Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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martedì 1 maggio 2018

TUTTE LE COSE SONO COLLEGATE - Piotr Demianovich Ouspensky



Cercate di, capire quel che dico: tutto dipende da tutto, tutte le cose sono collegate, non vi è niente di separato. Tutti gli avvenimenti seguono dunque il solo cammino che possono prendere. Se le persone potessero cambiare, tutto potrebbe cambiare. Ma esse sono quelle che sono, e di conseguenza le cose, anche esse sono quelle che sono.
P. D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Roma 1976, p. 28


mercoledì 25 aprile 2018

APPARTENENZA – Giovanna Ferrari



Nessuno ci appartiene, eppure è il senso di appartenenza che ci fa sentire vivi.
Per non appartenere, ma sentire appagato quel bisogno, bastano alcuni indizi.
Sentirsi in pace tra le braccia di chi è presente a se stesso e a te.
Poter stare in silenzio e percepire piena intimità.
Poter parlare senza paura di ferire.
Avere fiducia nella libertà dei sentimenti.
Perché è nella libertà che non si perde nessuno.

Giovanna Ferrari


venerdì 20 aprile 2018

CON LEGGEREZZA, IN PUNTA DI PIEDI - Aldous Huxley




Con leggerezza, bimba, con leggerezza. Devi imparare a fare ogni cosa con leggerezza. Pensa con leggerezza, agisci con leggerezza, senti con leggerezza. Sì, senti con leggerezza, anche quando stai sentendo profondamente. Lascia che le cose accadano con leggerezza, e con leggerezza affrontale.
[…]
Getta via, dunque, tutto il tuo bagaglio e procedi. Ci sono sabbie mobili tutto intorno a te, che ti risucchiano i piedi, che cercano di inghiottirti nella paura, nell’autocompatimento, nella disperazione. Ecco perché devi camminare con tanta leggerezza. Con leggerezza, tesoro mio. In punta di piedi, e senza bagagli; senza neppure la borsa per la spugna. Completamente libera…

Aldous Huxley, L’isola

domenica 15 aprile 2018

ANTICA BENEDIZIONE



Ho liberato i miei genitori dalla sensazione di avere fallito con me.
Ho liberato i miei figli dal mio bisogno di essere orgogliosa di loro, affinché possano scrivere e percorrere le loro vie secondo i loro cuori, che sussurrano tutto il tempo alle loro orecchie.
Ho liberato il mio uomo dall'obbligo di completarlo e di completarmi. Non mi manca niente, e ogni giorno imparo qualcosa, insieme a tutti gli esseri, sia da quelli che mi piacciono e sia quelli che non mi piacciono.
Ringrazio i miei nonni e gli antenati che si sono uniti affinché io oggi respiri la Vita. Li libero dai fallimenti del loro passato e dai desideri che non hanno portato a compimento. Sono consapevole che hanno fatto del loro meglio per risolvere i problemi nel momento in cui li stavano vivendo. Li onoro, li amo e li riconosco innocenti.
Io mi spoglio davanti ai vostri occhi, affinché sappiate che nulla nascondo e che desidero essere fedele solo a me stessa e alla mia esistenza. Camminando con la saggezza del cuore, sono consapevole che il mio unico dovere è perseguire il mio progetto di vita, libera da legami familiari invisibili e visibili che possano turbare la mia pace e felicità. Queste sono le mie uniche responsabilità.
Rinuncio al ruolo di Salvatrice, di essere colei che unisce o soddisfa le aspettative degli altri. Benedico la mia essenza e il mio modo di esprimerla attraverso, e soltanto attraverso, l’amore, anche se qualcuno potrebbe non capirmi.
Capisco me stessa, perché solo io ho vissuto e sperimentato la mia storia; perché mi conosco, so chi sono, quello che sento, quello che faccio e perché lo faccio. Mi rispetto e mi approvo.
Onoro il divino che è in me e che è in te. E che ci rende liberi.

Antica Benedizione dedicata alla dea IxChel e tradotta e adattata dalla lingua Nahuatl parlata, a partire dal VII secolo, nella Regione Centrale del Messico.


venerdì 20 gennaio 2017

DOPO LA CAMPANA DI VETRO – Lisa Cannella


Ho letto con molta attenzione il suo ultimo post e non posso che condividerne ogni singola parola. La scuola da anni è incatenata, imbavagliata, messa di continuo sotto la lente di ingrandimento, ostacolata dai genitori e dai nuovi "cattivi maestri".
A mio parere la causa di questa situazione è una soltanto: esiste un "sistema" politico, sociale, commerciale che vuole le nuove generazione ignoranti e impaurite, altrimenti le masse non sarebbero più controllabili. Far vivere i ragazzi sotto un' inutile, quanto mai opportuna, campana di vetro conviene a questo "sistema" che non vuole lo sviluppo di una capacità critica, lo sviluppo del vivere civile, aggregato, inclusivo . Dividere le persone, alimentare la cultura del sospetto è il veleno che serpeggia in ogni ambiente. 
In questo scenario notevolmente desolante, sono fermamente convinta che solo la cultura ci possa "salvare" e la scuola deve continuare a farsi carico di questa battaglia. Forse la vera sfida della scuola è rendere i ragazzi consapevoli di essere uomini e donne liberi, capaci di autodeterminare le loro scelte, capaci di ponderare con saggezza e audacia ogni singolo gesto. Il coraggio della vera libertà romperà le campane di vetro, dell'ignoranza, dell'omertà, del falso perbenismo.
Oggi è anche il giorno dell'Epifania e nell'epoca dei "selfie" non è facile capirne la logica ... oggi è la manifestazione del volto "di un altro", il volto di un bambino adagiato sulla mangiatoia, l'unico volto che può raccontarci il nostro, dirci chi siamo e liberarci dalle nostre paure: per porsi davanti quel volto ci vuole coraggio, perché dobbiamo abbandonarci rinunciando ad ogni più piccola resistenza.
Fino a quando la nostra Società e in particolare la "civilissima" Europa continueranno a mettere in disparte il bambino adagiato sulla mangiatoia, non vedo margini di crescita, di dialogo, di speranza, di coraggio, di A-more.
L'augurio per questo nuovo anno è che tutti, in modo particolare le giovani generazioni, possono ritrovare quei principi umani e civili smarriti da tempo e che si faccia della cultura, quella vera, lo strumento per uscire dalle sabbie mobili in cui siamo precipitati.

Lisa Cannella

lunedì 16 gennaio 2017

DOPO LA CAMPANA DI VETRO – Patrizia Malachin


Al di là della perfezione, ci sentiamo tutti vuoti, perché avremmo bisogno di uno piccolo spazio  intermedio per far fluire la fantasia, le idee e soprattutto la "libertà" per dar vita alla spontaneità, all'istintività, alla creatività.
Se si perde di mira il grande l'obiettivo di educare, a scapito della sicurezza e della responsabilità e a fronte di non incappare in errori e rischi, allora non si sta lavorando per amore e passione, ma si sta bivaccando.
Il più grande errore che possa commettere un educatore è deludere il proprio educando.

Patrizia Malachin

venerdì 6 gennaio 2017

LA CAMPANA DI VETRO - Francesco Callegari


Ormai faccio parte della Terza età. Me ne sono reso conto all’improvviso, quando Trenitalia, nel farmi gli auguri per i miei sessant’anni, mi ha graziosamente fatto notare che da quel momento avrei avuto diritto agli sconti per i miei viaggi in treno. La benefica scossa mi ha stimolato a ripensare al film della mia vita. E di questo film, mi piacerebbe scorrere assieme a voi alcuni fotogrammi: ai vecchi, si sa, è concessa qualche libertà.
Ho lavorato nella scuola per tanto tempo. Ho cominciato come supplente, nei primi anni Ottanta e mi ricordo di avere passato più tempo fuori, all’aria aperta, con le mie classi, nei prati, nelle cascine e sotto gli alberi, che tra le mura dell’aula. Un anno, a Bevadoro, abbiamo perfino invitato a scuola il casaro e fatto bollire in cortile non so quanti litri di latte per poi fare il formaggio tenero e fresco che abbiamo mangiato lì, tutti insieme spensieratamente. Si lavorava molto, ma nella letizia e senza tante ansie, nella fiducia e nel rispetto da parte delle famiglie.
Tutto era vissuto all’interno del sogno dell’avventura educativa, nell’entusiasmo di una gioventù che non era soltanto anagrafica, ma che rispecchiava anche il fiorire di una società inserita in un mondo aperto a tante opportunità. E ciascuno si sentiva “respons-abile”, cioè in grado e in dovere di rispondere per quanto gli competeva alla costruzione di quel mondo. In tutti si faceva tutto: insegnanti pieni di voglia di sperimentare, famiglie che collaboravano fiduciose, ragazzi che a scuola venivano anche per stare insieme ai loro compagni e, perché no, pure per litigarci, salvo poi trovare sempre il modo di riappacificarsi, anche senza l’intervento degli adulti.
E’ stata una stagione straordinaria, un modo di fare scuola che è ancora nel cuore di chi l’ha vissuto, ma che oggi non è più ripetibile.
Mi sono chiesto cosa sia cambiato nella società per portarci a perdere la freschezza e la spontaneità di quegli anni e ho provato a darmi delle risposte. Sono sicuramente risposte parziali, risposte che vogliono soltanto fotografare la realtà dal mio punto di vista, senza la minima presunzione di volerla giudicare o la pretesa di cambiarla.
La risposta immediata che mi sembra possa spiegare questo profondo cambiamento sta nella diversa sensibilità che oggi la società presenta nell’ambito della responsabilità personale e in quello della sicurezza. Per quanto riguarda la prima, vedo persone sempre più preoccupate nel cercare al di fuori di sé la causa di ciò che gli succede, con la conseguente necessità di trovare in ogni caso qualcuno su cui scaricare la responsabilità dei loro guai. Per quanto riguarda la sicurezza, noto che, almeno nella scuola, questo tema è diventato talmente pressante, da soffocare qualsiasi anelito al rischio e all’avventura.
In definitiva, è la paura, il sentimento che ci sta attanagliando: la paura di perdere quello che abbiamo, sia esso qualcosa o qualcuno. Dalla paura primordiale di perdere la vita, fioriscono e trovano alimento tutte le nostre paure quotidiane: la paura di non essere amati; la paura dello sconosciuto e del diverso; la paura dell’incontro e quella dello scontro; la paura del nuovo e dell’incontrollabile; la paura di fidarci e di restare delusi; la paura di essere lasciati soli e quella di non essere riconosciuti; la paura di affidare a qualcuno i nostri beni, i nostri figli …
Solo chi si fida non ha paura.
Questa, a mio parere, è la grande perdita della nostra società: la perdita della fiducia. E in questo clima generale, le famiglie non fanno eccezione: ci consegnano i loro figli, ma anche ce li “af-fidano”?
Se la nostra preoccupazione come scuola è sempre stata, nel passato, quella di offrire ai ragazzi le più varie opportunità di crescita, anche cimentandosi in nuove esperienze e sperimentazioni manuali, ora il nostro primo pensiero e le nostre maggiori energie vanno a salvaguardarne l’incolumità, evitando tutte quelle attività che potrebbero, anche solo lontanamente o ipoteticamente, comportare un rischio.
L’azione educativa della scuola è storicamente legata alle esigenze e alle aspettative della società che la progetta, e che la finanzia. Anche se, personalmente, ritengo questa scelta pericolosa e molto limitante, non posso che farmene una ragione e accettare questo vincolo. L’atto educativo che si realizza nelle nostre scuole è pertanto curvato sul profilo e sulle esigenze della società che abbiamo oggi, com’è andata delineandosi in questi anni.
Naturalmente, nessuno mette in discussione l’importanza dell’incolumità psicofisica dell’alunno, ma forse ci si dimentica che crescere comporta necessariamente dei rischi. Soprattutto nel caso di bambini e ragazzi che trovano il loro modo di apprendere sperimentandosi quotidianamente nel rapporto con i compagni e con l’ambiente che li circonda. Quale libertà educativa può prendersi e dare una scuola che viene minacciata di denunce per il solo fatto che il figlio arriva a casa graffiato da un compagno? Come possiamo pretendere che i docenti lavorino bene con l’angoscia continua di ricevere le lettere dagli avvocati e di essere chiamati in giudizio per qualsiasi litigio tra coetanei? In diverse scuole italiane sta capitando proprio questo.
E’ necessario, a questo punto, che anche le famiglie comprendano come sia necessario trovare un equilibrio tra il nostro compito di educatori e quello di custodi/sorveglianti, nella piena consapevolezza che è certamente indispensabile mettere in atto tutte le strategie per ridurre i rischi, ma anche nella serena accettazione che stiamo vivendo in un mondo in cui non è possibile bandire del tutto il pericolo e solo una campana di vetro potrebbe eliminare il rischio della “collisione educativa”.
Personalmente, credo che il ragazzo cresca meglio in un ambiente dove sente di essere circondato da persone che gli danno fiducia e dove sa di poter sempre contare su una base sicura in caso di bisogno. E quando dico sempre, intendo proprio “sempre”, in ogni momento della giornata e ovunque egli si trovi.
Siamo arrivati a parlare di fiducia e di libertà, due doni che rendono preziosa la vita di ciascuno, sia esso uomo o donna, bambino o adulto, genitore o insegnante.
All’inizio di ogni anno ci si augura salute e ricchezza. Io auguro a tutti noi di riuscire a rompere la nostra campana per essere pervasi dalla luce e dalla forza che solo la reciproca fiducia può darci.
Correremo dei rischi, ma saremo tutti più ricchi e più felici.
Buon anno

Francesco Callegari

6 gennaio 2017

venerdì 24 giugno 2016

RIDURRE L’ENFASI SUI RISULTATI – Marco Orsi


L’enfasi sui risultati, la pressione sui bambini e sui ragazzi è lo specchio di un modello scolastico improntato alla dipendenza e alla passività.  Questa non è propriamente la strada per il tanto invocato apprendere ad apprendere, per l’acquisizione delle competenze, che è poi il cammino per incoraggiare i bambini ed i ragazzi ad essere protagonisti, in prima persona, della propria biografia. 
Così la scuola, anche se dichiara il contrario, si è strutturata secondo questo fiume carsico del potere dell’adulto che condiziona e plasma un modello pedagogico poco rispettoso, un’educazione depositaria direbbe P. Freire, incapace di incentrarsi su quell’ospitalità dell’ambiente formativo che fa sentire accolti e riconosciuti nella propria originalità, che sa attivare cooperazione,  che mette in grado di sollecitare l’esplorazione.
Tanta irrequietezza, demotivazione, disinteresse dei ragazzi e dei bambini, il famoso mal di scuola, ha la sua radice nel non riconoscimento di un’ambiguità che fa sì che la società adulta, e in particolare la scuola, ricerchi anche se ufficialmente si dice il contrario, il loro adattamento piuttosto che la loro libertà. 
Con Hannah Arendt viene da dire che la società ha paura della novità, vale a dire dei soggetti giovani, che in quanto nuovi nati  sono portatori di un inedito, che se accolto ci scompagina e ci rende insicuri.  Può essere allora che la scuola, magari in modo sotterraneo e sofisticato, visto che i metodi repressivi di una volta non sono più di moda, si strutturi più per delimitare, costringere, adattare, in luogo di ricercare la libertà, l’espressione di ciascuno, la cooperazione e la comunità? 
La scommessa della visione che il progetto Senza Zaino tenta di realizzare è forse condensata qui nel prendere il largo per provare nuove strade che pure sono vecchie.  C’è qui ancora tutta una tradizione che va da Rousseau a Pestalozzi, da Dewey a Montessori, da Freinet a Claparede, da Piaget e da Bruner e a Gardner che attende ancora un pieno compimento.
Marco Orsi, A scuola senza zaino, Erickson, Trento 2006


mercoledì 4 maggio 2016

ASCOLTA CON TUTTO IL TUO ESSERE - Jiddu Krishnamurti (1895-1986)


Ho l'impressione che tanto l'atto di imparare, quanto l'atto di ascoltare ci risultino straordinariamente difficili. Noi non ascoltiamo mai veramente, perché la nostra mente non è libera; le nostre orecchie sono imbottite di tutta la conoscenza che portiamo sempre con noi, così ascoltare diventa straordinariamente difficile.
Penso - anzi, è un fatto - che se potessimo ascoltare con tutto il nostro essere, con una vigorosa vitalità, allora l'atto di ascoltare diverrebbe un fattore di liberazione. Ma sfortunatamente voi non ascoltate, perché non avete mai imparato a farlo.
In fondo, potete imparare qualcosa solo quando vi impegnate con tutto il vostro essere. Imparate la matematica solo quando vi ci dedicate totalmente; ma se vivete in uno stato di contraddizione, cioè se venite forzati ad imparare mentre non avete alcuna intenzione di farlo, allora l'imparare si riduce ad un vuoto processo di accumulazione.
Jiddu Krishnamurti


martedì 3 maggio 2016

IL VERO ASCOLTO PORTA CON SE’ LA LIBERTA’ - Jiddu Krishnamurti (1895-1986)


L'atto di ascoltare è completo in se stesso; il semplice atto di ascoltare porta con sé la libertà. Ma a voi interessa veramente ascoltare? Oppure quello che vi importa è intervenire per tentare di modificare la confusione che vi portate dentro?
Se ascoltaste... cioè se vi rendeste conto delle vostre contraddizioni, dei vostri conflitti, senza preoccuparvi di costringerli a entrare in un particolare schema di pensiero, forse questi finirebbero.
Vedete, noi stiamo sempre cercando di essere qualcosa, di raggiungere uno stato particolare; vorremmo fare determinate esperienze ed evitarne accuratamente altre. Ma in questo modo la nostra mente rimane sempre occupata, non è mai tranquilla, non è mai in grado di ascoltare il rumore delle sue lotte e delle sue pene.
Siate semplici... non cercate di diventare qualcosa o di aggrapparvi a qualche esperienza.
Jiddu Krishnamurti


sabato 5 dicembre 2015

SOLO UNA SCUOLA DAVVERO LIBERA – Mariapia Veladiano


Solo una scuola davvero libera può educare alla convivenza
Proibire d'autorità i presepi a scuola è insensato tanto quanto imporli e infatti non c'è circolare, programma ministeriale o linea guida del Miur che lo faccia.
Questo vuol dire che le scuole, sulle scelte didattiche che toccano situazioni sensibili in cui sono in gioco le identità, le appartenenze, il mobile confine fra discriminazione e accoglienza, sono, grazie alla nostra splendida Costituzione, libere. Proprio libere. Libere di proporre e trovare insieme a tutte le componenti della scuola, cioè i ragazzi, i genitori, i docenti, il modo più adatto a costruire la convivenza nelle scuole. Di fare il presepe oppure no.
Quel che capita oggi nelle scuole è un miracolo perché malgrado i tagli di organico, per cui da anni sono state annientate le compresenze necessarie non solo all'integrazione degli alunni immigrati, ma anche al recupero degli italianissimi nostri studenti che arrivano da situazione di svantaggio culturale e sociale, malgrado questo la scuola riesce ad essere quell'ormai unico laboratorio di convivenza che impedisce alla società presente e futura di esplodere.
Chi si è riconosciuto amico sui banchi di scuola non si fa la guerra a vent'anni o trent'anni.
Bene, questo lavoro richiede sapienza, lettura della realtà concreta delle classi, dei genitori, alleanza con il territorio (Comuni, sindaci e servizi). Questo lavoro la scuola lo fa ogni giorno, un miracolo di intrecci e alleanze che non sono buonismo ma sapienza e anche buon senso. È un volare altissimo con mezzi limitati e professionalità infinita.
Nel mentre che un preside o due finiscono a luccicare per un momento sui blog, loro malgrado o forse anche no, a combattere o sostenere il presepio a volte con motivazioni sorprendentemente extrascolastiche, l'acrobatico miracolo di tenuta della scuola va avanti, nella discrezione necessaria al dialogo.
È insensato pensare che un preside vada assunto o licenziato in funzione del suo essere obbediente agli interessi politici di un assessore regionale di turno, o di un sindaco che minaccia controlli sulle attività natalizie delle scuole. Un delirio che confonde competenze, nasconde opportunismi politici tanto malinconici quanto pericolosi perché insabbiano lo spirito critico, la paziente fatica di comprendere i fenomeni.
I presidi buoni sono quelli nelle cui scuole l'integrazione funziona attraverso scelte pedagogiche nate dalle condizioni oggettive della realtà scolastica. Un quarto di quanti cercano rifugio in Europa sono bambini, il 9% dei nostri studenti ha cittadinanza non italiana, ma in molte scuole sono il 50%, e più. Non ci sono due classi uguali, due studenti uguali, due situazioni uguali.
È sbagliato non permettere il presepio a scuola quando il presepio è parte integrante di un percorso scolastico riconosciuto da genitori e bambini, fatto proprio grazie ad appuntamenti negli anni attesi, con il corredo di canzoni e di doni scambiati con le famiglie, il concerto organizzato dopo aver scelto canti e poesie con la prudenza di chi conosce ambiente, persone, storia dei luoghi. E la prudenza non è debolezza, è forza che sa tenere insieme quel che siamo e si apre a quel che riconosciamo diverso ma parte della nostra comune umanità.
Di sicuro però sono altrettanto sbagliate e indecenti le maleparole pelose con cui ci si appropria della profondità di una tradizione cristiana per usarla come una clava demagogica con cui nutrire i propri interessi politici e tentare di stordire la nostra intelligenza.
Mariapia Veladiano, “la Repubblica” del 30 novembre 2015


giovedì 22 ottobre 2015

PARVENZE DI LIBERTA’ - Francesco Callegari


Cara Patrizia, ho l'impressione che la società non vada nella direzione che noi auspichiamo. E me ne dispiace, ma dobbiamo anche tenere presente che, come ogni ciclo, anche questo vedrà la propria fine. Tutto ciò che sta succedendo intorno a noi e nel resto del mondo indica come si stia andando progressivamente (e qui si vede come la parola "progresso" assuma un significato nefasto) verso una drammatica esasperazione di toni, tipica da fine impero. Tutti cercano di trattenere con i denti e le unghie quella parvenza di libertà e di benessere che è tanto più fasulla quanto più è basata su conquiste materiali. Quali saranno i barbari che porranno fine alla nostra civiltà?
Francesco Callegari



sabato 25 luglio 2015

L’ALBERO DI CACHI – Padre Luciano Mazzocchi


Alcuni anni fa nel nostro giardino abbiamo trapiantato un alberello di cachi. A questo alberello devo un insegnamento importante che voglio condividere con gli amici, soprattutto con quelli ancora giovani come il nostro alberello.
Al sopraggiungere della primavera, l'alberello di cachi improvvisa una inflorescenza pallida, quasi impercettibile, tanto umile se paragonata a quella vistosa del melo o del ciliegio. Come gli esili fiori cadono, ecco comparire tanti e tanti minuscoli cachi verdi, incoronati da delle alette a forma di stella. Questi piccoli cachi, come perle verdi, trapuntano i rami dell'albero. Nel frattempo anche le foglie si fanno robuste e sfoggiano un verde intenso. Queste fanno la guardia ai minuscoli frutti che di giorno in giorno vanno crescendo.
In autunno, a frutti maturi, le foglie decorandosi di venature gialle e rosse faranno ritorno a casa, alla madre terra che le aveva generate. Adesso, invece, sono all'opera, vigorose, imperterrite anche di fronte alla siccità di questi giorni.
Il nostro alberello, dal suo trapianto nel nostro giardino, ha compiuto solo cinque anni ed è ancora adolescente; tuttavia i suoi rami stanno gestendo centinaia di piccoli frutti. Di tutti questi forse solo una decima parte giungerà a maturazione. Ogni giorno l'albero madre ne lascia cadere una decina, forse una ventina. Cadono anche senza che il vento soffi. Sono caduti l'anno scorso, anno di piogge continue. Cadono quest'anno, anno di siccità. L'anno scorso fu la prima volta che constatai il fenomeno, e sulle prime mi prese il timore che l'alberello avrebbe lasciato cadere tutti i suoi frutti, uno dopo l'altro, deludendo la mia attesa. Invece, già l'anno scorso, che fu il primo del suo rendimento, ci maturò tanti succosissimi cachi da saziare la voracità degli abitanti del giardino, degli uccelli in primis e poi degli esseri umani.
Sempre rievocando l'anno scorso, fu una mattina di metà agosto che constatai che l'alberello di cachi all'improvviso non aveva lasciato cadere più alcun piccolo frutto. Osservai quelli che teneva ancora sui rami e vidi che erano tutti di un bel colore verde, come conviene ai frutti ancora acerbi. Mi prese la voglia di contarli: alcune decine. Da allora non ne cadde più nemmeno uno. In ottobre, uno dopo l'altro, si offrirono a deliziare prima gli uccelli e poi anche gli esseri umani.
Come l'anno scorso, anche quest'anno nel mese di luglio il terreno sotto l'alberello si cosparge ogni giorno di minuscoli cachi, staccatisi dal ramo. Alcuni sono verdognoli, altri un po' ingialliti. Nella mia istintività ne ho addentato uno, dal colore giallo paglia. Disgustosissimo: né acerbo, né dolce. Sapore inqualificabile! Ci voleva anche questa sciocca esperienza per prepararmi ad apprendere la lezione che l'albero madre di cachi intende darmi.
Come l'anno scorso, anche quest'anno un bel giorno l'alberello cesserà di lasciar cadere i piccoli frutti. Sarà quando nella sua sapienza avrà verificato di aver mollato quanto gli è di sovrappiù. Quindi, con tutte le sue forze porterà a maturazione la porzione giusta, quella che corrisponde alle sue energie. In ottobre ci offrirà, a noi esseri umani e agli uccelli, i suoi cachi maturi, panciuti di delizioso nettare.
Ed ora, con parole mie, interpreto la lezione ricevuta dall'alberello madre, che voglio condividere con gli amici, soprattutto con gli amici giovani. La preziosa lezione è questa: liberandosi dal sovrappiù si matura a essere se stessi. La via della libertà non è aggiungersi delle cose, ma è liberarsi dalle cose.
L'alberello, senza rimpianto alcuno, ha restituito alla terra madre la maggior parte dei frutti che aveva concepito sui suoi rami. Tra i frutti concepiti ha riconosciuto quelli meno consistenti, che tendevano a maturare troppo presto, quelli che non ci stavano a maturare pazientemente nel tempo. E li ha lasciati cadere. L'albero stesso aveva percepito che non ce l'avrebbe fatta a maturarli tutti. Quindi li sacrificò, senza rammarico. Eppure, anche loro ci volevano per poter discernere liberamente quali trattenere e quali lasciar cadere.
Senza il passaggio del discernimento non matura nulla, ma tutto rimane mediocre, trascinato, pesante. Dopo tutto, i frutti restituiti senza averli maturati sono il grazie dell'albero alla madre terra. Sono anche la prova della signorilità dell'albero, che rimane identico alla sua portata, senza eccedere oltre. Nemmeno se l'albero vicino, forse con alcuni anni in più, sfoggia una produzione maggiore. Restituisce i frutti in sovrappiù, affinché nella grande trasformazione la terra li porti a maturare altrimenti.
La punta di diamante della lezione è proprio questa: la vera libertà non è quella di ghermire qualcosa in più, ma è quella di sacrificare i tanti qualcosa in più che ci tiriamo dietro. Michelangelo ha scolpito il Davide togliendo, non aggiungendo.
Sì, si diventa liberi e forti spogliandosi. E, meraviglia, spogliandosi ciascuno scopre quel qualcosa che è proprio suo, la sua identità. Nessuno può amare fino in fondo ciò che non gli è intimo. Non si può amare il sovrappiù, perché il sovrappiù sovrasta il proprio vigore, inaridisce la propria radice. Il sovrappiù appiattisce, squalifica. Eppure il sovrappiù ci voleva, per snellire la nostra coscienza a discernere cosa mollare e cosa conservare. Il discernere è la prima libertà, è la prima maturazione.
I cachi che maturano al loro delizioso sapore, così apprezzato dagli uccelli e dagli esseri umani, non hanno fretta di maturare prima del tempo. E nemmeno ritardano a maturare al di là del tempo. Sono liberi da ciò che è di sovrappiù. Gli uccelli e gli uomini fanno festa. Armonia cosmica!
p. Luciano

Cachi è parola giapponese (identica pronuncia come in italiano). L'ideogramma è: . La prima radicale è <albero>, la seconda è <città>. Quindi: l'albero cittadino

sabato 11 luglio 2015

LA PARSIMONIA – Tiziano Terzani


Occorrono nuovi modelli di sviluppo. Non solo crescita, ma parsimonia. Vedi, Folco, io dico che bisogna liberarsi dei desideri.
Ma proprio per il perverso sistema del consumismo la nostra vita è tutta centrata su giochi, sport, mangiare, piaceri. Il problema è uscire da questo circolo vizioso: una cosa dopo l’altra dopo l’altra. Porca miseria, questo ti impone dei comportamenti che sono assolutamente assurdi. Tu non vuoi certe cose ma il sistema del consumismo ti convince, ti seduce a volerle. Tutta la tua vita dipende da quel meccanismo.
Se invece cominci a non parteciparvi resistendo, digiunando, allora è come se usassi la non violenza contro la violenza. La violenza che ci fa alla fine? Mica te la possono cacciare in gola, la roba!
Tiziano Terzani, La fine è il mio inizio, Longanesi, Milano 2006.


giovedì 9 luglio 2015

PER UN POSTO IN BANCA – Tiziano Terzani


E questa benedetta storia della libertà! Noi oggi ce la siamo ridotta immensamente, tanto che finiamo per vivere solo ai margini della nostra libertà a causa di tutto ciò che è automatico nel nostro modo di pensare, di reagire, di fare le cose.
Questa è la grande tragedia. E le scuole oggi non sono fatte per insegnare ai ragazzi a pensare, sono fatte per insegnare ai ragazzi a sopravvivere, per insegnar loro delle cose con cui poi trovano un posto in banca. E quando ne esci sei condizionato. Ripeti dei modelli prestabiliti. 
Non è che molto facilmente ti inventi qualcosa.
Tiziano Terzani, La fine è il mio inizio, Longanesi, Milano 2006.


martedì 7 luglio 2015

LA LIBERTA’ – Tiziano Terzani


Libertà. Non ce n’è più. Io lo continuo a ripetere: non siamo mai stati così poco liberi, pur nella apparente enorme libertà di comprare, di scopare, di scegliere fra i vari dentifrici, fra le quarantamila automobili, fra i telefonini che fanno anche la fotografia. Non c’è più la libertà di essere chi sei. Perché tutto è già previsto, tutto è già incanalato e uscirne non è facile, crea conflitti.
Quanta gente viene rigettata dal sistema, viene emarginata perché non rientra nel modello? Facesse invece delle altre cose! Ma non c’è altro, c’è solo una spinta verso il mercato.
Tiziano Terzani, La fine è il mio inizio, Longanesi, Milano 2006.


sabato 4 luglio 2015

IL VALORE DELLA NON VIOLENZA – Tiziano Terzani


L’educazione dovrebbe cominciare con l’insegnare il valore della non violenza, che ha a che fare poi con tutto: con l’essere vegetariani, col rispettare il mondo, col pensare che questa terra non te l’han data a te, che è di tutti e tu non puoi impunemente metterti a tagliare e a fare buchi.
Il guaio è, secondo me, che tutto il sistema è fatto in modo che l’uomo, senza neppure accorgersene, comincia sin da bambino a entrare in una mentalità che gli impedisce di pensare qualsiasi altra cosa. Finisce che non c’è nemmeno più bisogno della dittatura ormai, perché la dittatura è quella della scuola, della televisione, di quello che ti insegnano. Spegni la televisione e guadagni la libertà.
Tiziano Terzani, La fine è il mio inizio, Longanesi, Milano 2006.


domenica 28 giugno 2015

IL SORRISO DELLA DIVINITA’ – Antoine de Saint Exupery


Ma io scolpirò il futuro come lo scultore che ricava la sua opera dal marmo a colpi di scalpello e fa cadere ad una ad una le schegge che nascondevano il volto della divinità. E altri diranno: ”Quel marmo conteneva questa divinità. Egli l’ha trovata. Il suo atto era un mezzo”.
Ma io dico che egli non calcolava, ma plasmava la pietra. Il sorriso del volto non è formato da una mescolanza di sudore, di scintille di colpi di scalpello e di marmo.
Il sorriso non è della pietra, ma del creatore.
Libera l’uomo ed egli crescerà.
Antoine de Saint Exupery, Cittadella, Borla, Roma 1978


giovedì 28 maggio 2015

... E METTERTI A RIDERE DEI DESIDERI - Tiziano Terzani


... e metterti a ridere dei desideri che hai, a ridere dei desideri che hai avuto, a ridere nel vedere che questi desideri non servono a niente, che sono effimeri come tutto il resto che è la vita. Così cominci a imparare a toglierteli, a toglierli di mezzo. Compreso quel desiderio ultimo, che tutti hanno, della longevità.

Tiziano Terzani, La fine è il mio inizio, Longanesi, Milano 2006.
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