Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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lunedì 4 luglio 2016

IL MIO PENSIERO PIU’ INTIMO – Jules Michelet (1798-1874)


Giovedì 29 dicembre 1842, Jules Michelet incominciava in questi termini il suo corso al Collège de France:

«Devo ringraziare le persone compiacenti che raccolgono le mie lezioni, ma nel contempo devo pregarle di non dare a questo alcuna pubblicità.
Parlo con fiducia a voi, a voi soli, e non alla gente di fuori. Non vi confido solamente la mia scienza, ma il mio pensiero intimo sul tema più vitale. Appunto perché è molto numeroso, molto completo (per età, sesso, province, nazioni...), in questo uditorio sento l’umanità, l’uomo, cioè me stesso. Da me a voi, da uomo a uomo, tutto può dirsi. Sembra che uno solo parli, qui: errore, anche voi parlate. Io agisco e voi reagite, io insegno e voi m’insegnate. Le vostre obiezioni, le vostre approvazioni sono per me molto sensibili. (Come? Non si può dire. E’ il mistero delle grandi assemblee, il rapido scambio, l’azione, la reazione dello spirito).
L’insegnamento non è, come si crede, un discorso accademico o un’esibizione; è la comunicazione vicendevole, doppiamente feconda tra un uomo e un’assemblea che cercano insieme. La stenografia più completa, più esatta, riprodurrà il dialogo? No, riprodurrà solamente ciò che ho detto ma non la stessa cosa che ho detto: io parlo anche con lo sguardo e con il gesto. La mia presenza e la mia persona sono una parte considerevole del mio insegnamento. La migliore stenografia parrà ridicola perché riprodurrà le lungaggini, le ripetizioni utilissime qui, le risposte che do sovente alle obiezioni che vedo nei vostri occhi, gli ampliamenti che do su un punto, in cui l’approvazione di tale o talaltra persona mi indica che vorrebbe fermarmi. Occorre quindi lasciar volare queste parole alate. Che si perdano, alla buon’ora! che si cancellino dalla vostra memoria, se ne resta lo spirito, va bene.
Sta qui ciò che di toccante e di sacro c’è nell’insegnamento. Che sia un sacrificio, che non ne resti niente di materiale, ma che tutti ne escano forti, abbastanza forti per dimenticare questo debole punto di partenza. Quanto a me, se temessi che le mie parole rischiassero di gelare nell’aria e di essere riprodotte così, isolate da colui per il quale avete una qualche benevolenza, non oserei più parlare. Vi insegnerei qualche tavola cronologica, qualche secca e triviale formula, ma mi guarderei dall’apportare qui, come faccio, me stesso, la mia vita, il mio pensiero più intimo».

Alain Finkielkraut, Entretien avec Francois Furet et Jacques le Goff, «Corriere della Sera» del 17 gennaio 2008

martedì 3 maggio 2016

IL VERO ASCOLTO PORTA CON SE’ LA LIBERTA’ - Jiddu Krishnamurti (1895-1986)


L'atto di ascoltare è completo in se stesso; il semplice atto di ascoltare porta con sé la libertà. Ma a voi interessa veramente ascoltare? Oppure quello che vi importa è intervenire per tentare di modificare la confusione che vi portate dentro?
Se ascoltaste... cioè se vi rendeste conto delle vostre contraddizioni, dei vostri conflitti, senza preoccuparvi di costringerli a entrare in un particolare schema di pensiero, forse questi finirebbero.
Vedete, noi stiamo sempre cercando di essere qualcosa, di raggiungere uno stato particolare; vorremmo fare determinate esperienze ed evitarne accuratamente altre. Ma in questo modo la nostra mente rimane sempre occupata, non è mai tranquilla, non è mai in grado di ascoltare il rumore delle sue lotte e delle sue pene.
Siate semplici... non cercate di diventare qualcosa o di aggrapparvi a qualche esperienza.
Jiddu Krishnamurti


sabato 30 aprile 2016

LA MELODIA DELLE PAROLE - Jiddu Krishnamurti (1895-1986)


Ascoltare è un'arte che non è facile acquisire, ma che porta con sé bellezza e comprensione profonda.
Ascoltiamo dalle profondità del nostro essere, ma il nostro ascolto è sempre alterato da preconcetti o dai nostri particolari punti di vista. Non siamo capaci di ascoltare direttamente, con semplicità; in noi l'ascolto avviene sempre attraverso lo schermo dei nostri pensieri, delle nostre impressioni, dei nostri pregiudizi...
Per poter ascoltare ci deve essere calma dentro di noi, un'attenzione distesa, e non deve esserci il minimo sforzo tendente ad acquisire qualcosa. Questo stato vigile e tuttavia passivo è in grado di ascoltare quello che è al di là dei significati delle parole.
Le parole portano confusione; sono solo un mezzo di comunicazione esteriore, ma per trovarsi al di là del rumore delle parole è necessario ascoltare in uno stato di vigile passività.
Coloro che amano sono capaci di ascoltare, ma è estremamente raro trovare chi sia capace di farlo. La maggior parte di noi è troppo occupata a raggiungere degli obiettivi, a ottenere dei risultati; stiamo sempre cercando di andare oltre, di conquistare qualcosa, così non siamo in grado di ascoltare.
Solo chi ascolta veramente può cogliere la melodia delle parole.
Jiddu Krishnamurti


venerdì 29 aprile 2016

ASCOLTARE SENZA SCHERMI - Jiddu Krishnamurti (1895-1986)


Come ascoltate? Ascoltate attraverso le vostre proiezioni, le vostre ambizioni, i desideri, le paure, le angosce? Ascoltate solo quello che volete sentire, solo quello che vi soddisfa o che vi lusinga? Ascoltate solo quello che vi conforta e che attenua momentaneamente la vostra sofferenza?
Se ascoltate attraverso lo schermo dei vostri desideri è ovvio che state ascoltando solo la vostra voce: state ascoltando solo i vostri desideri.
Ma esiste un altro modo di ascoltare? Non è forse importante scoprire come si possa ascoltare, non solo quello che dicono gli altri, ma qualunque cosa: il rumore della strada, il cinguettio degli uccelli, lo sferragliare del tram, il fragore delle onde, la voce di vostro marito o di vostra moglie o quella dei vostri amici, il pianto di un bambino?
Ascoltare diventa importante quando smettiamo di proiettare i nostri desideri. Possiamo mettere da parte tutti gli schermi che ci impediscono di ascoltare veramente?
Jiddu Krishnamurti


giovedì 28 aprile 2016

SAPER ASCOLTARE - Jiddu Krishnamurti (1895-1986)


Vi siete mai seduti in silenzio senza fermare l'attenzione su una cosa qualsiasi, senza fare il minimo sforzo per concentrarvi, con una mente davvero calma? Se lo fate, potete ascoltare i rumori lontani e quelli vicinissimi a voi: siete in contatto coi suoni.
Allora state veramente ascoltando. La vostra mente non si limita a funzionare attraverso un solo insufficiente canale. Quando ascoltate in questo modo, con grande tranquillità, senza sforzo, scoprite che dentro di voi avviene un cambiamento straordinario, un cambiamento che non dipende dalla vostra volontà e che si produce senza che voi lo chiediate; è un cambiamento che porta con sé l'immensa bellezza di una percezione profonda.
Jiddu Krishnamurti


mercoledì 27 aprile 2016

IL MODO IN CUI ASCOLTIAMO – Jiddu Krishnamurti (1895-1986)


Non so se avete mai preso in esame il modo in cui ascoltate, non importa che cosa, se il canto di un uccello, il vento tra le foglie, lo scorrere dell’acqua impetuosa o come ascoltate un dialogo con voi stessi, o nelle conversazioni con gli amici intimi, con vostra moglie o vostro marito.
Quando tentiamo di ascoltare, lo troviamo estremamente difficile, perché proiettiamo sempre le nostre opinioni e idee, i nostri pregiudizi, i contesti da cui proveniamo, le nostre inclinazioni, i nostri impulsi; quando sono questi elementi a dominare, ascoltiamo a mala pena quello che viene detto.
Questa condizione non ha alcun valore.
E’ solo ascoltando che uno impara, solo in uno stato di attenzione, in uno stato di silenzio in cui tutto questo contesto è sospeso, è quieto.
Solo allora, credo, è possibile comunicare...
La vera comunicazione... può avvenire solo quando c'è silenzio.

Jiddu Krishnamurti

giovedì 31 marzo 2016

SERPENTI A SONAGLI - Dale Carnegie (1888-1955)


Ho assistito a migliaia di discussioni, come spettatore e come partecipante, e ne ho visti gli effetti. Sono giunto alla conclusione che esiste un solo modo di uscirne vincitore: evitarle. Evitarle come se fossero serpenti a sonagli.
Dale Carnegie, Come trattare gli altri e farseli amici, 1936, ed. it. Bompiani, Milano 2001, p. 132.


lunedì 14 marzo 2016

QUAL E’ IL SEGRETO DEL TEAM PERFETTO? 1/2 – Elena Dusi


Ben  vengano le divagazioni durante una riunione. Le chiacchiere sul luogo di lavoro, perfino i pettegolezzi, le confessioni dei propri problemi ai colleghi alla macchinetta del caffè e le reazioni istintive, quando qualcuno urta la nostra suscettibilità. Il team perfetto, quello che all'occorrenza scatta come un sol uomo e che ha una "intelligenza collettiva" più alta della somma delle intelligenze individuali, non è un orologio dai meccanismi perfetti. Piuttosto, è un organismo in cui i colleghi alzano gli occhi dalla scrivania, incrociano quelli del collega che lavora accanto e si accorgono di cosa gli passa per la testa.
Ci sono voluti decenni di studi sulla sociologia del "team perfetto" per arrivare a non comprendere tutto questo. Fino a quando un progetto avviato da Google tra i propri dipendenti non si è accorto che nessuno degli algoritmi numerici sull'efficienza dei gruppi di lavoro è in grado di prevedere alcunché. Quello che fa funzionare bene una comunità di umani, ha concluso, dopo tanto analizzare, il più grande motore di ricerca del mondo, è in fondo proprio il senso di umanità: empatia, rispetto, consolazione di un collega se necessario.
Elena Dusi, “la Repubblica”, 29 febbraio 2016


giovedì 3 marzo 2016

QUANDO DITE A QUALCUNO CHE HA TORTO - Dale Carnegie (1888-1955)


Con la certezza di non sbagliare il 55% delle volte, si guadagnerebbe un milione di dollari al giorno a Wall Street. Se non si e' sicuri di esserlo almeno in questa percentuale, perché dire agli altri che sono in errore?
Per far questo basta uno sguardo, una certa intonazione di voce o un gesto, eloquenti quanto delle parole. E se dite a qualcuno che ha torto, lo fate passare dalla vostra parte? Mai! Perché avete dato un duro colpo alla sua intelligenza, al suo modo di giudicare, al suo orgoglio, e al rispetto di se stesso. Gli fate venir voglia di restituirvi il colpo, non certo di cambiare opinione. Anche se gli sbattete sotto il naso la logica di un Platone o di un Kant, non si sposterà di un millimetro.

Dale Carnegie, Come trattare gli altri e farseli amici, 1936, ed. it. Bompiani, Milano 2001, p. 138.

venerdì 19 febbraio 2016

SE SI GRIDA IN DUE - Dale Carnegie (1888-1955)

Il tenore Jan Peerce, sposato da circa cinquant'anni, ebbe a dire:
"Molto tempo fa mia moglie e io abbiamo fatto un patto e l'abbiamo mantenuto anche nei momenti di maggior tensione fra di noi. Quando uno urla, l'altro lo deve stare a sentire, perché se si grida in due non esiste comunicazione, ma solo rumore e travaso di bile."
Dale Carnegie, Come trattare gli altri e farseli amici, 1936, ed. it. Bompiani, Milano 2001, p. 137.


lunedì 1 febbraio 2016

RAGIONI CONTRO – Robert James

La maggior parte delle interazioni e dei confronti verbali ancora oggi continua a sostenersi su un meccanismo fallimentare: la contrapposizione di argomenti e ragioni e il tentativo di persuadere l’altro convincendolo del valore delle nostre ragioni rispetto alle sue.
È una strategia faticosissima e in gran parte controproducente: per quelle strane alchimie di cui è composto l’animo umano, qualunque opposizione suona come un divieto, qualunque divieto suona come un’offesa, qualunque offesa genera risentimento, e l’effetto del risentimento è sempre rabbia e ostilità verso l’altro.
Risultato: più cerchi di convincere l’altro con le tue ragioni, di scardinare le sue con i tuoi argomenti e di forzarlo a cambiare idea, più l’altro si arroccherà sulle sue posizioni e si chiuderà a guscio sulle sue idee. È una legge naturale: chi si sente attaccato si difende chiudendosi.

Robert James, Come ascoltare gli altri e farseli amici, 2015

venerdì 27 novembre 2015

UNA VITTORIA DI PIRRO - Dale Carnegie (1888-1955)


Come diceva il vecchio Benjamin Franklin:
"Discutendo, polemizzando e contraddicendo, a volte si può anche vincere; ma è una vittoria di Pirro perché non si otterrà mai la simpatia dell'avversario".
Che cos’è preferibile: una vittoria finta, accademica, o la simpatia di qualcuno? E’ raro che si ottengano entrambe.
Dale Carnegie, Come trattare gli altri e farseli amici, 1936, ed. it. Bompiani, Milano 2001, p. 134.


giovedì 26 novembre 2015

COSTRUITE PONTI DI COMPRENSIONE - Dale Carnegie (1888-1955)


Se volete proprio che la gente si faccia beffe di voi, vi rida dietro, vi disprezzi e vi sfugga, questa è la ricetta: non state mai ad ascoltare nessuno. Parlate sempre e solo di voi stessi. Se avete un’idea mentre l’altra persona sta parlando, non aspettate che finisca, tirate dritto e interrompetela nel bel mezzo del discorso.
Dare sempre all'avversario la possibilità di parlare. Non opporre resistenza, difese o discussioni: creano solo delle barriere. Costruire ponti di comprensione, non muri di incomprensione.
Dale Carnegie, Come trattare gli altri e farseli amici, 1936, ed. it. Bompiani, Milano 2001, p. 110, 136.


lunedì 23 novembre 2015

OLTRE LE PAROLE – Severino Zaramella


Le parole sono importanti, ma per comunicare quello che siamo, in realtà, noi ci esprimiamo attraverso il linguaggio del nostro corpo. Impariamo pertanto a leggere le persone, esercitiamoci da piccoli a farlo e aiutiamo le persone a intraprendere questo percorso.
Vogliamoci bene, volendo bene agli altri, al di là di quello che dicono, amiamoli perché esistono e sono portatori di verità.
Spesso viviamo accanto al nostro prossimo senza condividere la nostra parte più intima, la molecola del bene, che teniamo nascosta e difesa da violenze e soprusi. L'amore aiuta a spogliare le difese e far vedere anche agli altri la composizione di questa molecola, affinché anche loro ne possano beneficiare.
La piccolezza dell'essere umano si confronta ogni momento con la grandezza dell'irripetibilità personale che consegna consapevolezza e sentimento di accoglienza.
Severino Zaramella, amico caro


lunedì 16 novembre 2015

NON NEL MIO NOME – Oriana D’Anna


Caro direttore,
come insegnante di una scuola primaria di Milano, formata da 22 alunni di cui solo cinque di nazionalità italiana, e di cui 12 di religione musulmana, mi interrogo su quello che vedrò riflesso sui volti dei bambini dopo i fatti di Parigi.
Gli episodi di terrorismo ci interrogano sia come cittadini sia come uomini e donne di buona volontà, ma soprattutto come membri di una società multietnica. Chiedo pertanto e mi auguro che si alzino tutti i musulmani che risiedono in Occidente al grido «non nel mio nome». Vorrei che la loro voce si alzasse così da sentirla chiaramente e nitidamente.
Spero che in Italia si alzino tutti i genitori musulmani degli alunni che dividono i banchi con i nostri figli, si alzino i papà e le mamme per dire ai loro bimbi cos'è davvero l'Islam così da spiegarlo anche a noi, affinché possano aiutarci a capire e a sentire la condanna di ciò che è male per perseguire, insieme a chi non è musulmano, ciò che è bene. Mi auguro un confronto alla luce della verità. Auspico che i popoli musulmani possano interrogarsi sulla loro identità, chiarirsela e chiarirla a noi che li accogliamo nelle scuole, nelle case. Mi auguro, entrando in classe, di poter scorgere nei volti dei miei alunni musulmani un riflesso, una traccia del fatto che nelle loro famiglie si condivida il desiderio di pace e si lavori perché ciò che abbiamo visto non accada più nel loro nome.
Mi chiedo allora se non sia opportuno cambiare qualcosa nella scuola e nelle politiche di accoglienza. Perché non introdurre l'insegnamento della lingua araba nelle scuole europee? Non certo per diventare arabi ma per aumentare gli strumenti di dialogo. Mi chiedo perché non la smettiamo di pensare di abbattere le differenze annullandole, ma accogliendole. Oggi nelle scuole si evita di parlare di alcuni soggetti d'arte perché troppo cristiani, si evita di parlare di alcune feste religiose per non urtare chi non è di fede cristiana, si festeggia Halloween ma non si specifica che la festa è quella di Ognissanti. Una ricorrenza che costringerebbe a parlare della morte, di affrontarla e inquadrarla nella cornice della verità. Ebbene la morte entra però nelle nostre case con gli attentati, le guerre e gli attacchi terroristici. Molti militanti dell'Isis sono giovani che hanno studiato in Europa. E' giusto chiedersi cosa non ha funzionato nel processo scolastico, nel processo di socializzazione e di accoglienza.
Non è negando le differenze culturali e religiose che si affronta il problema della convivenza, ma crescendo nella competenza. Conoscere le nostre tradizioni e accoglierne di nuove senza negare la nostra identità e quella altra da noi. Per questo si auspica che i musulmani residenti nel nostro territorio si alzino a far conoscere la loro cultura nel dialogo.
Oriana D'Anna, insegnante su La Stampa, 16 novembre 2015.


martedì 10 novembre 2015

LE ETICHETTE – Ruth Bebermeyer


Non ho mai visto un uomo pigro:
ho visto un uomo che non ha mai corso
mentre lo stavo guardando, ed ho visto
un uomo che talvolta faceva un sonnellino tra pranzo e cena,
e che rimaneva a casa in un giorno di pioggia,
ma non era un uomo pigro. Prima di chiamarmi pazza,
pensateci, lui era un “uomo pigro”
o faceva soltanto cose che definiamo “pigre”?
Non ho mai visto un bambino stupido;
ho visto un bambino che talvolta ha fatto
cose che non ho compreso
o cose in modi che non avevo previsto;
ho visto un bambino che non aveva visto
quegli stessi luoghi dov'ero stata io,
ma non era un bambino stupido.
Prima di chiamarlo stupido,
pensateci, lui era un "bambino stupido"
o soltanto sapeva cose diverse da quelle che sapete voi?
Ho guardato il più intensamente possibile
ma non ho mai visto un cuoco;
ho visto una persona che mescolava
ingredienti che poi avremmo mangiato,
una persona che girava una manovella
e sorvegliava il forno che cuoceva la carne,
ho visto queste cose ma non ho visto un cuoco.
Ditemi, se guardate, vedete un cuoco
o qualcuno che fa delle cose che chiamiamo cucinare?
Quello che alcuni chiamano pigro
altri lo chiamano stanco o bonario,
quella che alcuni chiamano stupidità
altri la chiamano soltanto una diversa conoscenza.
Così sono giunta alla conclusione,
che se non mescoliamo ciò che vediamo
con quella che è la nostra opinione,
ci salveremo dalla confusione.
E questo, io lo so è ancora soltanto la mia opinione.

Ruth Bebermeyer, tratto da Marshall B. Rosenberg, Le parole sono finestre [oppure muri], Introduzione alla Comunicazione Nonviolenta, Edizioni Esserci, Reggio Emilia 2003, p. 49-50.


mercoledì 23 settembre 2015

42. IL TASTO PLAY – Francesco Callegari


Nonna Maria ha 87 anni e vive sola, passando ore al lavoro di maglia o guardando la tv. Da qualche tempo però si è stancata dei programmi che vengono trasmessi: le sembrano “insulsi”. Le ho procurato allora un lettore DVD: dopo il primo film, si è appassionata talmente da chiedermene subito altri. Le ho portato “Il Concerto” di Radu Mihaileanu. Il giorno dopo, l’ho vista alquanto perplessa: “Bella la musica, ma poco movimento in quel film!”. Non capivo: “Il Concerto” non è di sicuro un film d’azione, ma i protagonisti viaggiano per l’Europa in lungo e in largo, e la nonna non è certo un tipo da Matrix. La cosa non quadrava e le ho chiesto spiegazioni. “Sono stata per un’ora a guardare l’orchestra che suonava, ma erano tutti sempre fermi e così alla fine mi sono stancata e sono andata a letto”. Nonna Maria è stata per un’ora a guardare il menu iniziale, senza mai pigiare il tasto Play che avrebbe dato inizio al film. Le ho spiegato come usare il telecomando e ora la nonnetta si gode i film dall’inizio alla fine e non rimane più imbambolata di fronte ai titoli di testa.        
Ho pensato a quante volte, noi incontriamo le persone e parliamo con loro senza mai pigiare il tasto Play; senza vedere quella scintilla che lampeggia negli occhi e ci invita a entrare; senza pronunciare quell’apriti sesamo che d’incanto spalancherebbe il cuore di chi abbiamo di fronte. Troppo spesso rimaniamo in superficie, forse per la paura di venire coinvolti nel film che l’altro sta vivendo, oppure perché troppo occupati a vivere il nostro. Accettare di entrare nel film di un’altra persona significa affacciarsi su un orizzonte sconosciuto e denso di novità. Se volessimo tradurre in italiano l’immagine del tasto Play, dovremmo usare la parola empatia.
In qualche zona dell’America Latina, al posto dell’anonimo e scontato “Come stai?”, potreste sentirvi chiedere: “Come sta oggi il tuo cuore?”. Una domanda del genere mi fa capire che l’altro c’è, che è qui per me ed è pronto a entrare nel mio film.
Talvolta è un dono, più spesso l’empatia è frutto di volontà e di esercizio. Entrare nel film di chi abbiamo di fronte è difficile e faticoso. La maggior parte delle volte si è disturbati già a partire dai titoli di testa: i modi di porsi e le espressioni dell’altro ci irritano e la relazione viene ostacolata.
E così si rimane sulla soglia, senza accettare l’invito a entrare. Si giudica la casa, senza avervi nemmeno messo piede. Si tengono strette le braccia e rattrappite le dita, quando l’altro avrebbe bisogno di una stretta sincera e onesta. Se in quei momenti avessimo la forza e la lucidità di pigiare il tasto Play, capiremmo che forse l’arroganza e le pretese nascondono un’accorata richiesta di riconoscimento, di ascolto e di aiuto.
   
Auguro a tutti voi, e a me stesso, la forza di arrivare a sfiorare il tasto Play, e di avere, con un sorriso, il coraggio di pigiarlo.
Francesco Callegari, 23 settembre 2015

mercoledì 15 aprile 2015

L’ORA DI LEZIONE – Massimo Recalcati


Periferia di Milano, anni Settanta. Gli anni del terrorismo e della droga, dei sogni di Oriente e di liberazione. Una mattina, nella classe di un Istituto Agrario, fa la sua apparizione Giulia, una giovane professoressa di lettere che parla di letteratura e di poesia con una passione sconosciuta.
È quell'incontro a «salvare» Massimo Recalcati che, in questo libro dedicato alla pratica dell'insegnamento, riflette su cosa significa essere insegnanti in una società senza padri e senza maestri, svelandoci come un bravo insegnante sia colui che sa fare esistere nuovi mondi, che sa fare del sapere un oggetto del desiderio in grado di mettere in moto la vita e di allargarne l'orizzonte. È il piccolo miracolo che può avvenire nell'ora di lezione: l'oggetto del sapere si trasforma in un oggetto erotico, il libro in un corpo.
Un elogio dell'insegnamento che non può accontentarsi di essere ridotto a trasmettere informazioni e competenze. Un elogio della stortura della vite che non deve essere raddrizzata, ma coltivata con cura e riconquistata nella sua singolare bellezza.

Massimo Recalcati, L’ora di lezione, Einaudi, Torino 2014.
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