Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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venerdì 17 ottobre 2014

LA VERA TRAGEDIA - Massimo Gramellini


La vera tragedia non è la cattiveria dei cattivi,
ma la futilità delle buone intenzioni dei buoni.

Massimo Gramellini, L'ultima riga delle favole, p. 46.

domenica 25 maggio 2014

LA FATICA DELLA SPERANZA – Antoine de Saint-Exupéry (1900-1944)


Sentinella, sentinella, è camminando lungo i bastioni nel tormento del dubbio proveniente dalle notti calde, è ascoltando i rumori della città quando la città non ti parla, è sorvegliando le dimore degli uomini quando sono una sola macchia scura, è respirando il deserto intorno quando non c’è che vuoto, è sforzandoti di amare senza amare, di credere senza credere, di essere fedele quando non sai più a chi devi essere fedele, è allora che prepari in te la luce della sentinella, luce che talvolta giungerà come una ricompensa e un dono dell’amore.

Sentinelle, sentinelle, c'est en marchant le long des remparts dans l'ennui du doute qui vient des nuits chaudes, c'est en écoutant les bruits de la ville quand la ville ne te parle pas, c'est en surveillant les demeures des hommes quand elles sont morne assemblage, c'est en respirant le désert autour quand il n'est que vide, c'est en t'efforçant d'aimer sans aimer, de croire sans croire, et d'être fidèle quand il n'est plus à qui être fidèle, que tu prépares en toi l'illumination de la sentinelle, qui te viendra parfois comme récompense et don de l'amour.
Antoine de Saint-Exupéry, Citadelle, 1948, 
tr. Enzo L.Gaya, Cittadella [edizione ridotta], Borla, Roma, 1978

martedì 4 febbraio 2014

UN CLARINETTO NEL LAGER - Aldo Valerio Cacco



Aldo Valerio Cacco, prigioniero nei campi di concentramento di Fürstenberg e Nordhausen tra il 1943 e il 1945, grazie al suo clarinetto, con cui suonava Lily Marleen e altre arie musicali conosciute, riuscì a sopravvivere e a ritornare a casa.
«Qui più il tempo passa più si allontana la speranza di rimpatriare. Proprio ora entra un soldato del campo e vuole che suoni: ho suonato circa 20 minuti e per premio mi ha dato una razione di pane, un pezzetto di burro e 2 sigarette. Meglio di così non poteva andare. [...] Per adesso il clarino non lo vendo perché è facile che questa settimana mi porti qualche cosa da mangiare».
Ora è il momento di mettere nero su bianco il racconto della sua tragica esperienza… per non dimenticare.

Aldo Valerio Cacco, Un clarinetto nel Lager. Diario di prigionia 1943-1945, a cura di Patrizio Zanella, Padova 2013

Autore

Valerio Cacco (1924), soldato dell'Esercito Italiano, catturato dopo l'8 settembre ’43, fu deportato in Germania e internato nel lager III B di Fürstenberg in Turingia e poi in quello di Nordhausen. Grazie alla musica e al suo clarinetto, che ancora conserva, riuscì a sopravvivere e a tornare a casa. 
Nel 1985 il presidente della Repubblica Sandro Pertini gli conferì il diploma d'onore di «Combattente per la libertà d'Italia 1943-1945», definendolo «internato militare non collaborazionista».

martedì 21 gennaio 2014

DUE PAROLE IN CINQUE ANNI – Anthony De Mello


Un uomo voleva entrare in un ordine religioso molto rigido.
Gli venne spiegato che la regola dell’ordine consisteva nel parlare all’abate soltanto una volta ogni cinque anni, e anche in quell’occasione di dire solo due parole.
Dopo cinque anni, l’abate chiamò l’uomo e gli chiese: «Dimmi le tue due parole».
L’uomo disse: «Cibo terribile».
Cinque anni più tardi, l’abate di nuovo lo chiamò e gli chiese le sue due parole.
L’altro rispose: «Letto duro».
Dopo altri cinque anni, l’abate di nuovo chiese all’uomo le sue due parole e questi replicò: «Stanza fredda».
Cinque anni dopo, nuovamente si ripeteva il rito delle due parole e questa volta il nostro amico disse: «Per dirvi la verità, sono proprio stanco di questo posto e ho deciso di andarmene».
L’abate allora rispose: «Non sono per nulla sorpreso, una bella liberazione per te! Non hai fatto altro che lamentarti da quando sei arrivato».

Anthony De Mello, Brevetto di volo per aquile e polli, p. 76-77

domenica 12 gennaio 2014

LA GENTE QUE ME GUSTA - Mario Benedetti (1920-2009)



Mi piacciono le persone che vibrano, quelle che non devi continuamente sollecitare e a cui non devi dire di fare le cose, ma che al contrario sanno quello che c’è da fare e lo fanno.
Mi piacciono le persone che coltivano i loro sogni fino a quando tali sogni diventano realtà.
Mi piacciono le persone capaci di assumersi le conseguenze delle proprie azioni, le persone che rischiano il certo per l’incerto pur di andare dietro a un sogno, le persone che si permettono di fuggire i consigli sensati lasciando la soluzione in mano al nostro padre Dio.
Mi piacciono le persone che sono giuste con gli altri e con loro stesse, le persone che apprezzano il nuovo giorno, le cose buone della loro vita, le persone che vivono ogni ora allegramente facendo del loro meglio, grate di essere vive, di poter regalare sorrisi, di offrire le loro mani e aiutare generosamente, senza aspettarsi nulla in cambio.
Mi piacciono le persone capaci di criticarmi costruttivamente e di fronte, senza ferirmi. Le persone che hanno tatto. Mi piacciono le persone che hanno il senso della giustizia.
Questi io li chiamo “amici”.
Mi piacciono le persone che conoscono l’importanza dell’allegria e la diffondono, le persone che attraverso gli scherzi ci insegnano a prendere la vita con buon umore. Le persone che non dimenticano mai il loro lato bambino.
Mi piacciono le persone che contagiano con la loro allegria.
Mi piacciono le persone sincere e franche, capaci di opporsi con argomenti ragionevoli alle decisioni degli altri.
Mi piacciono le persone fedeli e testarde, che non si arrendono quando si tratta di raggiungere obiettivi e idee.
Mi piacciono le persone di buon senso, che non si vergognano di riconoscere di essersi sbagliate o di non sapere qualcosa. Mi piacciono le persone che, nell’accettare i propri errori, si sforzano di non commetterli più.
Mi piacciono le persone che lottano contro le avversità, le persone che cercano soluzioni.
Mi piacciono le persone che pensano e che meditano. Le persone che danno valore ai propri simili non per il loro aspetto esteriore o secondo gli stereotipi sociali.
Mi piacciono le persone che non giudicano e che non permettono agli altri di giudicare.
Mi piacciono le persone che hanno personalità.
Mi piacciono le persone in grado di capire che l'errore più grande dell'uomo sta nel cercare di tirare fuori dalla testa ciò che non viene dal cuore.
La sensibilità, il coraggio, la solidarietà, la bontà, il rispetto, la tranquillità, i valori, l’allegria, l’umiltà, la fede, la felicità, il tatto, la fiducia, la speranza, la riconoscenza, la sapienza, i sogni, il pentimento e l’amore verso gli altri e verso se stessi, sono cose fondamentali per chiamarsi “persone”.
Con persone come queste mi impegno su qualsiasi cosa per il resto della mia vita, dal momento che, per il semplice fatto di tenerle al mio fianco, mi sento ben ricompensato.
Mario Benedetti

Mario Orlando Hamlet Hardy Brenno Benedetti-Farugia, noto come Mario Benedetti (Paso de los Toros, 14 settembre 1920 – Montevideo, 17 maggio 2009), è stato un poeta, saggista, scrittore e drammaturgo uruguaiano.

lunedì 4 marzo 2013

IL VERO BENE - Lucio Anneo Seneca (4 a.C. - 65)



Vuoi sapere che cosa sia il vero bene o da dove venga? Te lo dirò: dalla buona coscienza, dagli onesti propositi, dalle rette azioni, dal disprezzo del caso, dal tranquillo e costante tenore di vita di chi segue sempre lo stesso cammino. Quegli uomini che passano da un proposito all'altro o neppure passano, ma si lasciano portare dal caso, come possono avere sicurezza e stabilità se sono incerti e instabili?
Sono pochi quelli che decidono di sé e delle proprie cose a ragion veduta: gli altri, come gli oggetti che galleggiano nei fiumi, non avanzano: vengono trasportati: alcuni sono trattenuti e spostati più lentamente da una corrente più debole, altri trascinati con maggiore violenza, altri deposti vicino alla riva da una corrente meno forte, altri gettati in mare dall'impeto delle acque. Dobbiamo, perciò stabilire che cosa vogliamo e perseverare nei nostri propositi.
Lucio Anneo Seneca (4 a.C. – 65), Lettere a Lucilio

domenica 3 marzo 2013

LA VECCHIA ZIA ADA - Gianni Rodari (1920-1980)



La vecchia zia Ada, quando fu molto vecchia, andò ad abitare al ricovero dei vecchi, in una stanzina con tre letti, dove già stavano due vecchine, vecchie quanto lei. La vecchia zia Ada si scelse subito una poltroncina accanto alla finestra e sbriciolò un biscotto secco sul davanzale.
- Brava, così verranno le formiche, - dissero le altre due vecchine, stizzite.
Invece dal giardino del ricovero venne un uccellino, beccò di gusto il biscotto e volò via.
- Ecco, - borbottarono le vecchine, - che cosa ci avete guadagnato? Ha beccato ed è volato via. Proprio come i nostri figli che se ne sono andati per il mondo, chissà dove, e di noi che li abbiamo allevati non si ricordano più.
La vecchia zia Ada non disse nulla, ma tutte le mattine sbriciolava un biscotto sul davanzale e l'uccellino veniva a beccarlo, sempre alla stessa ora, puntuale come un pensionante, e se non era pronto bisognava vedere come si innervosiva.
Dopo qualche tempo l'uccellino portò anche i suoi piccoli, perché aveva fatto il nido e gliene erano nati quattro, e anche loro beccarono di gusto il biscotto della vecchia zia Ada, e venivano tutte le mattine, e se non lo trovavano facevano un gran chiasso.
- Ci sono i vostri uccellini, - dicevano allora le vecchine alla vecchia zia Ada, con un po' d'invidia. E lei correva, per modo di dire, a passettini passettini, fino al suo cassettone, scovava un biscotto secco tra il cartoccio del caffè e quello delle caramelle all'anice e intanto diceva:
- Pazienza, pazienza, sono qui che arrivo.
- Eh, - mormoravano le altre vecchine, - se bastasse mettere un biscotto sul davanzale per far tornare i nostri figli. E i vostri, zia Ada, dove sono i vostri?
La vecchia zia Ada non lo sapeva più: forse in Austria, forse in Australia; ma non si lasciava confondere, spezzava il biscotto agli uccellini e diceva loro: - Mangiate, su, mangiate, altrimenti non avrete abbastanza forza per volare.
E quando avevano finito di beccare il biscotto: - Su, andate, andate. Cosa aspettate ancora? Le ali sono fatte per volare.
Le vecchine crollavano il capo e pensavano che la vecchia zia Ada fosse un po' matta, perché vecchia e povera com'era aveva ancora qualcosa da regalare e non pretendeva nemmeno che le dicessero grazie.
Poi la vecchia zia Ada morì, e i suoi figli lo seppero solo dopo un bel po' di tempo, e non valeva più la pena di mettersi in viaggio per il funerale. Ma gli uccellini tornarono per tutto l'inverno sul davanzale della finestra e protestavano perché la vecchia zia Ada non aveva preparato il biscotto.
Gianni Rodari, Favole al telefono, p. 61-62

martedì 5 febbraio 2013

L'ALLIEVO GIAPPONESE - Eugen Herrigel (1884-1955)



L'allievo giapponese porta con sé tre cose: buona educazione, appassionato amore per l'arte da lui scelta e venerazione incondizionata del maestro. Fin dai tempi più antichi il rapporto maestro-allievo fa parte dei legami fondamentali della vita e investe perciò il maestro di una grande responsabilità, che va molto al di là dei limiti della sua materia.
All'inizio allo scolaro non si richiede che una coscienziosa imitazione di ciò che il maestro esegue davanti a lui. Alieno da lunghe istruzioni e spiegazioni, questi si limita a brevi cenni e non si aspetta che l'allievo ponga domande. Egli assiste tranquillamente agli incerti tentativi senza ripromettersi autonomia e iniziativa, e ha la pazienza di attendere la crescita e la maturazione.
L'uno e l'altro non hanno fretta, il maestro non spinge e l'allievo non corre.
Eugen Herrigel, Lo zen e il tiro con l’arco, (1948), p. 58

giovedì 27 dicembre 2012

CANZONE DI SAN DAMIANO - Claudio Baglioni (1972)



Ogni uomo semplice porta in cuore un sogno,
con amore ed umiltà potrà costruirlo;
Se con fede tu saprai vivere umilmente,
più felice tu sarai anche senza niente.
Se vorrai ogni giorno con il tuo sudore,
una pietra dopo l’altra in alto arriverai!
Nella vita semplice troverai la strada
che la calma donerà al tuo cuore puro.
E le gioie semplici sono le più belle,
sono quelle che alla fine sono le più grandi.
Dai e dai ogni giorno con il tuo sudore,
una pietra dopo l’altra in alto arriverai!

Canzone di san Damiano , scritta da padre Jean-Marie Benjamin, cantata da Claudio Baglioni  su musica di Donovan (1972).

lunedì 17 dicembre 2012

GLI AUGURI - Bruno Ferrero



Il piccolo Carlo era un bambino timido e tranquillo. Un giorno arrivò a casa e disse a sua madre che avrebbe voluto preparare una cartolina di San Valentino per tutti i suoi compagni di classe.
La madre istintivamente esclamò: «Ma no! Non è il caso!».
Ogni giorno osservava i bambini quando tornavano a casa a piedi da scuola. Il suo Carlo arrancava sempre per ultimo. Gli altri ridevano e formavano un'allegra e rumorosa combriccola. Ma Carlo non faceva mai parte del gruppo. La madre decise di aiutare il figlio e acquistò cartoncini e pennarelli. Per tre settimane, sera dopo sera, Carlo illustrò meticolosamente trentacinque cartoline di San Valentino.
Giunse il giorno di San Valentino e Carlo era fuori di sé per l'emozione. Le accatastò con cura, le mise nello zainetto e corse fuori. La madre decise di cucinargli il suo dolce preferito e farglielo trovare con una tazza di cioccolata calda per quando sarebbe tornato a casa da scuola. Sapeva che sarebbe rimasto deluso e forse in questo modo gli avrebbe alleviato il dolore. Avrebbe dato una cartolina a tutti, ma lui non ne avrebbe ricevuta nemmeno una.
Quel pomeriggio preparò la torta e la cioccolata. Quando udì il solito vociare dei bambini, guardò fuori della finestra. Stavano arrivando, ridendo e chiacchierando come al solito. E come sempre l'ultimo era Carlo. Da solo.
Entrò in casa quasi di corsa e buttò lo zainetto su una sedia. Non aveva niente in mano e la madre si aspettava che scoppiasse in lacrime. «La mamma ti ha preparato la torta e la cioccolata», disse, con un nodo in gola. Ma lui quasi non sentì le sue parole. Passò oltre, il volto acceso, dicendo forte: «Neanche uno. Neanche uno!».
La madre lo guardò incerta.
E il bambino aggiunse: «Non ne ho dimenticato neanche uno, neanche uno».

Bruno Ferrero, in Il segreto dei pesci rossi

domenica 28 ottobre 2012

IL MIRACOLO - Bruno Ferrero


Questa è la storia vera di una bambina di otto anni che sapeva che l’amore può fare meraviglie. Il suo fratellino era destinato a morire per un tumore al cervello. I suoi genitori erano poveri, ma avevano fatto di tutto per salvarlo, spendendo tutti i loro risparmi. Una sera, il papà disse alla mamma in lacrime: “Non ce la facciamo più, cara. Credo sia finita. Solo un miracolo potrebbe salvarlo”.
La piccola, con il fiato sospeso, in un angolo della stanza aveva sentito. Corse nella sua stanza, ruppe il salvadanaio e, senza far rumore, si diresse alla farmacia più vicina. Attese pazientemente il suo turno. Si avvicinò al bancone, si alzò sulla punta dei piedi e, davanti al farmacista meravigliato, posò sul banco tutte le monete.
"Per cos’è? Che cosa vuoi piccola?".
"È per il mio fratellino, signor farmacista. È molto malato e io sono venuta a comprare un miracolo".
"Che cosa dici?" borbottò il farmacista.
"Si chiama Andrea, e ha una cosa che gli cresce dentro la testa, e papà ha detto alla mamma che è finita, non c’è più niente da fare e che ci vorrebbe un miracolo per salvarlo. Vede, io voglio tanto bene al mio fratellino, per questo ho preso tutti i miei soldi e sono venuta a comperare un miracolo".
Il farmacista accennò un sorriso triste. "Piccola mia, noi qui non vendiamo miracoli".
"Ma se non bastano questi soldi posso darmi da fare per trovarne ancora. Quanto costa un miracolo?".
C’era nella farmacia un uomo alto ed elegante, dall’aria molto seria, che sembrava interessato alla strana conversazione. Il farmacista allargò le braccia mortificato. La bambina, con le lacrime agli occhi, cominciò a recuperare le sue monetine.
L’uomo si avvicinò a lei. "Perché piangi, piccola? Che cosa ti succede?".
"Il signor farmacista non vuole vendermi un miracolo e neanche dirmi quanto costa ... È per il mio fratellino Andrea che è molto malato. Mamma dice che ci vorrebbe un’operazione, ma papà dice che costa troppo e non possiamo pagare e che ci vorrebbe un miracolo per salvarlo. Per questo ho portato tutto quello che ho".
"Quanto hai?".
"Un dollaro e undici centesimi ... Ma, sapete ..." aggiunse con un filo di voce, "posso trovare ancora qualcosa ...".
L’uomo sorrise "Guarda, non credo sia necessario. Un dollaro e undici centesimi è esattamente il prezzo di un miracolo per il tuo fratellino!".
Con una mano raccolse la piccola somma e con l’altra prese dolcemente la manina della bambina. "Portami a casa tua, piccola. Voglio vedere il tuo fratellino e anche il tuo papà e la tua mamma e vedere con loro se possiamo trovare il piccolo miracolo di cui avete bisogno".
Il signore alto ed elegante e la bambina uscirono tenendosi per mano. Quell’uomo era il professor Carlton Armstrong, uno dei più grandi neurochirurghi del mondo. Operò il piccolo Andrea, che potè tornare a casa qualche settimana dopo completamente guarito.
"Questa operazione" mormorò la mamma "è un vero miracolo. Mi chiedo quanto sia costata ...".
La sorellina sorrise senza dire niente. Lei sapeva quanto era costato il miracolo: un dollaro e undici centesimi ... più, naturalmente l’amore e la fede di una bambina.

Bruno Ferrero, in C'è ancora Qualcuno che Danza

lunedì 8 ottobre 2012

LA PIU' BELLA - Guido Gozzano



Ma bella più di tutte l'Isola Non-Trovata:
quella che il Re di Spagna s'ebbe da suo cugino
il Re del Portogallo con firma suggellata
e bulla del Pontefice in gotico latino.

L'infante fece vela pel regno favoloso,
vide le Fortunate: Iunonia, Gorgo, Hera
e il Mare di Sargasso e il Mare Tenebroso,
quell'isola cercando... Ma l'isola non c'era.

Invano le galee panciute a vele tonde,
le caravelle invano armarono la prora;
con pace del Pontefice l'isola si nasconde,
e Portogallo e Spagna le cercano tuttora.

L'Isola esiste. Appare talora di lontano
tra Teneriffe e Palma, soffusa di mistero:
"L'Isola Non-Trovata!" Il buon Canariano
dal Picco alto di Teyde l'addita al forestiero.

La segnano le carte antiche dei corsari.
…Hifola da - trovarfi? ... Hifola pellegrina? ...
È l'isola fatata che scivola sui mari;
talora i naviganti la vedono vicina...

Radono con le prore quella beata riva:
tra fiori mai veduti svettano palme somme,
odora la divina foresta spessa e viva,
lacrima il cardamomo, trasudano le gomme...

S'annuncia col profumo, come una cortigiana,
l'Isola Non-Trovata... Ma, se il piloto avanza,
rapida si dilegua come parvenza vana,
si tinge dell'azzurro color di lontananza...

Guido Gozzano, 1913

domenica 16 settembre 2012

LA RACCOGLITRICE - Anthony De Mello



Una famiglia di cinque persone si stava godendo una giornata sulla spiaggia. I bambini facevano il bagno nell'oceano e costruivano castelli di sabbia, quando comparve in lontananza una vecchina. I capelli grigi le volavano con il vento e gli abiti erano sporchi e stracciati. Mormorava qualcosa fra sé e sé e intanto raccoglieva oggetti nella sabbia e li metteva in un sacco.
I genitori chiamarono i bambini vicino a sé e raccomandarono loro di stare lontani dalla vecchietta. Quando passò accanto a loro, curvandosi di tanto in tanto per raccogliere roba, ella sorrise alla famiglia. Ma essi non ricambiarono il suo saluto.
Molte settimane dopo vennero a sapere che la vecchina da sempre si era assunta il compito di raccogliere pezzetti di vetro sulla spiaggia per evitare ai bambini di ferirsi i piedi.
Anthony De Mello

martedì 21 agosto 2012

7. LA STORIA DI ASLAM - Greg Mortenson



L’invito alla festa
Mentre i suoi stessi figli raggiungevano l’età scolare, Aslam si rese conto di aver bisogno di aiuto se sperava di educarli tutti quanti. “Cominciai a sentire delle voci su un grande uomo bianco straniero che stava costruendo scuole che accoglievano sia ragazzi sia ragazze in tutto il Baltisan, e decisi di cercarlo”.
Nella primavera del 1997 Aslam affrontò un viaggio in jeep di due giorni fino a Skardu e chiese di Mortenson all’Indus Hotel; gli risposero che era appena partito per la valle superiore del Braldu e che sarebbe potuto star via per settimane.
Poi, un giorno di giugno del 1998, mentre si trovava a Hushe, Aslam sentì da un autista di jeep che l’uomo bianco straniero era a pochi villaggi da lì, a Khane. Aslam arrivò su una jeep presa in prestito e si presentò: “Sono il nurmadhar di Hushe ed è da un anno che la sto cercando. La prego, questa sera venga a Hushe e partecipi alla nostra festa del tè”.
Greg Mortenson, David Oliver Relin, Tre tazze di tè, Milano 2008, p. 301-302

sabato 18 agosto 2012

4. LA STORIA DI ASLAM - Greg Mortenson



Di mano in mano
Aslam rimase aggrappato allo zaks mentre lo Shyok lo sottraeva alla vista di suo padre. Rimbalzò sulle rapide, singhiozzando liberamente adesso che nessuno poteva vederlo, e tremando nelle acque gelide. Superata una fase di confuso terrore, Aslam notò che si stava muovendo più lentamente, poiché il letto del fiume si era allargato. Vide alcune persone sulla riva più lontana e cominciò a scalciare puntando verso di loro, troppo preoccupato di perdere lo zaks per usare le braccia.
“Un vecchio mi ripescò dall’acqua e mi avvolse in una coperta di pelo di yak” racconta. “Stavo ancora tremando e piangendo, e mi chiese perché avessi attraversato il fiume, così gli dissi delle indicazioni che mi aveva dato mio padre”.
“Non ti preoccupare” gli rispose il vecchio. “Sei stato coraggioso ad arrivare fino a qui da casa. Un giorno, quando tornerai, sarai onorato da tutti”. Infilò due banconote nella mano di Aslam e lo accompagnò per un tratto giù per il sentiero che portava a Khaplu, fino a che non lo affidò a un altro anziano.
In questo modo, Aslam e la sua storia viaggiarono fino alla bassa valle di Hushe. Il ragazzo fu passato di mano in mano, e ogni uomo che lo accompagnava dava un piccolo contributo alla sua educazione. “La gente era così gentile che mi sentivo incoraggiato” ricorda. “E presto venni iscritto in una scuola pubblica a Khaplu, dove studiai con tutto l’impegno possibile”.
Greg Mortenson, David Oliver Relin, Tre tazze di tè, Milano 2008, p. 299-300

domenica 24 giugno 2012

SCOPRI IL DISEGNO - Martin Luther King


Se non puoi essere un pino sul monte,
sii una saggina nella valle,
ma sii la migliore piccola saggina
sulla sponda del ruscello.
Se non puoi essere un albero,
sii un cespuglio.
Se non puoi essere una via maestra
sii un sentiero.
Se non puoi essere il sole,
sii una stella.
Sii sempre il meglio
di ciò che sei.
Cerca di scoprire il disegno
che sei chiamato ad essere,
poi mettiti a realizzarlo nella vita.
Martin Luther King

domenica 17 giugno 2012

UNA GOCCIA NELL'OCEANO - Teresa di Calcutta


"Quello che noi facciamo è solo una goccia nell'oceano, ma a me piace pensare che se non lo facessimo, l'oceano avrebbe una goccia in meno"
Madre Teresa di Calcutta

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