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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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mercoledì 29 giugno 2016

LA BUONA SCUOLA E’ SENZA CIRCOLARI 3/4 – Giorgio Israel (1945-2015)


Ma è ancor più indicativo della situazione, guardare al merito di quel che il ministero fa piovere sulle scuole con le sue circolari. Limitiamoci a un solo esempio: la certificazione delle competenze per la scuola primaria e il primo ciclo. Lasciando perdere le elefantiache linee guida, diamo un’occhiata al modello di certificazione.
La prima cosa che colpisce è che gli unici livelli di competenza ammessi sono quattro: avanzato, intermedio, base, iniziale. Quest’ultimo significa: «L’alunno/a, se opportunamente guidato/a, svolge compiti semplici in situazioni note». In altri termini, l’insufficienza è abolita per decreto: non esiste chi non possa conseguire un livello “iniziale”.
Chi conosca un minimo la cucina del pedagogismo costruttivista sa che una simile bizzarra visione corrisponde all’idea di una scuola imperniata sull’idea del “successo formativo garantito”. Trattasi di una visione discutibile, e mai discussa e approvata formalmente in alcuna sede. È un autentico abuso che essa passi coercitivamente attraverso circolari.
Quando poi si passa all’osservazione del merito delle competenze c’è da trasecolare. Tra le competenze sociali e civiche spicca la capacità di «collaborare per la costruzione del bene comune» e l’«osservanza di un sano e corretto stile di vita». Ma chi, e con quale diritto può definire per decreto cosa sia «il bene comune» e un «sano e corretto stile di vita»?
Concediamo che il liberalismo espresso nel celebre aforisma di John Stuart Mill – «ciascuno è l’unico autentico guardiano della propria salute sia fisica sia mentale e spirituale» – sia invecchiato. Ma qui siamo fuori da ogni liberalismo, per entrare in un dirigismo che evoca forme di gestione totalitaria degli individui. Che dire poi, quando nelle competenze del primo ciclo si prescrive al soggetto «attenzione per le funzioni pubbliche alle quali partecipa», persino nelle «occasioni rituali nelle comunità che frequenta». In sostanza, il ministero s’impiccia che lo studente osservi rispettosamente il catechismo (cattolico), o altri sistemi rituali se di altra religione… Ogni commento dovrebbe essere superfluo.
Giorgio Israel, Blog di Giorgio Israel, 20 giugno 2015


sabato 23 aprile 2016

45. RIFLESSIONI AL MARGINE DEL BONUS PREMIALE PER I DOCENTI - Francesco Callegari


AVVERTENZE D’USO

Se dovessimo descrivere la Scuola italiana, come del resto tutta la nostra società,  ci affideremmo per lo più a termini quantitativi e declineremmo la situazione attuale attraverso numeri e indici, rilevazioni e statistiche, voti e punteggi. Questa esasperata attenzione alla quantità sottintende la semplicistica, se non erronea convinzione, che la quantità rispecchi la qualità. D’altra parte, la difficoltà di tener conto di tutto ciò che non è riconducibile alla quantità, ha portato nel tempo all’idea che la realtà stessa abbia valore solo se può essere misurata.

IL TEMA DELLA QUALITA’

Giorno dopo giorno, mi convinco però sempre più che una scuola di qualità non è tanto quella descritta attraverso i numeri, quanto quella basata sui principi e costruita intorno alle relazioni. E’ nella relazione con la terra che il principio vitale contenuto nel seme germoglia, e la ghianda diventa quercia; è nella relazione con il “maestro” che avviene nell’allievo il miracolo della crescita e dell’apprendimento; è abitando in prima persona la relazione che noi adulti possiamo essere esempio di pace e di convivenza civile per le future generazioni. Possiamo avere in classe i computer più potenti, le lavagne interattive più sofisticate, le tecnologie più avanzate, ma bambini e ragazzi potranno trovare nutrimento per la loro crescita solo vivendo la giornata scolastica con insegnanti in grado di accoglierli e ascoltarli. Possiamo avere i docenti più preparati nella loro disciplina, ma, se non sanno costruire relazioni, questa organizzazione a legami deboli diventa un’orchestra di violini senza corde.
Per questo, vorrei che nella nostra scuola fossero cablati i cuori, prima che i computer.

IL MOMENTO DELLA QUANTITA’

Ora, con la distribuzione del bonus premiale, è richiesto di assegnare una determinata quantità (di denaro) a una certa qualità (di prestazione), forzando in tal modo un’operazione tra unità di misura differenti. Già nel 1945, il filosofo francese René Guénon ci metteva in guardia contro le illusioni della statistica:
Le statistiche consistono soltanto nel contare un numero più o meno grande di fatti, supposti tutti completamente simili tra loro, ché, diversamente, la loro somma non avrebbe significato alcuno; ed è evidente che a questo modo si ottiene soltanto un’immagine della realtà tanto più deformata quanto più i fatti in questione non sono effettivamente simili e paragonabili che in misura minima, cioè quanto più considerevoli sono l’importanza e la complessità degli elementi qualitativi che essi implicano”.
Siamo coscienti di questo pericolo, ma siamo d’altronde anche convinti di dover trovare il modo più consono per rispettare il senso della legge. Questa necessità, comporta almeno tre difficoltà di cui dobbiamo essere consapevoli.
Prima difficoltà: la reale conoscenza. Il direttore di una filiale di banca è senza dubbio in grado di valutare l’impegno, la produttività e la disponibilità degli impiegati con i quali lavora fianco a fianco ogni giorno. Nella nostra organizzazione, il lavoro è spesso distribuito su diverse sedi operative, dislocate su un territorio anche vasto e per la maggior parte lontane dalla presidenza. Non è facile, per un dirigente scolastico, conoscere a fondo il lavoro quotidiano di centinaia di docenti in Istituti come i nostri, che hanno ormai raggiunto le dimensioni e la complessità di una media azienda. E, il cielo non voglia, in Istituti dove ci rechiamo come reggenti solo un paio di giorni la settimana.  
Seconda difficoltà: la reale oggettività. Non è nel nostro mandato elargire discrezionalmente denaro al pari del privato datore di lavoro: ciò che amministriamo non fa infatti  parte del nostro patrimonio personale, bensì appartiene al contribuente italiano.
Terza difficoltà: il reale funzionamento. La salvaguardia delle relazioni è fondamentale all’interno di un’organizzazione complessa come la scuola dove i legami sono talmente deboli da rendere sempre precaria la tenuta del sistema. Nessuna azione del dirigente deve far sorgere il sospetto che si stia guardando il dito e non la luna. E’ necessario operare sempre con grande sensibilità e intelligenza al fine di mantenere tutti uniti nel cammino verso gli obiettivi comuni.

L’ANELLO DI CONGIUNZIONE

Il ponte tra il versante della qualità e quello della quantità potrebbe essere individuato nel Piano di miglioramento, già condiviso in Collegio dei docenti. Il Piano potrebbe effettivamente rappresentare lo strumento di traduzione del linguaggio qualitativo, delineato nelle Linee di indirizzo del dirigente scolastico, nel linguaggio quantitativo, vale a dire negli obiettivi che la scuola si propone di conseguire attraverso le azioni concrete previste nel Piano triennale dell’offerta formativa.
Le Linee di indirizzo (sul versante della qualità), e il Piano triennale dell’offerta formativa (su quello della quantità), diventano così i confini di coerenza entro cui il scorre il fiume dei criteri, “stringenti, puntuali, rilevabili, misurabili, valutabili”, individuati dal Comitato. Sta a ciascuno di noi far sì che l’acqua di questo fiume scorra non per fare danni, ma per dissetare e irrigare. 

Francesco Callegari

giovedì 16 ottobre 2014

SE DESIDERI UNA COSA - Massimo Gramellini


Se desideri una cosa e pensi veramente di meritartela, smetti di chiederti perché gli altri non te la danno. Alzati e vai a prenderla.

Massimo Gramellini, L'ultima riga delle favole, p. 69

giovedì 9 ottobre 2014

SCUOLA: DISONORE AL MERITO (4) – Ernesto Galli Della Loggia


Ecco dunque le premesse per il mostriciattolo escogitato: manteniamo il criterio del merito, certo, come no? - hanno deciso a viale Trastevere - ma gli diamo una veste per così dire oggettiva, indiscutibile. 
D'ora in avanti il merito del singolo docente sarà misurato sulla quantità di ore supplementari, rispetto al normale lavoro scolastico, in cui egli accetterà di impegnarsi. 
Non importa se poi in queste ore si dimostrerà un genio o un incapace, se saprà dare qualcosa in più all'istruzione dei suoi allievi e all'istituzione scolastica o scalderà la sedia dietro la cattedra.
Risultato prevedibile? Tutti gli insegnanti che potranno e vorranno, faranno il supplemento d'orario: e quindi saranno tutti meritevoli!
Ma di un merito che si chiama così solo in Italia: altrove si chiama cottimo.
Ernesto Galli Della Loggia, “Style, mensile del Corriere della Sera”, Ottobre 2014

Fine dell’articolo

mercoledì 8 ottobre 2014

SCUOLA: DISONORE AL MERITO (3) – Ernesto Galli Della Loggia


Dunque il merito individuale mai!
Non basta: chi accerterà tale merito individuale?
Un dirigente scolastico? Il ministero? Chi? Un'autorità? Nuovo moto di orrore dell'ideologia italo-sindacale: infatti non devono esistere autorità, non deve esserci nessuno sul luogo di lavoro con il potere di giudicare capacità e rendimento di qualcun altro!
Insomma il povero ministro Giannini e i suoi collaboratori si sono trovati davanti alla quadratura del cerchio: introdurre nella scuola il merito, come richiesto a gran voce dall'opinione pubblica in nome dell'interesse generale, ma rispettando i tabù del sindacato, non urtando la suscettibilità dei vari Camusso e Bonanni e delle loro burocrazie parassitarie.
Ernesto Galli Della Loggia, “Style, mensile del Corriere della Sera”, Ottobre 2014

L’articolo continua domani…

martedì 7 ottobre 2014

SCUOLA: DISONORE AL MERITO (2) – Ernesto Galli Della Loggia


Introdurre il criterio del merito significa per forza accertare le qualità/capacità delle persone singole, non è possibile altrimenti.
Il singolo? Le sue capacità individuali? Ma è inaudito! Esclama però a questo punto con un moto di orrore quella che ho chiamato l'ideologia italiana, rappresentata al suo meglio dall'ideologia del sindacato del pubblico impiego, deciso da tempo a guadagnarsi la palma di nemico numero uno del futuro del Paese.
Se infatti si mettono in primo piano le capacità individuali, si rompe il feticcio dell'assoluta unitarietà della categoria. E così s'incrina automaticamente il vero pilastro della forza del sindacato (e dunque si lede l'interesse dei suoi funzionari pagati con le quote degli iscritti), forza che ha il suo simbolo, per l'appunto, nello stipendio eguale per tutti e nell'anzianità come unico criterio della carriera.
Ernesto Galli Della Loggia, “Style, mensile del Corriere della Sera”, Ottobre 2014

L’articolo continua domani…

lunedì 6 ottobre 2014

SCUOLA: DISONORE AL MERITO (1) – Ernesto Galli Della Loggia


Come si misura il merito?
Sulla necessità di introdurne dosi massicce nella pubblica amministrazione oggi sembrano essere tutti d'accordo in Italia, ma appena si comincia a discutere nello specifico come misurarlo, appunto allora tutto si annebbia, e ciò che in linea di principio era dato per assodato viene smentito nei fatti.
Ne è una prova il progetto studiato dal Ministero dell'Istruzione allo scopo, precisamente, di introdurre (alla buon'ora!) una valutazione di merito degli insegnanti in modo da iniziare a stabilirne, a seconda dei casi, gli avanzamenti nella carriera e quindi la retribuzione.
Ma è a questo punto che il ministro Stefania Giannini si deve essere trovata davanti in tutta la loro forza intimidatrice alcuni dei più radicati tabù dell'ideologia italiana.
Infatti, per quanti salti mortali si possano fare, il merito ha questa ineliminabile peculiarità: se esso deve avere una conseguenza sulla carriera e sulla retribuzione del singolo, che sono entrambi fatti individuali, non può che essere legato alla condotta di quel singolo individuo.
Ernesto Galli Della Loggia, “Style, mensile del Corriere della Sera”, Ottobre 2014

L’articolo continua domani…

giovedì 24 aprile 2014

TANTI PICCOLI ZIO GIOVANNI - Attilio Pirillo


Ci sono nella vita una moltitudine di piccoli zio Giovanni che con le loro mani, i loro gesti e il loro pensiero rendono la vita delle persone che incontrano più accettabile, riparando quotidianamente ciò che altri uomini o la natura hanno rotto.
La moltitudine di tutti questi zio Giovanni è la vera forza dell'uomo e ciò che ci fa andare avanti nonostante tutto. Costoro non hanno bisogno di riconoscimenti formali né di scalare il potere all'interno della società né di accumulare ricchezze, perché sono coscienti che anche i loro più piccoli gesti spingono il mondo in una direzione migliore.
Buona Pasqua a Lei e a tutti i piccoli e grandi zio Giovanni che quotidianamente ci danno la certezza di essere nel giusto.
Attilio Pirillo, medico


martedì 20 dicembre 2011

LA MONETA FALSA - Charles Baudelaire


Mentre ci allontanavamo dalla tabaccheria, il mio amico fece una diligente selezione dei suoi spiccioli; nella tasca sinistra del panciotto introdusse alcune monetine d’oro; nella destra, qualche monetina d’argento; nella tasca sinistra dei calzoni, una abbondante manciata di soldoni, e nella destra, infine, una moneta d’argento da due franchi che aveva particolarmente esaminata.
«Singolare e minuziosa divisione!», osservai fra me.
Incontrammo un mendicante, che tese verso di noi il berretto, tremando. – Nulla conosco di più inquietante della muta eloquenza di quegli occhi supplichevoli, che contengono a un tempo, per l’uomo sensibile che sa leggervi, tanta umiltà e tanti rimproveri. Egli vi trova qualcosa che s’avvicina a quella profondità di complicato sentimento ch’è negli occhi lagrimanti dei cani frustati.
L’elemosina del mio amico fu assai più considerevole della mia, ed io gli dissi: «Avete ragione; dopo il piacere di rimaner sorpresi, non ve n’è alcuno maggiore di quello di produrre una sorpresa». – «Era la moneta falsa», egli mi rispose tranquillamente, come per giustificarsi della sua prodigalità.
Ma nel mio miserabile cervello, sempre intento a cercare l’assurdo (di quale estenuante facoltà mi ha fatto dono la natura!) entrò subitamente l’idea che un tal modo d’agire da parte del mio amico non fosse scusabile se non col desiderio di creare un avvenimento nella vita di quel povero diavolo, e fors’anche di sapere quali conseguenze diverse, funeste o no, possa produrre una moneta falsa in mano a un mendicante. Non poteva essa moltiplicarsi in monete buone? Non poteva anche condurlo in prigione? Un oste, un fornaio, per esempio, lo avrebbe forse fatto arrestare come falsario o come spacciatore di valuta falsa. O forse quella moneta sarebbe stata, per un povero piccolo speculatore, il germe di una ricchezza di pochi giorni. E così la mia fantasia galoppava, prestando le ali alla mente del mio amico e traendo tutte le deduzioni possibili da tutte le ipotesi possibili.
Ma l’amico troncò bruscamente la mia fantasticheria, riprendendo la mie stesse parole: «Sì, avete ragione; non c’è piacere più dolce di quello di cagionare sorpresa a un uomo donandogli più di quanto non speri».
Lo guardai nel bianco degli occhi e fui spaventato al vedere che quegli occhi brillavano di un incontestabile candore. Vidi allora chiaramente che aveva voluto fare, ad un tempo, la carità e un buon affare; guadagnarsi quaranta soldi e il cuore di Dio; portar via il paradiso a buon mercato; e infine pigliarsi senza spesa una patente d’uomo caritatevole. Gli avrei quasi perdonato il desiderio del delittuoso piacere di cui poco prima lo avevo supposto capace; mi sarebbe sembrato strano e singolare che si divertisse a compromettere i poveri; ma non gli perdonerò mai la meschinità del suo calcolo. Non si è mai scusabili d’esser malvagi, ma c’è un po’ di merito nel sapere che si è tali; e il più irreparabile dei vizi è quello di commettere il male per stupidità.
Charles Baudelaire, da Lo spleen di Parigi, in Opere, dall’Oglio, Milano 1965.

giovedì 9 dicembre 2010

ROVESCIARE DON MILANI - Marcello Veneziani

Anche se parla con parole che toccano il cuore e stimolano la mente, non tutti la pensano come Domenico Starnone. E allora credo sia giusto dare voce anche a coloro che propongono idee dissonanti, elaborano pensieri sferzanti, seguono strade desuete rispetto alla nostra sensibilità. Persone con le quali possiamo anche non essere d’accordo, ma che rispettiamo sino in fondo perché siamo convinti che le loro posizioni siano dettate dalla più assoluta buona fede e perché solamente una riflessione senza pregiudizi ci può condurre un poco alla volta a trovare il “nostro” pensiero, la “nostra” idea su un determinato argomento.
Marcello Veneziani, giornalista, propone una lettura diversa rispetto a quella di Domenico Starnone, individuando nella pedagogia di don Lorenzo Milani le cause remote del marasma e del disorientamento in cui oggi la scuola vive. Il brano che segue è tratto dal libro: Rovesciare il ’68, scritto da Marcello Veneziani un paio d’anni fa.

Morì un anno prima che scoppiasse il 68, ma ne fu un appassionato precursore. Don Lorenzo Milani fu il mistico affondatore della scuola italiana. Il parroco della Barbiana con la sua celebrata Lettera a una professoressa, voleva cambiare radicalmente e generosamente la scuola, ma contribuì a distruggerla. Don Milani merita il rispetto che si deve agli idealisti in buona fede; ma insieme merita la diffidenza che si deve al devastante idealismo. Pie intenzioni e disastrosi effetti.
Tutti idealisti, in buona fede, convinti di liberare l'umanità e migliorarla. Tra questi spicca don Milani. Che per giunta era prete, applicava la carità, si dedicava ai ragazzi con tutto il cuore, agiva nella Firenze dei La Pira, padre Balducci e padre Turoldo, ed è morto pure giovane. Lasciando a noi posteri i danni bestiali della sua sublime utopia. Don Milani sognava una scuola non dei ricchi ma di tutti, con il professore uguale ai suoi alunni, dialogante, senza bocciature né autorità, perché "l'obbedienza non è una virtù". Don Milani delineò il modello della scuola assembleare e finse persino di aver scritto la sua lettera-libro insieme ai ragazzi, che in realtà assentivano soltanto. Nobili propositi, ma poi vennero gli esiti. La scuola che non premia i meriti e le capacità, che non seleziona e non è fondata sull'autorevolezza del docente, prepara sempre meno alla vita, non educa, non migliora; non produce alunni più liberi e uguali ma più bulli e prepotenti. È una scuola che non ha ridotto le distanze tra ricchi e poveri ma le ha ingigantite. Non a caso prima del 68 gran parte dei benestanti mandavano ancora i loro figli nelle scuole pubbliche; ora invece li mandano alle private. Compresi gli estimatori di don Milani: i loro figli vanno al college, non si confondono con plebaglia e gli immigrati.
"La selezione è un peccato contro Dio e contro gli uomini" scrisse don Milani; una bestialità che ha distrutto la scuola mentre i ragazzi si allontanavano da Dio e dagli altri uomini. La selezione non era classista ma al contrario faceva saltare le classi sociali perché faceva risaltare le capacità personali, il valore del singolo rispetto alla provenienza e all'appartenenza. Se togli i meriti restano il censo e quel che ti dà la famiglia. Al mio liceo il preside era figlio di contadini e da ragazzo faceva il contadino pure lui; e il professore di lettere era figlio di trovatelli. Con la loro tenacia e le loro capacità si erano fatti strada; il latino per loro non era una forma di oppressione di classe, come sostenevano i seguaci di Don Milani, ma una leva per emanciparsi, persino un mezzo di rivalsa rispetto ai ricchi, pigri e viziati, che non erano abituati ai sacrifici. La selezione dei più bravi aveva permesso il loro riscatto sociale.
La fine delle bocciature ha coinciso con la fine della meritocrazia; così si va avanti più di ieri per affiliazione, se si è figli o protetti dai potenti.
La brutta scuola d'oggi è figlia dei begli ideali di ieri.

Marcello Veneziani, Rovesciare il ’68, Mondadori, Milano 2008, p. 41-43.

martedì 30 novembre 2010

IL PEGGIO E IL MEGLIO DELLA SCUOLA - Domenico Starnone


La scuola peggiore si limita ad individuare capacità e meriti fin troppo evidenti; la scuola migliore scopre capacità e meriti lì dove sembrava che non ce ne fossero.
La scuola peggiore è quella che esclama: "meno male, ne abbiamo bocciati 7, finalmente abbiamo una bella classetta"; la scuola migliore è quella che dice: "che bella classe! non ne abbiamo perso nemmeno uno".
La scuola peggiore è quella che dice: "qui si parla solo se interrogati"; la scuola migliore è quella che dice: "qui si impara a fare domande".
La scuola peggiore è quella che dice: c'è chi è nato per zappare e chi è nato per studiare"; la scuola migliore è quella che dimostra che questa è un'idea veramente stupida.
La scuola peggiore è quella che prefersice il facile al difficile; la scuola migliore è quella che alla noia del facile oppone la passione del difficile.
La scuola peggiore è quella che dice: "ho insegnato matematica io? sì; la sai la matematica tu? no: 3, al posto"; la scuola migliore è quella che dice: "mettiamoci comodi e vediamo dove abbiamo sbagliato".
La scuola peggiore è quella che dice: "tutto quello che impari deve quadrare con l'unica vera religione, quella che ti insegno io"; la scuola migliore è quella che dice: "qui si impara solo a usare la testa".
La scuola peggiore rispedisce in strada chi doveva essere tolto dalla strada e dalle camorre; la scuola migliore va in strada a riprendersi chi le è stato tolto.
La scuola peggiore dice: "ah, com'era bello quando i professori erano rispettati, facevano lezione in santa pace, promuovevano il figlio del dottore e bocciavano il figlio dell'operaio"; la scuola migliore se li ricorda bene quei tempi e lavora perché non tornino più.
La scuola peggiore è quella in cui essere assenti è meglio che essere presenti; la scuola migliore è quella in cui essere presenti è meglio che essere assenti.


Rai Tre, "Vieni via con me", 29 novembre 2010

lunedì 19 novembre 2007

6. IL FUMO E LA PREGHIERA - Francesco Callegari

L’anello più debole è anche il più forte: spezza la catena
Stanislaw J. Lec

Due uomini di chiesa discutevano se fosse lecito pregare e fumare allo stesso tempo. L’uno credeva di sì, l’altro era di parere contrario. Così ambedue decisero di scrivere al Papa per ottenere una risposta definitiva. Fatto questo, si incontrarono nuovamente per comunicarsi a vicenda i risultati. E si stupirono nello scoprire che il Papa era d’accordo con tutti e due. “Come hai formulato il quesito?” domandò il primo. L’altro rispose: “Gli ho chiesto se fosse lecito fumare mentre si prega. Sua Santità ha detto di no, perché la preghiera è una cosa molto seria. E tu come hai formulato il quesito?” Il primo replicò: “Ho chiesto se fosse lecito pregare mentre si fuma. E Sua Santità mi ha risposto di sì, perché la preghiera si accompagna bene con qualsiasi cosa” [1].
La morale di questo aneddoto è, naturalmente, che il modo in cui vengono formulate le domande determina le risposte che si ricevono. Ma dimostra anche che le parole hanno una loro forza rispetto al contesto in cui vengono pronunciate.
Come ogni organizzazione, anche la scuola ha le proprie liturgie e i propri riti: uno di questi è il consiglio di classe con i genitori. Partecipando negli anni, anche come genitore, ai consigli di classe mi sono reso conto che le frasi pronunciate in quella occasione ricalcano quasi sempre e dappertutto gli stessi schemi. I docenti sanno di doverle recitare, i genitori sanno di doverle ascoltare. Pur avendo sempre a che fare con classi diverse, le parole di rito sono pressappoco le stesse: “la classe non si impegna abbastanza”, “la disciplina lascia ancora a desiderare”, “i ragazzi non stanno attenti”, “si dimostrano poco interessati”, “non sono autonomi”, “non hanno ancora acquisito un efficace metodo di studio” …
Quasi un mantra depotenziato, una carica disinnescata che lascia insoddisfatti sia chi parla e sia chi ascolta. Perché lo sappiamo tutti benissimo che l’impegno o l’autonomia dei ragazzi non migliorano miracolosamente solo per il fatto di averlo richiesto a due o tre rappresentanti dei genitori. All’altare della partecipazione bruciamo parole il cui fumo non raggiunge alcuna divinità: una preghiera persa. Ma le parole hanno una loro forza e pronunciate in quella occasione si possono rivelare un boomerang nei confronti di chi l’interesse ha il compito di suscitarlo, il metodo di studio deve insegnarlo, l’attenzione deve catturarla.
Parole come impegno, autonomia, interesse sono campi da arare per avere frutti da raccogliere. Non possiamo presentarli ai genitori come campi incolti, perché non è vero che lo siano. Ci lavoriamo con fatica ogni giorno e ogni giorno ne raccogliamo i frutti. Altrimenti avremmo già cambiato mestiere. E allora facciamolo capire ai genitori: diciamo ad alta voce che i loro figli sono cresciuti anche grazie al nostro lavoro, che hanno appreso cose che prima non conoscevano, che ora sanno fare cose che prima non sapevano fare. Perché questa è la verità. Se diciamo che i ragazzi non hanno ancora imparato un metodo di studio, i genitori giustamente vi chiederanno: “ma chi glielo deve insegnare questo metodo di studio se non il professore?”, “chi li deve interessare questi ragazzi se non il docente che spiega?”.
Come possiamo allora comunicare in maniera efficace, senza apparire autocelebrativi e offrendo nel contempo ai genitori lo stimolo per partecipare attivamente a questa grande avventura che è la formazione dei loro figli?
Dopo aver parlato di queste cose con alcuni di voi, una docente mi si è avvicinata e mi ha detto: “Un ragazzo interrogato non ha saputo rispondere a nessuna delle domande su un argomento che il pomeriggio precedente lo aveva visto studiare a casa per due ore. Allora io ho preso lo stesso argomento e mi sono messa a studiarlo ad alta voce, mentre la classe mi ascoltava. Dopo dieci minuti di questa dimostrazione ho interrogato lo stesso ragazzo che ha saputo rispondere benissimo a tutto”. Questo è il lavoro che voi fate in classe ogni giorno, e questo è ciò che dobbiamo dire ai genitori, magari perché lo facciano anche loro a casa. Certo, ci sarà qualche allievo refrattario, ma questo è normale e il vostro lavoro non ne viene complessivamente inficiato.
La parola non è solo strumento di comunicazione, ma può diventare strumento di modificazione della realtà: introdurre un nuovo linguaggio può aiutare a sviluppare una nuova lettura di un fenomeno, di una situazione, di un problema. Qualche giorno fa, ho partecipato a un seminario di formazione organizzato dal ministero della Giustizia in collaborazione con il nostro ministero. La giornata di studio era rivolta alla polizia penitenziaria e ai docenti che operano negli istituti di pena del Veneto. La relatrice era una formatrice molto preparata: con la sua società tiene corsi per varie amministrazioni dello Stato e anche per i funzionari della Rai. Il suo intervento a Padova era centrato su come lavorare nel gruppo in maniera efficace. (Mi permetto di allegarvi la sintesi della relazione, perché ritengo molto interessanti gli suoi stimoli proposti anche in vista della costruzione del nuovo istituto comprensivo). In particolare sono stato colpito dal modo in cui la dr.ssa Devanna usava certe parole. Vi faccio solo un esempio che ci potrebbe servire con i genitori, ma non solo con loro. Noi di solito parliamo di punti di forza e di punti di debolezza o di criticità, lei invece parlava sempre di punti di forza e di aree di miglioramento, sottolineando in questo modo i traguardi già raggiunti e la prospettiva immediata verso cui tendere con il nostro lavoro. Mi sembra un suggerimento intelligente anche per la nostra comunicazione.    
Sono certo che voi accoglierete le mie parole come dettate dalla stima e dal grande affetto che nutro per ciascuno di voi
                                                                                                      Francesco Callegari
Dirigente Scolastico


[1] N. Postman, Provocazioni, Armando, Roma 1989, p. 35.
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