Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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venerdì 15 settembre 2017

UN LEGGERISSIMO SPOSTAMENTO – Edward De Bono

@ Carte Dixit
Un leggerissimo spostamento del punto di osservazione può portare a risultati profondamente diversi. Una delle più importanti scoperte della scienza medica di tutti i tempi, quella del vaccino contro il vaiolo, avvenne quando Edward Jenner, che stava cercando le cause di questa malattia, spostò la sua attenzione sull’immunità che le contadine parevano godere a questo riguardo. E fu grazie alla scoperta che il vaccino indebolito immunizza da quello virulento che venne introdotta la vaccinazione e che il mondo occidentale fu libero dal flagello del vaiolo.
Edward De Bono, Il pensiero laterale. Come diventare creativi, BUR, Milano 1997, p. 85


lunedì 29 febbraio 2016

DIVERGENZA DI OPINIONI - Dale Carnegie (1888-1955)


Si tenga presente il detto: “Quando due persone sono sempre d’accordo, una delle due non serve.”
Se si scopre qualcosa a cui non si era pensato, reagire con gratitudine. Forse questo punto di scontro fornirà la possibilità di non compiere un grosso sbaglio.

Dale Carnegie, Come trattare gli altri e farseli amici, 1936, ed. it. Bompiani, Milano 2001, p. 135.

mercoledì 18 novembre 2015

LE STESSE LACRIME - Francesco Callegari


Lo stesso piombo di Beirut e di Parigi ha lacerato la nostra mente 
e il nostro cuore.

Mogli e fratelli, figlie e mariti sono pianti da lacrime 
dello stesso colore.


mercoledì 8 luglio 2015

E SAN FRANCESCO? – Tiziano Terzani


E san Francesco? E tutti quegli altri? Tutti matti perché non andavano a fare quello che bisognava fare a quei tempi?
No, no, diversi! Persone che con la loro diversità hanno indicato anche un modo diverso di essere. Pensa, san Francesco, sarà stato simpatico?!
Tiziano Terzani, La fine è il mio inizio, Longanesi, Milano 2006.


venerdì 5 giugno 2015

COS'E' CHE MI DISPERA? - Tiziano Terzani


Cos’è che mi dispera? A me dispera la fine della biodiversità, mi dispera che non ci siano più le mele cotogne. Vogliamo le mele tutte fatte tonde, tutte uguali, tutte lucide, e con questo eliminiamo la diversità che è il fondamento della vita. 
La di- ver- si- tà! Perché secondo me la ricchezza dell’umanità sta nella sua varietà.

Tiziano Terzani, La fine è il mio inizio, Longanesi, Milano 2006.

mercoledì 19 novembre 2014

PARLARE – Mariapia Veladiano


Dire solo parole che fanno la differenza.
Prima qualcuno era fuori, e noi lo abbiamo invitato ad entrare. Anche se non aveva le parole per chiederlo.
Lui non conosceva il suo nome, e noi lo abbiamo chiamato mentre ancora era lontano. Pentecoste quotidiana di chi si riconosce.
C'è anche chi non sa proprio le parole, straniero al paese in cui ha trovato rifugio e anche a se stesso in questa terra, e allora noi gliele insegniamo, una a una, festoni di suoni colorati appesi alle pareti d'aula, raggruppate in famiglie composte e perbene: casa, casina, casetta, casona, casata. Anche caserma per movimentare un po'. E a volte capita di consegnare una parola per noi indifferente e facile facile, come mare, ad esempio e quando loro, i bambini, ce la restituiscono e appendono il festone, scopriamo che non hanno potuto far famiglia, perché forse l'hanno persa per sempre la loro famiglia. E le parole ci ritornano raggruppate per desideri e dolori: mare, mamma, casa. E anche porto, buio, onde, paura. E felici allora se troviamo parole che accolgano le loro, che adesso oscillano lievi ogni volta che le sfioriamo sospese, disposte a diventare racconti non ancora scritti ma già pronti quasi a disperdersi nel mondo quando il vento entra dalle finestre aperte dell'aula e le solleva come la coda di un aquilone.
Mariapia Veladiano, Ma come tu resisti, vita, p. 51.


venerdì 24 ottobre 2014

IL PESCE SULL'ALBERO - Albert Einstein


"Per una selezione equa tutti devono fare lo stesso esame: si prega di salire su quell’albero".

Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua capacità di arrampicarsi su un albero, vivrà tutta la sua vita credendo di essere stupido.
Albert Einstein

martedì 9 settembre 2014

L’EMPATIA – Mamma Patrizia


Ciao, carissimo Francesco!
Ho letto con molta contentezza la tua lettera di inizio anno scolastico.
Mi fa piacere che la scuola (insegnanti, genitori e alunni) si ponga per tema  "l'inclusione". Non è solo un argomento da discutere, ma un obiettivo da raggiungere... gradualmente. Gli esclusi sono tanti e per i più svariati motivi.
Involontariamente e inconsciamente escludiamo dal nostro sguardo (e quindi dal gruppo) quegli alunni che, per gravi ritardi psicofisici, sono affidati a un insegnante di sostegno. La coscienza si sente a posto sapendo che qualcuno si prende cura di loro, per cui reputiamo che non sia necessario farli interagire dentro e fuori della classe.
Poi, ci sono quei ragazzi che, per una qualche difficoltà scolastica o disturbi di apprendimento, ci appaiono come "i più stupidi" della situazione, quelli che arrancano, fanno fatica e a malapena riescono... Questi vengono esclusi perché giudichiamo riprovevole rovinare un gruppetto di scolari promettenti.
Altri non hanno questo genere di problemi, ma un carattere turbolento, irrequieto, aggressivo. Questi tipi li vediamo come una minaccia: potrebbero essere di cattivo esempio a quei coetanei che si apprestano a osservare le regole della buona convivenza sociale.
Una piccola cerchia, invece si esclude da sé, si autoelimina, per timore dei pregiudizi dei compagni sul loro aspetto fisico. Spesso si sentono presi in giro con dei nomignoli dispregiativi.
Alla categoria degli autoesclusi appartengono, ancora, anche quelle persone timidissime, introverse, paurose. Sono talmente impacciate che non riescono a emergere, sono così invisibili che tanti si convincono che la loro esistenza sia insignificante.
Comunque sia, la terapia comune è "l'empatia", il vero e unico atteggiamento di accoglienza dell'altro. Empatici non si nasce: è qualcosa s'impara (un anno dovrebbe essere più che sufficiente...).

Ciao, un abbraccio affettuoso

Patrizia

lunedì 1 settembre 2014

39. UN BAMBINO FATTO IN CASA - Francesco Callegari



Ne ho provati tanti e sono giunto alla conclusione che il migliore sia quello altoatesino. Sarà per via dell’erba o dell’acqua, non so, ma lo yogurt dell’Alto Adige ha un sapore particolare. Mi piace soprattutto quello alla vaniglia e, quando al supermercato vedo allineati i barattoli da mezzo chilo, ne pregusto già il profumo e la morbida consistenza. L’unica cosa che allora osservo con attenzione è la data di scadenza, perché mezzo chilo di yogurt non lo consumi in mezza giornata.
Per giungere a questa scelta ne ho però assaggiati parecchi e ho letto le loro etichette: quante calorie e quanti fermenti lattici vivi (che al solo pensarci fa un po’ impressione), e poi gli zuccheri, gli amidi, la frutta. Le etichette sono importanti: se non ci fossero loro a dirci per esempio quanto residuo fisso rimane nell’acqua che beviamo, non oso pensare ai danni che provocheremmo al nostro organismo! Per fortuna, su tutti gli alimenti confezionati vige l’obbligo di apporre un’etichetta che ne descriva nel dettaglio gli ingredienti. La fabbricazione in serie, tipica dell’industria, consente la produzione di pezzi tutti identici, rendendo così di fatto possibile l’etichettatura.
Questa stessa operazione risulta invece molto complicata, e forse anche inutile se non rischiosa, per tutti quei beni che non sono prodotti in serie: molto probabilmente il pane fatto in casa risulterà diverso per dosi e sapore in ciascuna cottura, così come la passata casalinga di pomodori o la confettura di frutta. A questi alimenti non ci sogneremmo mai di apporre una minuziosa schedatura degli ingredienti, ma ci limiteremmo a gustarli nella loro meravigliosa fragranza lasciandoci sorprendere di volta in volta dall’incanto della loro novità.
Due genitori mi hanno appena scritto una bellissima lettera rivendicando, per il loro bambino fatto in casa, il sacrosanto diritto all’unicità.
Spesso la nostra mente applica inavvertitamente alle persone lo stesso processo conoscitivo utilizzato per le acque minerali: naturali o frizzanti, povere o ricche di sodio, con alto o basso residuo fisso, ecc. Questo meccanismo semplificatorio, che normalmente ci aiuta ad affrontare e comprendere il mondo reale riducendo l’ansia delle diversità, risulta però deleterio se applicato alle persone.
Alexandre Jollien, giovane filosofo francese, esprime bene questo rischio:
“Il nostro rapporto con il mondo procede per riduzioni. Ogni giorno devo raccogliere, setacciare, selezionare informazioni in funzione di ciò che è necessario per vivere. Questo lavoro obbliga a fissare priorità, a focalizzare le urgenze. Non posso vedere tutto, capire tutto, né fare tutto. Di conseguenza, organizzo il mio mondo, incollando alla realtà delle etichette, delle parole, a tal punto che ben presto finirò per vedere solo quelle. Gli antichi vedevano nell’esperienza il principio della saggezza. Eppure, essa può anche portare a ridurre l’essere che ci sta di fronte a una etichetta”.
Alexandre JollienIl mestiere di uomo, Edizioni Qiqaion, Magnano (BI) 2003, p. 63
Incasellare le persone, limita prima di tutto la nostra possibilità di godere e apprezzare la ricchezza delle diverse individualità, ma offre anche incautamente il fianco ad atteggiamenti discriminatori che potrebbero propagarsi nel gruppo dei pari con conseguenze devastanti a livello relazionale.
Soprattutto in un ambiente come la scuola, creato appositamente per far crescere le persone al meglio delle loro possibilità e per allenarle alla vita sociale, è importante il rispetto sostanziale delle diverse individualità, rispetto che si manifesta anche attraverso l’uso di parole che creino empatia, che facciano crescere, che uniscano e non che dividano o escludano. Parole che parlino di libertà e non di prigioni: nel momento in cui etichettiamo una persona, magari a causa di un suo particolare modo di essere, di fare o di parlare, apponiamo su di lei un marchio indelebile che la imprigionerà per sempre portandoci a identificare quella stessa persona con l’etichetta che le abbiamo assegnato e impedendoci di vedere in lei tutto il resto.
Il primo passo, anche se forse il più difficile, è quello di non esprimere giudizi sulle persone. Lo psicologo statunitense Marshall Rosenberg, creatore del metodo della Comunicazione Non Violenta, scrive:
“Il filosofo indiano J. Krishnamurti una volta affermò che osservare senza valutare è la forma più elevata di intelligenza umana. Per la maggior parte di noi, è difficile osservare le persone e i loro comportamenti senza mescolarvi giudizi, critiche o altre forme di analisi.
Attribuendo etichette alle persone, tendiamo ad assumere nei loro confronti atteggiamenti che contribuiscono a generare i comportamenti stessi che ci preoccupano, il che poi lo vediamo come una ulteriore conferma della nostra diagnosi”.
Marshall B. Rosenberg, Le parole sono finestre, Ed. Esserci, 2003, p. 48, 50, 107.
Il cammino verso la comunicazione non violenta ci apre a nuovi orizzonti e ci invita a cambiare il nostro asse di prospettiva. Normalmente noi utilizziamo il metro di giudizio verticale che prevede a un estremo il concetto di giusto con il relativo premio, dall’altro il concetto di sbagliato con il relativo castigo. Esiste un altro asse relazionale: quello orizzontale, basato sulla comprensione dei bisogni e sul riconoscimento delle emozioni. Bisogni ed emozioni sono strettamente correlati: un bisogno soddisfatto genera un’emozione positiva e viceversa.
Si parla tanto oggi di scuola inclusiva: fino a ieri si diceva che la scuola deve integrare, oggi deve includere. Io non so quale sia tra i due il termine più corretto, so per certo però che una buona scuola è quella che è disposta all’incontro, che sa accogliere e valorizzare le diversità. Una scuola accogliente è una scuola attenta ai bisogni, è una scuola che tende a produrre emozioni positive, che non isola e non esclude, una scuola che non umilia e non mortifica, una scuola che non etichetta e non ingabbia, ma che valorizza il bello e il buono di ciascuno, facendo volare tutti, docenti e allievi. Insieme.
Una scuola attenta sa mettere ciascun allievo nelle migliori condizioni per apprendere. Ancora l’asse bisogni-emozioni, perché l’apprendimento passa più facilmente attraverso le emozioni: “Capitano, mio capitano!”. Lungo l’asse premio-castigo passa solo un apprendimento temporaneo, fasullo, buono solo per l’interrogazione del giorno dopo. Una grande perdita di tempo, in definitiva.
Secondo il filosofo Pierre Durrande:
“Il compito primario di un educatore è quello di offrire la testimonianza di un’umanità autentica e piena. Ed è solo attraverso un costante lavoro su se stesso che un educatore può impegnarsi in quest’opera vitale, poiché educare è innanzitutto incontrare e ogni incontro è possibile solo creando uno spazio di accoglienza in se stessi, quello spazio che nasce da una piena adesione alla propria umanità”.
Pierre DurrandeL’arte di educare alla vita, Edizioni Qiqaion, Magnano (BI) 2012.
Ed è proprio lì, nell’apertura consapevole all’incontro, che si gioca la grande sfida dell’inclusione/integrazione: è in classe, ma anche in casa, che le parole e i gesti assumono il colore dell’accoglienza, il sapore della libertà e il canto della speranza.
Buon anno scolastico.                                                                 
1 settembre 2014

Francesco Callegari                                                                      
dirigente scolastico

giovedì 7 agosto 2014

LE VITE DEGLI ALTRI – Paulo Coelho



Quando si vedono sempre le stesse persone, alla fine queste cominciano a far parte della nostra vita. E quando divengono parte della nostra vita, cominciano anche a volerla modificare. Se non ci comportiamo come loro si aspettano, si irritano. Sembra che tutti abbiano l'idea esatta di come dobbiamo vivere la nostra vita. E non sanno mai come devono vivere la loro.
Paulo Coelho, L’alchimista, 1988, ed. it. Bompiani, Milano 1995, P. 31.


lunedì 4 agosto 2014

IL RE CHE DOVEVA MORIRE – Gianni Rodari (1920-1980)


Una volta un re doveva morire. Era un re assai potente, ma era malato a morte e si disperava: - Possibile che un re tanto potente debba morire? Che fanno i miei maghi? Perché non mi salvano?
Ma i maghi erano scappati per paura di perdere la testa. Ne era rimasto uno solo, un vecchio mago a cui nessuno dava retta, perché era piuttosto bislacco e forse anche un po' matto. Da molti anni il re non lo consultava, ma stavolta lo mandò a chiamare.
- Puoi salvarti, - disse il mago, - ma a un patto: che tu ceda per un giorno il tuo trono all'uomo che ti somiglia più di tutti gli altri. Lui, poi, morirà al tuo posto.
Subito venne fatto un bando in tutto il reame: - Coloro che somigliano al re si presentino a Corte entro ventiquattr'ore, pena la vita.
Se ne presentarono molti: alcuni avevano la barba uguale a quella del re, ma avevano il naso un tantino più lungo o più corto, e il mago li scartava; altri somigliavano al re come un'arancia somiglia a un'altra nella cassetta del fruttivendolo, ma il mago li scartava perché gli mancava un dente, o perché avevano un neo sulla schiena.
- Ma tu li scarti tutti, - protestava il re col suo mago. - Lasciami provare con uno di loro, per cominciare.
- Non ti servirà a niente, - ribatteva il mago.
Una sera il re e il suo mago passeggiavano sui bastioni della città, e a un tratto il mago gridò: - Ecco, ecco l'uomo che ti somiglia più di tutti gli altri!
E così dicendo indicava un mendicante storpio, gobbo, mezzo cieco, sporco e pieno di croste.
- Ma com'è possibile, - protestò il re, - tra noi due c'è un abisso.
- Un re che deve morire, - insisteva il mago, - somiglia soltanto al più povero, al più disgraziato della città. Presto, cambia i tuoi vestiti con i suoi per un giorno, mettilo sul trono e sarai salvo.
Ma il re non volle assolutamente ammettere di assomigliare al mendicante. Tornò al palazzo tutto imbronciato e quella sera stessa morì, con la corona in testa e lo scettro in pugno.
Gianni Rodari, Favole al telefono, p. 64-65.


lunedì 14 luglio 2014

LA SENSIBILITA’ – Maria Luisa Spaziani (1924-2014)


La sensibilità è mettere l’alone alle cose. Noi normalmente diciamo: quella è una matita, questa è una caffettiera, ma se riusciamo a vedere quello stesso oggetto in modo diverso, notiamo aspetti che ai più sfuggono.
E’ come nella Pop Art americana. Che cosa ha fatto? Che cosa ha inventato? La Pop Art ha inventato che un dentifricio può essere lungo due metri. Perché? Perché ha rotto la consuetudine, l’abitudine, la pigrizia dell’occhio secondo cui un dentifricio deve essere lungo quindici centimetri e non può essere diversamente.
La stessa cosa si fa in poesia: si prende un oggetto e lo si mette in un contesto nuovo, personalizzato e vibrante.

Rita Levi-Montalcini: Aggiungere vita ai giorni, a cura di Raffaella Ranise e Giuseppina Tripodi, Longanesi, Milano 2013, p. 116.


domenica 6 luglio 2014

MANY STEPS - Takayuki Akachi



I traveled around the world to create the film which concept is "collecting the steps from all over the world and playing a music with the steps".
All of us breathe in the same air and step on the same ground.

Takayuki Akachi

sabato 17 maggio 2014

AMO LA SCUOLA … CHE E’ LUOGO DI INCONTRO – Papa Francesco


Un altro motivo è che la scuola è un luogo di incontro. Perché tutti noi siamo in cammino, avviando un processo, avviando una strada. E ho sentito che la scuola, l'abbiamo sentito tutti oggi, non è un parcheggio. E un luogo di incontro nel cammino. Si incontrano i compagni; si incontrano gli insegnanti; si incontra il personale assistente. I genitori incontrano i professori; il preside incontra le famiglie, eccetera. E un luogo di incontro. E noi oggi abbiamo bisogno di questa cultura dell'incontro per conoscerci, per amarci, per camminare insieme. E questo è fondamentale proprio nell'età della crescita, come un complemento alla famiglia. La famiglia è il primo nucleo dí relazioni: la relazione con il padre e la madre e i fratelli è la base, e ci accompagna sempre nella vita. 
Ma a scuola noi "socializziamo": incontriamo persone diverse da noi, diverse per età, per cultura, per origine, per capacità. La scuola è la prima società che integra la famiglia. La famiglia e la scuola non vanno mai contrapposte! Sono complementari, e dunque è importante che collaborino, nel rispetto reciproco. E le famiglie dei ragazzi di una classe possono fare tanto collaborando insieme tra di loro e con gli insegnanti. 
Questo fa pensare a un proverbio africano tanto bello: "Per educare un figlio ci vuole un villaggio". Per educare un ragazzo ci vuole tanta gente: famiglia, insegnanti, personale non docente, professori, tutti! 
Papa Francesco, Giornata della scuola, Roma, 10 maggio 2014


sabato 29 marzo 2014

37. IL VOLO LEGGERO – Francesco Callegari


Occorre essere leggeri per volare senza sforzo. Gli uccelli sono un buon esempio di volo leggero. Il loro elemento è l’aria e quando stanno sulla terra sembrano sempre un po’ a disagio. Le loro zampe minuscole tengono bene i rami degli alberi o i fili della luce, ma aiutano poco i movimenti terrestri. I loro passi imbarazzati lasciano orme appena accennate, quasi per sbaglio, come di scusa. Il segreto degli uccelli sta nel paradosso dell’assenza, ha molto a che vedere con il vuoto, si spiega togliendo e non riempiendo.
Ho conosciuto persone come uccelli, passate sulla terra in punta di piedi, senza possedere nulla, senza rovinare nulla. Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai. Il loro sguardo sfiora senza desiderio, la loro mano accarezza senza violenza, la loro parola incanta per la disarmante semplicità. Più del cielo che della terra, queste donne e questi uomini ci sono prestati per esempio, per indirizzo: il loro volo ci invita ad alzare lo sguardo.
E rimane lo stupore generato dalla gratuità, rimane lo scompiglio di fronte al silenzio, rimane la difficoltà di capire il perdersi per ritrovarsi. Noi, così pieni, così pesanti.  

Francesco Callegari   
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