Dov’è il piano che seguite, il progetto?
– Te lo mostreremo appena terminata la giornata; ora non possiamo interrompere, – rispondono.
Il lavoro cessa al tramonto. Scende la notte sul cantiere. È una notte stellata. – Ecco il progetto, – dicono.

Italo Calvino, Le città invisibili, p. 134

domenica 1 gennaio 2012

LA MAGNIFICENZA DELLA VITA - Daisaku Ikeda


Oggi, ancora una volta, decido di dedicare la mia vita alla pace.
Di essere così forte che nulla possa alterare la pace del mio spirito.
Di trasmettere salute, gioia e speranza a ogni persona che incontro.
Di far sentire ai miei amici che c’è qualcosa di buono e di magnifico in loro stessi.
Di guardare il lato positivo in ogni cosa e di essere ottimista nella vita.
Di pensare solo al meglio.
Di sfidarmi ad agire e di mirare al meglio.
Di essere felice della riuscita degli altri come se fosse la mia.
Di non scordare gli errori del passato e di avanzare risolutamente per ottenere i migliori risultati nel futuro.
Di dedicare così tanto tempo a migliorarmi, da non averne più per criticare gli altri.
Di essere troppo forte per la paura, troppo nobile per la collera, troppo felice per l’inquietudine.
Di approfondire la fede e la conoscenza di me ogni giorno, così da veder chiaro il cammino da seguire nella vita.

Daisaku Ikeda

giovedì 15 dicembre 2011

I TRE SPACCAPIETRE - Bruno Ferrero


Durante il Medioevo, un pellegrino aveva fatto voto di raggiungere un lontano santuario, come si usava a quei tempi.
Dopo alcuni giorni di cammino, si trovò a passare per una stradina che si inerpicava per il fianco desolato di una collina brulla e bruciata dal sole. Sul sentiero spalancavano la bocca grigia tante cave di pietra. Qua e là degli uomini, seduti per terra, scalpellavano grossi frammenti di roccia per ricavare degli squadrati blocchi di pietra da costruzione.
Il pellegrino si avvicinò al primo degli uomini. Lo guardò con compassione. Polvere e sudore lo rendevano irriconoscibile, negli occhi feriti dalla polvere di pietra si leggeva una fatica terribile. Il suo braccio sembrava una cosa unica con il pesante martello che continuava a sollevare ed abbattere ritmicamente. "Che cosa fai?", chiese il pellegrino.
"Non lo vedi?" rispose l'uomo, sgarbato, senza neanche sollevare il capo. "Mi sto ammazzando di fatica".
Il pellegrino non disse nulla e riprese il cammino. S'imbatté presto in un secondo spaccapietre. Era altrettanto stanco, ferito, impolverato. "Che cosa fai?", chiese anche a lui, il pellegrino.
"Non lo vedi? Lavoro da mattino a sera per mantenere mia moglie e i miei bambini", rispose l'uomo.
In silenzio, il pellegrino riprese a camminare. Giunse quasi in cima alla collina. Là c'era un terzo spaccapietre. Era mortalmente affaticato, come gli altri. Aveva anche lui una crosta di polvere e sudore sul volto, ma gli occhi feriti dalle schegge di pietra avevano una strana serenità. "Che cosa fai?", chiese il pellegrino.
"Non lo vedi?", rispose l'uomo, sorridendo con fierezza. "Sto costruendo una cattedrale".
E con il braccio indicò la valle dove si stava innalzando una grande costruzione, ricca di colonne, di archi e di ardite guglie di pietra grigia, puntate verso il cielo.
Bruno Ferrero

martedì 6 dicembre 2011

LO SGUARDO RETROSPETTIVO – Arthur Schopenhauer

Come un operaio che coopera alla costruzione di un edificio non conosce il progetto nell’insieme o comunque non ce l’ha sempre presente, così si comporta l’uomo che fila uno per uno i giorni e le ore della sua vita nei confronti dell’insieme di quella stessa vita e del suo carattere.
Quanto più degno, ispirato a valori, coerente e personale è questo carattere, tanto più è necessario e utile che egli guardi di tanto in tanto la pianta generale, il progetto. Naturalmente è anche necessario che sia stato introdotto al principio del “conosci te stesso”, e dunque sappia ciò che veramente e prima di tutto vuole, ossia la condizione primaria della sua felicità, e quindi quello che viene al secondo e al terzo posto; come pure che riconosca quale sia in linea di principio la sua vocazione, il suo ruolo nel mondo e il suo rapporto con se stesso. Se tutto questo corrisponde a qualcosa di significativo e di rilevante, allora la vista dello schema della sua vita lo rafforzerà e lo rinfrescherà più di ogni altra cosa, gli darà entusiasmo e incoraggiamento ad agire e lo tratterrà dal prendere strade sbagliate.
Come il viandante, solo quando è arrivato su un’altura domina con lo sguardo la via percorsa, riconoscendone tutte le curve e le svolte, così noi solo alla fine di un periodo della nostra vita, o addirittura al suo termine, identifichiamo il vero nesso delle nostre azioni, delle nostre prestazioni e delle nostre opere, la loro esatta consequenzialità e concatenazione, persino il loro stesso valore. Perché fin tanto che vi siamo implicati, noi agiamo sempre secondo le qualità del nostro carattere, sotto l’influsso di varie motivazioni e secondo le nostre facoltà. Siamo dunque sempre condizionati dalla necessità, perché in ogni momento facciamo semplicemente ciò che ci sembra giusto e opportuno. Solo l’esito finale rivela che cosa abbiamo raggiunto, e lo sguardo retrospettivo all’intero schema ci mostra il come e il perché. Per questo, mentre compiamo le imprese più grandiose e creiamo opere immortali, non ne siamo consapevoli, ma sappiamo solo di fare qualcosa che corrisponde ai nostri scopi attuali, alle nostre intenzioni del momento, qualcosa dunque che – in quel momento – è giusto. Ma solo guardando l’insieme, nella sua completa articolazione, scopriremo in seguito il nostro carattere e le nostre capacità. Nel caso singolo, vediamo spesso che abbiamo preso l’unica via giusta, tra mille sbagliate, come per ispirazione, guidati dal nostro genio tutelare. Tutto questo vale nel campo teorico come in quello pratico, e, inversamente, per i cattivi risultati e per gli insuccessi.
Arthur Schopenhauer, Consigli sulla felicità

mercoledì 30 novembre 2011

UNIRE I PUNTINI - Steve Jobs



Nel giugno del 2005 Steve Jobs, cofondatore di Apple, venne invitato a tenere un discorso ai laureandi dell'Università di Stanford.
Sono onorato di essere qui con voi oggi alle vostre lauree in una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato. Anzi, per dire la verità, questa è la cosa più vicina a una laurea che mi sia mai capitata.
Oggi voglio raccontarvi tre storie della mia vita. Tutto qui, niente di eccezionale: solo tre storie.
La prima storia: unire i puntini
La prima storia è su una cosa che io chiamo ‘unire i puntini’ di una vita. Quand’ero ragazzo, ho abbandonato l’università, il Reed College, dopo il primo semestre. Ho continuato a seguire alcuni corsi informalmente per un altro anno e mezzo, poi me ne sono andato del tutto. Perché l’ho fatto? E' iniziato tutto prima che nascessi. La mia mamma biologica era una giovane studentessa universitaria non sposata e quando rimase incinta decise di darmi in adozione. Voleva assolutamente che io fossi adottato da una coppia di laureati e fece in modo che tutto fosse organizzato per farmi adottare sin dalla nascita da un avvocato e sua moglie. Però, quando arrivai io, questa coppia – all’ultimo minuto – disse che voleva adottare una femmina. Così, quelli che poi sarebbero diventati i miei genitori adottivi, e che erano al secondo posto nella lista d’attesa, ricevettero una chiamata nel bel mezzo della notte che gli diceva: “C’è un bambino, un maschietto, non previsto. Lo volete?”. Loro risposero: “Certamente!”. Più tardi la mia mamma biologica scoprì che questa coppia non era laureata: la donna non aveva mai finito il college e l’uomo non si era nemmeno diplomato al liceo. Allora la mia mamma biologica si rifiutò di firmare le ultime carte per l’adozione. Poi accettò di farlo, mesi dopo, solo quando i miei genitori adottivi promisero formalmente che un giorno io sarei andato al college. Questo è stato l’inizio della mia vita.
Così, come stabilito, parecchi anni dopo, nel 1972, andai al college. Ma ingenuamente ne scelsi uno troppo costoso e tutti i risparmi dei miei genitori finirono per pagarmi l’ammissione e i corsi. Dopo sei mesi non riuscivo a trovarci nessuna vera opportunità. Non avevo idea di quello che avrei voluto fare della mia vita e non vedevo come il college potesse aiutarmi a capirlo. Eppure ero là che spendevo tutti quei soldi che i miei genitori avevano messo da parte lavorando per tutta una vita.
Così decisi di mollare e di avere fiducia, che tutto sarebbe andato bene lo stesso.
Era molto difficile all’epoca, ma guardandomi indietro ritengo che sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso in vita mia.
Nel momento in cui abbandonai il college, smisi di seguire i corsi che non mi interessavano e cominciai invece a entrare nelle classi che trovavo più interessanti.
Non è stato tutto rose e fiori, però. Non avevo più una camera nel dormitorio, ed ero costretto a dormire sul pavimento delle camere dei miei amici. Guadagnavo soldi riportando al venditore le bottiglie di Coca-Cola vuote per avere i cinque centesimi di deposito e potermi comprare da mangiare. Una volta la settimana, alla domenica sera, camminavo per sette miglia attraverso la città per avere finalmente un buon pasto al tempio degli Hare Krishna: l’unico della settimana. Ma tutto quel che ho trovato seguendo la mia curiosità e la mia intuizione è risultato essere senza prezzo, dopo. Vi faccio subito un esempio.
Il Reed College all’epoca offriva probabilmente i migliori corsi di calligrafia del Paese. In tutto il campus ogni poster, ogni etichetta, ogni cartello era scritto a mano con calligrafie meravigliose. Dato che avevo mollato i corsi ufficiali, decisi che avrei seguito la classe di calligrafia per imparare a scrivere così. Fu lì che imparai i caratteri con e senza le ‘grazie’, capii la differenza tra gli spazi che dividono le differenti combinazioni di lettere, compresi che cosa rende grande una stampa tipografica del testo. Fu meraviglioso, in un modo che la scienza non è in grado di offrire, perché era bello, ma anche artistico, storico, e io ne fui assolutamente affascinato.
Nessuna di queste cose, però, aveva alcuna speranza di trovare un’applicazione pratica nella mia vita. Ma poi, dieci anni dopo, quando ci trovammo a progettare il primo Macintosh, mi tornò tutto utile. E lo utilizzammo per il Mac. È stato il primo computer dotato di capacità tipografiche evolute. Se non avessi lasciato i corsi ufficiali e non avessi poi partecipato a quel singolo corso, il Mac non avrebbe probabilmente mai avuto la possibilità di gestire caratteri differenti o spaziati in maniera proporzionale. E dato che Windows ha copiato il Mac, è probabile che non ci sarebbe stato nessun personal computer con quelle capacità. Se non avessi mollato il college, non sarei mai riuscito a frequentare quel corso di calligrafia e i personal computer potrebbero non avere quelle stupende capacità di tipografia che invece hanno. Certamente, all’epoca in cui ero al college era impossibile per me ‘unire i puntini’ guardando il futuro. Ma è diventato molto, molto chiaro dieci anni dopo, quando ho potuto guardare all’indietro.
Insomma, non è possibile ‘unire i puntini’ guardando avanti; si può unirli solo dopo, guardandoci all’indietro. Così, bisogna aver sempre fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire. Bisogna credere in qualcosa: il nostro ombelico, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Perché credere che alla fine i puntini si uniranno ci darà la fiducia necessaria per seguire il nostro cuore anche quando questo ci porterà lontano dalle strade più sicure e scontate, e farà la differenza nella nostra vita. Questo approccio non mi ha mai lasciato a piedi e, invece, ha sempre fatto la differenza nella mia vita.
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