Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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lunedì 5 settembre 2016

L’ETICA SECOLARE – Dalai Lama


"Le generazioni più giovani che studiano nelle nostre istituzioni hanno bisogno, oltre che di istruzione, che di solito viene intesa soltanto in senso accademico, anche di sviluppare maggior altruismo e senso di responsabilità verso gli altri. Questo lo si può fare senza offrire necessariamente una formazione religiosa. Potremmo parlare di un’etica secolare, che consiste delle qualità umane fondamentali come la gentilezza, la compassione, la sincerità e l’onestà".
Marshall B. Rosenberg, Educazione che arricchisce la vita, Edizioni Esserci, Reggio Emilia 2005, p. 136


sabato 7 maggio 2016

TENGO PULITO QUESTO PIAZZALE – Luciano Mazzocchi


Un uomo sessantenne è solito sostare e chiedere l'elemosina all'ingresso della chiesa di San Babila a Milano. Venerdì pomeriggio della settimana scorsa ho assistito al rito che l'uomo sessantenne compie appena arriva in sede. Depone un grosso zaino al lato dell'ingresso, lo apre e ne trae una scopa dal manico corto. Quindi si mette a spazzare il piazzale davanti la chiesa, liberando i canaletti del selciato dai mozziconi buttati dai passanti vestiti in giacca e cravatta. Li raccoglie in una lattina e quindi li riversa nel cassonetto. Poi stende una tappetino su cui siede e da cui tende la mano a chi entra per la preghiera.
Ieri (martedì) gli ho detto grazie per il quotidiano servizio ecologico che compie. "Sono sardo e lavoravo in un'autofficina a Cagliari. La ditta un bel giorno chiuse i cancelli e sono rimasto disoccupato. Ho lasciato la Sardegna e sono venuto a Milano per cercare lavoro. Se puoi, aiutami a trovare anche un piccolo lavoro. Nel frattempo tengo pulito questo piazzale: è il lavoro che posso fare. Qualche passante si ferma e mi dà un euro... ".

Luciano Mazzocchi

sabato 5 settembre 2015

VIVERE CON GIOIA – Dalai Lama


La vera serenità è radicata nell'affetto e nella compassione, e coinvolge in grado elevato la sensibilità e il sentimento. Fino a che ci mancherà la disciplina interiore, la calma interiore, non importa di quali facilitazioni esterne o condizioni godremo, non ci procureranno mai quel sentimento di gioia o felicità che cerchiamo. Se invece possediamo tale qualità interiore, cioè la calma della mente e un certo grado di stabilità interiore, anche se siamo privi delle varie facilitazioni esterne che normalmente sono considerate necessarie per una vita felice, è possibile comunque vivere felicemente e con gioia.
Dalai Lama, L’arte di essere pazienti, Neri Pozza, Vicenza 1998-2011


domenica 30 agosto 2015

LA RICONCILIAZIONE – Dalai Lama

Osservando la realtà, è molto evidente che il miglior modo per superare il conflitto è avere uno spirito di riconciliazione, anche con se stessi. Questo spirito ha molto a che fare con la compassione. Un aspetto della compassione è il rispetto dei diritti e delle idee degli altri, e questa è la base per la riconciliazione. Credo che lo spirito umano di riconciliazione basato sulla compassione agisca a grande profondità, che la persona se ne renda effettivamente conto o meno.
Perciò, dato che la nostra essenziale natura umana è la gentilezza, non importa attraverso quanta violenza ed episodi negativi dobbiamo passare, alla fine l'unica soluzione possibile è tornare al fondamentale sentimento umano, cioè l'affetto. In tal modo, l'affetto dell'uomo o la compassione non sono solo una questione religiosa, ma un fattore pressoché indispensabile della nostra vita quotidiana.
Tenendo presente questo, la pratica della tolleranza diventa veramente meritevole, e non importa quanto sia difficile, perché ha enorme valore.
Dalai Lama, L’arte di essere pazienti, Neri Pozza, Vicenza 1998-2011


sabato 29 agosto 2015

LA GENTILEZZA – Dalai Lama

Se osserviamo il percorso della nostra esistenza, dall'infanzia alla morte, vediamo quanto siamo allevati soprattutto con l'affetto, con l'affetto reciproco, e come ci sentiamo quando siamo esposti all'affetto degli altri. Inoltre, quando noi stessi proviamo sentimenti d'affetto, vediamo come la cosa naturalmente ci riguardi nell'intimo. Non solo, ma il comportamento e i pensieri più affettuosi e più sani sembrano essere molto più benefici al nostro corpo, in termini di conseguenze sulla salute e sanità fisica, e così via. Bisogna sottolineare anche quanto il contrario sembri rovinoso per la salute.
Per questi motivi credo che sia possibile dedurre che la nostra fondamentale natura umana sia caratterizzata dalla gentilezza. Stando così le cose, allora ha ancor più senso cercare di vivere più in armonia con tale basilare natura gentile del nostro essere.
Dalai Lama, L’arte di essere pazienti, Neri Pozza, Vicenza 1998-2011


venerdì 28 agosto 2015

LA VERA COMPASSIONE – Dalai Lama


L'autentica compassione si basa sul fondamento logico che, proprio come me, anche altri hanno questo innato desiderio di essere felici e di vincere la sofferenza; e proprio come me, hanno il diritto naturale di esaudire questa fondamentale aspirazione.

Dalai Lama, L’arte di essere pazienti, Neri Pozza, Vicenza 1998-2011

lunedì 2 febbraio 2015

COME GESTIRE L’IRRITAZIONE - Pierre Lévy


L'irritazione è inevitabile. Ma ci sono due modi di sentirla.
La prima consiste nell'accusare l'altro della propria sofferenza e nell'aggredirlo.
La seconda equivale a far nascere una reazione all'irritazione, la doppia benedizione dello spazio e della compassione:
- uno spazio tra sé e i propri pensieri; uno spazio di respiro tra sé e l'altro, lo spazio aperto dall'assenza di reazione;
- compassione per se stessi, poiché l'irritazione è una sofferenza; compassione per l'altro perché la sua collera è un dolore.
Pierre Lévy, Il fuoco liberatore, Luca Sossella Editore, 2000.


domenica 24 agosto 2014

LE PAROLE DEL FIGLIO (2) - Paulo Coelho


L'angelo sfiorò la spalla del vecchio e tutti e due furono proiettati in un futuro lontano. Comparve intorno a loro un luogo immenso, gremito di migliaia di persone, che parlavano una strana lingua.
Il vecchio pianse di gioia. “Sapevo che i versi di mio figlio poeta erano belli e immortali,” disse rivolto all'angelo, fra le lacrime. “Vorrei che mi dicessi quale delle sue poesie queste persone stanno recitando.”
L'angelo, allora, si avvicinò al vecchio con affetto: si sedettero entrambi su una delle panchine che si trovavano in quel luogo immenso. “I versi del tuo figliolo poeta sono stati molto popolari a Roma,” disse l'angelo. “Piacevano a tutti, e tutti si divertivano. Ma quando il regno di Tiberio ebbe fine, anche i suoi versi furono dimenticati. Queste parole sono quelle del tuo figliolo che è entrato nell'esercito.”
Il vecchio guardò l'angelo con sorpresa.
“Tuo figlio è andato militare in un luogo distante ed è divenuto centurione. Era anche un uomo giusto e buono. Un pomeriggio, uno dei suoi servi cadde ammalato e stava per morire. Tuo figlio, allora, avendo sentito parlare di un Maestro che guariva gli ammalati, camminò per giorni e giorni in cerca di quell’uomo. Strada facendo, scoprì che l'uomo di cui andava in cerca era il Figlio di Dio. Incontrò altre persone che erano state guarite da lui, apprese i suoi insegnamenti e, pur essendo un centurione romano, si convertì alla sua fede. Finché, una mattina, giunse al cospetto del Maestro. Gli raccontò del servo ammalato. E il Maestro si offrì di riaccompagnarlo fino a casa. Ma il centurione era un uomo di fede e, guardandolo nel profondo degli occhi, capì di trovarsi al cospetto del Figlio di Dio, quando tutti intorno a loro si alzarono. ”
“Queste sono le parole di tuo figlio,” disse l'angelo al vecchio. “Sono le parole che pronunciò davanti al Maestro in quel momento e che non furono mai più dimenticate: Signore, io non sono degno che entri nella mia casa, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà salvo.”

Paulo Coelho, L’alchimista, 1988, ed. it. Bompiani, Milano 1995, P. 173-174.

giovedì 29 maggio 2014

COM-PASSIONE – Diego De Silva


Non le sopporto, mi fanno disperare come nient’altro al mondo, le smorfie addolorate di qualcuno che amo. Farei qualunque cosa per cancellarle. Davanti a una bocca che si contrae mortificata, a uno sguardo che si perde nell’aria, a un dolore che prende forma e sfigura un viso a cui voglio bene, mi annullo.
Diego De Silva, Mia suocera beve, Einaudi, Torino 2010.


mercoledì 28 maggio 2014

L’OSPITALITA’ VERA - Antoine de Saint-Exupéry (1900-1944)


Chi sa veramente ospitare qualcuno, non lo giudica, ma lo accoglie per quello che è e non pretende ringraziamenti che creerebbero doveri nell’ospite.
Ti parlerò perciò dell’ospitalità. Se apri la porta della tua casa al viandante e lui si siede accanto al fuoco, non rimproverargli di essere diverso. Non giudicarlo. Perché ciò di cui aveva fame era soprattutto di trovarsi là in qualche luogo, presso qualcuno col suo carico, il suo bagaglio di ricordi, il suo respiro affannoso e il suo bastone posato in un canto. Era di stare là nel calore e nella pace del tuo volto, con tutto il suo passato oramai inutile, con tutte le pecche messe a nudo. La sua stampella egli non la sente più, perché non gli chiedi di danzare. Allora si rinfranca e beve il latte che gli versi, mangia il pane che gli spezzi, e il sorriso che gli rivolgi è un manto tiepido come il sole per un cieco.
Antoine de Saint-Exupéry, Citadelle, 1948
tr. Enzo L.Gaya,Cittadella [edizione ridotta], Borla, Roma, 1978


lunedì 31 marzo 2014

LA SIGNORA KING - Anonimo


In una notte di pioggia c'era una signora di colore, al lato della strada, nello stato dell'Alabama (U.S.A.), il temporale era tremendo. La sua auto era in panne ed aveva disperatamente bisogno di aiuto. Completamente inzuppata cominciò a fare segnali alle auto che passavano.
Un giovane bianco, come se non conoscesse i conflitti razziali che laceravano gli Stati Uniti negli anni '60, si fermò per aiutarla. Il ragazzo la portò in un luogo protetto, le procurò un meccanico e chiamò un taxi per lei.
La donna sembrava avere davvero molta fretta, ma riuscì ad annotarsi l'indirizzo del suo soccorritore e a ringraziarlo.
Passati sette giorni, bussarono alla porta del ragazzo. Con sua grande sorpresa era un corriere che gli consegnò un enorme pacco contenente una grande TV a colori, accompagnata da un biglietto che diceva:

"Molte grazie per avermi aiutata in quella strada, quella notte. La pioggia aveva inzuppato i miei vestiti come il mio spirito, e in quel momento è apparso Lei. Grazie a Lei sono riuscita ad arrivare al capezzale di mio marito moribondo poco prima che se ne andasse. Dio la benedica per avermi aiutato. Sinceramente, Mrs. Nat King Cole"

domenica 30 marzo 2014

ADDIO, FRATELLO LADRO - Tonino Bello


Sulla tua fossa senza fiori, accenderò una lampada.
Ho saputo per caso della tua morte violenta, da un ritaglio di giornale. Mi hanno detto che ti avrebbero seppellito stamattina, e sono venuto di buon’ora al cimitero a celebrare le esequie per te. Ma non ho potuto pronunciare l’omelia. Perché alla mia messa non c’era nessuno. Solo don Carlo, il cappellano, che rispondeva alle orazioni. E il vento gelido che scuoteva le vetrate. Sulla tua bara, neppure un fiore. Sul tuo corpo, neppure una lacrima. Sul tuo feretro, neppure un rintocco di campana.
Ho scelto il Vangelo di Luca, quello dei due malfattori crocifissi con Cristo, e durante la lettura mi è parso che la tua voce si sostituisse a quella del ladro pentito: «Gesù, ricordati di me!...». Povero Massimo, ucciso sulla strada come un cane bastardo, a 22 anni, con una spregevole refurtiva tra le mani che è rotolata nel fango con te! Povero randagio. Vedi: sei tanto povero, che posso chiamarti ladro tranquillamente, senza paura che qualcuno mi denunzi per vilipendio o rivendichi per te il diritto al buon nome. Tu non avevi nessuno sulla terra che ti chiamasse fratello. Oggi, però, sono io che voglio rivolgerti, anche se ormai troppo tardi, questo dolcissimo nome.
Mio caro fratello ladro, sono letteralmente distrutto. Ma non per la tua morte. Perché, stando ai parametri codificati della nostra ipocrisia sociale, forse te la meritavi. Hai sparato tu per primo sul metronotte, ferendolo gravemente. E lui si è difeso. E stamattina, quando sono andato a trovarlo in ospedale, mi ha detto piangendo che anche lui strappa la vita con i denti. E che, con quei quattro luridi soldi per i quali rischia ogni notte la pelle, deve mantenere dieci figli: il più grande quanto te, il più piccolo di un anno e mezzo. No, non sono amareggiato per la tua morte violenta. Ma per la tua squallida vita. Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, ti aveva Ingiustamente ucciso tutta la città. Questa città splendida e altera, generosa e contraddittoria. Che discrimina, che rifiuta, che non si scompone. Questa città dalla delega facile. Che pretende tutto dalle istituzioni. Che non si mobilita dalla base nel vedere tanta gente senza tetto, tanti giovani senza lavoro, tanti minori senza istruzione. Questa città che finge di Ignorare la presenza, accanto a te che cadevi, di tre bambini che ti tenevano il sacco! Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, ti avevano ingiustamente ucciso le nostre comunità cristiane. Che, si, sono venute a cercarti, ma non ti hanno saputo inseguire. Che ti hanno offerto del pane, ma non ti hanno dato accoglienza. Che organizzano soccorsi, ma senza amare abbastanza. Che portano pacchi, ma non cingono di tenerezza gli infelici come te. Che promuovono assistenza, ma non pro-muovono una nuova cultura di vita. Che celebrano belle liturgie, ma faticano a scorgere l’icona di Cristo nel cuore di ogni uomo. Anche in un cuore abbrutito e fosco come il tuo, che ha cessato di batter per sempre.
Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, forse ti avevo ingiustamente ucciso anch’io che, l’altro giorno, quando c’era la neve e tu bussasti alla mia porta, avrei dovuto fare ben altro che mandarti via con diecimila miserabili lire e con uno scampolo di predica.
Perdonaci, Massimo. Il ladro non sei solo tu. Siamo ladri anche noi perché prima ancora che della vita, ti abbiamo derubato della dignità di uomo. Perdonaci per l’indifferenza con la quale ti abbiamo visto vivere, morire e seppellire. Perdonaci se, ad appena otto giorni dall’inizio solenne dell’anno internazionale dei giovani, abbiamo fatto pagare a te, povero sventurato, il primo estratto conto della nostra retorica.
Addio, fratello ladro.
Domani verrò di nuovo al camposanto. E sulla tua fossa senza fiori, in segno di espiazione e di speranza, accenderò una lampada.

+ Tonino Bello

sabato 4 gennaio 2014

LA BIMBA AL FREDDO - Anthony De Mello


Per la strada vidi una ragazzina che tremava di freddo. Aveva un vestitino leggero e ben poca speranza in un pasto decente.
Mi arrabbiai e dissi a Dio: “Perché permetti questo? Perché non fai qualcosa?”
Per un po’ Dio non disse niente. Poi improvvisamente, quella notte mi rispose: “Certo che ho fatto qualcosa. Ho fatto te”.

Anthony De Mello, Il canto degli uccelli. Frammenti di saggezza nelle grandi religioni

venerdì 3 gennaio 2014

ERO SICURO CHE SARESTI VENUTO - Anthony De Mello


«Il mio compagno non è rientrato dal campo di battaglia, signore. Le chiedo il permesso di andarlo a cercare».
«Permesso negato – rispose l’ufficiale – Non voglio che tu metta a rischio la tua vita per un uomo che probabilmente è già morto».
Ma il soldato andò lo stesso e, un’ora dopo, ritornò ferito mortalmente, con il cadavere dell’amico caricato sulle spalle.
L’ufficiale era furioso: «Ti avevo detto che era morto. Adesso ho perso tutti e due. Dimmi: è valsa la pena di andare per riportare indietro un cadavere?»
Il moribondo rispose: «Si, signore. Quando l’ho raggiunto, era ancora vivo e mi ha detto: “Jack, ero sicuro che saresti venuto”».

Anthony De Mello, Brevetto di volo per aquile e polli, p. 52

domenica 27 ottobre 2013

AMORE E COMPASSIONE - Dalai Lama


Coltiviamo l'amore e la compassione,
sentimenti che danno davvero un senso alla vita.
Tutto il resto è superfluo.

Dalai Lama

lunedì 7 ottobre 2013

SONO LORO IL NOSTRO PROSSIMO – Adriano Sofri


Ci si può commuovere tutti i giorni, o c’è bisogno di una pausa, di una tregua – non so, una settimana, almeno un paio di giorni – fra una tragedia e l’altra? O commuoversi comunque quando la cifra dei morti è così esorbitante? Quando ci sono i bambini (le donne incinte ci sono sempre), e c’è ogni volta un dettaglio nuovo. Questa volta è il fuoco acceso dentro una carretta con 500 persone, come accendere un falò in un autobus all’ora di punta, con le porte che non si aprono. Riescono sempre a procurarsi un dettaglio nuovo, queste disgrazie. A Catania è in rianimazione il migrante eritreo scampato a tutto, anche alla spiaggia di Sampieri coi cadaveri allineati dei suoi compagni, e investito da un’auto. I dettagli di ieri saranno troppi per raccoglierli, i soccorritori pensano a soccorrere, magari piangendo, e i superstiti, una volta rifocillati e sbattuti in qualche Centro di Indifferenza ed Espulsione, non saranno più interessanti, coi confini spinati e i deserti e i mari che hanno attraversato, i cadaveri che hanno urtato, le preghiere che hanno pregato. Non avranno voglia di raccontarlo, e non troveranno chi abbia voglia di starli a sentire. Guarderanno l’Isola dei famosi, la sera, e capiranno tutto.

domenica 17 marzo 2013

LA DONNA E LA CIPOLLA - Fedor Dostoevkij (1821-1881)



C'era una volta una donna cattiva cattiva che morì, senza lasciarsi dietro nemmeno un'azione virtuosa. I diavoli l'afferrarono e la gettarono in un lago di fuoco.
Ma il suo angelo custode era là e pensava: di quale suo azione virtuosa mi posso ricordare per dirla a Dio? Se ne ricordò una e disse a Dio: - Ha sradicato una cipolla nell'orto e l'ha data a una mendicante. E Dio gli rispose: - Prendi dunque quella stessa cipolla, tendila a lei nel lago, che vi si aggrappi e la tenga stretta, e se tu la tirerai fuori del lago, vada in paradiso; se invece la cipolla si strapperà, la donna rimanga dov'è ora.
L'angelo corse della donna, le tese la cipolla: - Su, donna, le disse, attaccati e tieni. E si mise a tirarla cautamente, e l'aveva già quasi tirata fuori, ma gli altri peccatori che erano nel lago, quando videro che la traevano fuori, cominciarono ad aggrapparsi tutti a lei, per essere anch'essi tirati fuori. Ma la donna era cattiva cattiva e si mise a sparar calci contro di loro, dicendo: "E' me che si tira e non voi, la cipolla è mia e non vostra.
Appena ebbe detto questo, la cipolla si strappò. E la donna cadde nel lago e brucia ancora. E l'angelo si mise a piangere e si allontanò.
Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov VII, 3

domenica 13 gennaio 2013

LA COMPASSIONE - Dalai Lama



La compassione è diametralmente opposta alla crudeltà. La crudeltà è il piacere per la sofferenza di un altro, o addirittura il desiderio di infliggere sofferenze. La compassione è esattamente l’opposto: “Possa tu liberarti del tuo soffrire e della fonte della tua sofferenza” [Alan Wallace, studioso di buddismo e interprete del Dalai Lama].
A quanto pare, le persone che agiscono con crudeltà non si commuovono di fronte a segni di sofferenza o di paura: attivano un processo di depersonalizzazione. Parte del problema consiste nel riportarli a capire che hanno a che fare con esseri umani. Le persone con un lavoro che comporta la crudeltà spiegano che non reagiscono al dolore dell’altro. La cosa sorprendente è che costoro, a quanto pare, in famiglia sono dolci. E’ difficile crederlo, ma è quanto affermano. Quindi c’è un aspetto negativo della plasticità del cervello: si può imparare a non considerare più le persone in quanto tali [Paul Ekman, psicologo].
Dalai Lama: “Una procedura per coltivare la compassione consiste nel cominciare a vedere gli altri come se ogni essere vivente fosse nostra madre. Vedere un individuo come nostra madre fa emergere un senso di affetto, di attenzione, di dolcezza, di vicinanza e di gratitudine. Spesso si ha l’impressione che coltivare compassione e affetto sia qualcosa che si fa per gli altri, una nostra offerta al mondo. Ma questo è un modo molto superficiale di vedere la cosa. A partire dalla mia esperienza, sento che quando pratico la compassione ne traggo un beneficio diretto e immediato, per me non per gli altri. Praticando la compassione, il beneficio che traggo è del 100 per cento, quello che ne traggono gli altri è forse del 50 per cento. Il motivo per praticare la compassione è dunque l’interesse personale. Credo che la pratica della compassione sia come un farmaco che riporta la serenità quando si è in preda all’agitazione. La compassione è un grande tranquillante”.
Dalai Lama, Daniel Goleman, Emozioni distruttive, p. 339, 341-342, 349.

sabato 12 gennaio 2013

EMOZIONI POSITIVE - Dalai Lama



Credo che gestire le emozioni negative sia estremamente importante ma di per sé non  è sufficiente per risolvere i problemi. E’ necessario sviluppare e coltivare le emozioni positive. Sebbene queste emozioni positive possano non essere applicate come antidoto immediato, serviranno a preparare il bambino, o chiunque altro, ad affrontare con maggiore capacità le emozioni negative.
Rispetto a tecniche specifiche da mettere a punto, non ho alcuna idea precisa, a parte l’impatto significativo di una esposizione continuata dei bambini a un’atmosfera di amore e di compassione genuini, sia in famiglia con i genitori sia a scuola con gli insegnanti, se sinceramente attenti al benessere degli stessi bambini.
E’ molto difficile tentare di insegnare a parole ai bambini il valore e l’importanza della compassione e dell’amore. Le azioni parlano più forte delle parole.
Dalai Lama, Daniel Goleman, Emozioni distruttive, p. 334

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