Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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sabato 9 gennaio 2016

GRATTACIELI – Mariapia Veladiano


Non è perché siano torri di Babele, arroganti verso Dio. Adesso che il cielo lo abbiamo toccato, e anche un bel po' bucato, sappiamo che al suo trono non si arriva di là.
E’ che ci si allontana dalla terra.
E da lassù gli uomini son formiche, così si dice. Non c'è modo di riconoscere il vicino che passa e affacciarsi a commentare il mondo. In verità non si riconosce proprio nessuno. Tutti ugualmente nessuno, e nemmeno la voce si sente, la loro e la nostra. Certamente un gran rumore c'è, anche simile a un rombo come di vento che si abbatte gagliardo, un fragore talvolta. Ma niente Pentecoste. No.
Non c'è stare tutti insieme nello stesso luogo, non c'è esser vicini e sorprendersi del proprio capirsi.
E’ il nostro un costruire che non sa il bisogno che ha l'uomo di raccontarsi, sentire la terra bagnata di pioggia, l'odore immacolato della neve, correre intorno di bambini, adulti che parlano e intanto non perdono di vista.
Oggi i grattacieli poggiano su piloni alti di cemento. E sotto stanno le automobili, allineate e silenziose, parcheggiate come giochi armati, di soldati in attesa.
Non c'è strada per il cielo che non parta sulla terra.
«Costruire significa collaborare con la terra, imprimere il segno dell'uomo su un paesaggio che ne resterà modificato per sempre». Marguerite Yourcenar
Mariapia Veladiano, Ma come tu resisti, vita, p. 116-117.


venerdì 6 marzo 2015

WALKING THE EARTH - Vasili Tsybulka



“Un uomo deve camminare mille chilometri per capire che tutto quello che cercava era dentro di lui...”

martedì 20 gennaio 2015

COME SI FONDA UNA CIVILTA’ DELLA PACE? – Pierre Durrande


Una civiltà della pace si fonda su una duplice armonia: tra l’uomo e la terra, e tra l’uomo e se stesso, nell’unità tra maschile e femminile. Entrambi i tipi di armonia sono profondamente minacciati. I greci designavano quest’armonia a partire dalla radice ar’, che esprime l’accordo. Bellezza, virtù, piacere, buon funzionamento, armonia sono modi di declinare la giustizia, qui intesa nel senso di autenticità.

Pierre Durrande, L’arte di educare alla vita, p. 52 

giovedì 11 dicembre 2014

IL CONTADINO SPOSA LA SUA TERRA - Pierre Durrande


L’educatore è un contadino che prende possesso della sua terra per far sì che dia frutto. Per questo, deve sposare la sua terra.
Pierre Durrande, L’arte di educare alla vita, p. 46


domenica 26 ottobre 2014

THE LION SLEEPS TONIGHT - The Tokens



Ritorna l'ora solare.

L'ORA LEGALE NEL MONDO

██ Stati che adottano il cambio d'ora.
██ Stati che hanno utilizzato il cambio d'ora in passato.
██ Stati in cui non vi è mai stato il cambio d'ora.

Fonte: Wikipedia



sabato 4 ottobre 2014

CANTICO DELLE CREATURE - Angelo Branduardi



Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad te solo, Altissimo, se konfano
et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie mi’ Signore, cun tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore,
de te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si’ mi’ Signore, per sora luna e le stelle,
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’ mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dai sustentamento.

Laudato si’ mi’ Signore, per sor aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’ mi Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte,
et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’ mi’ Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si’ mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore,
et sostengo infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke 'l sosterrano in pace,
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare.
guai a cquelli ke morrano ne le peccata mortali,
beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.

Laudate et benedicete mi’ Signore' et ringratiate
et serviateli cun grande humilitate.


Francesco di Assisi

venerdì 3 ottobre 2014

CAMBIARE IL NOSTRO STILE DI VITA – Pietro Parolin


Signor Segretario Generale,
Alla base di ogni risposta politica complessa devono essere chiare le motivazioni etiche che la orientano. Si tratta, adesso, di consolidare una profonda e lungimirante reimpostazione dei modelli di sviluppo e degli stili di vita, per correggerne le numerose disfunzioni e distorsioni (Caritas in veritate , no. 32); ciò è richiesto anche dalle numerose crisi che l’attuale società sta vivendo in ambito economico, finanziario, sociale, culturale ed etico.
In tale direzione, è necessaria un’autentica svolta culturale che fortifichi i nostri sforzi formativi ed educativi, soprattutto a favore dei giovani, verso l’assunzione del senso di responsabilità nei confronti del creato e di uno sviluppo umano integrale per tutti i popoli, presenti e futuri.
Lo Stato della Città del Vaticano, per quanto piccolo, sta compiendo sforzi significativi per ridurre il suo consumo di combustibili fossili, realizzando progetti di diversificazione e di efficienza energetica. Tuttavia, come indicato dalla Delegazione della Santa Sede nella COP-19 di Varsavia, «parlare della riduzione delle emissioni è inutile se non siamo pronti a cambiare il nostro stile di vita e gli attuali modelli dominanti di consumo e di produzione». La Santa Sede attribuisce grande importanza alla necessità di diffondere un’educazione alla responsabilità ambientale che cerchi anche di tutelare le condizioni morali per un’autentica ecologia umana. Sono molte le istituzioni educative cattoliche, così come le Conferenze episcopali, le diocesi, le parrocchie e le ONG di ispirazione cattolica impegnate in tale campo, nella convinzione che il degrado della natura è direttamente legato alla cultura che plasma la coesistenza umana. Il rispetto dell’ecologia ambientale è condizione di ed è condizionata dal rispetto dell’ecologia umana nella società.
Affrontare seriamente il problema del riscaldamento globale richiede non solo di rafforzare, approfondire e consolidare il processo politico a livello globale, ma anche di intensificare l’impegno di tutti noi verso un profondo rinnovamento culturale e una riscoperta dei valori fondamentali su cui edificare un migliore futuro dell’intera famiglia umana. La Santa Sede si impegna in tale direzione, affinché in questo ambito la comunità internazionale venga guidata dall’imperativo etico di agire, ispirato dai principi di solidarietà e di promozione del bene comune, nella consapevolezza che «la dignità di ogni persona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero strutturare tutta la politica economica» (Papa Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium , 203ss).

Card. Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, Palazzo di Vetro all’Onu, intervento a margine della 69^ Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 24 settembre 2014.

giovedì 2 ottobre 2014

LA RESPONSABILITA’ DI PROTEGGERE IL CREATO – Pietro Parolin


Signor Segretario Generale,
Il lungo dibattito sui cambiamenti climatici, che ha dato vita nel 1992 alla Convenzione quadro dell’ONU sul cambiamento climatico e al suo processo di attuazione, mostra come si tratti di una materia estremamente complessa. Da allora, molte cose sono cambiate: le dinamiche dei rapporti internazionali hanno dato vita a contesti geopolitici mutati, mentre gli strumenti scientifici ed informativi si sono straordinariamente
raffinati.
Uno dei principali elementi emersi in questi trenta e più anni di studi sul fenomeno del riscaldamento globale è la sempre più forte consapevolezza che l’intera comunità internazionale faccia parte di un’unica interdipendente famiglia umana. Le decisioni e i comportamenti di uno dei membri di questa famiglia hanno profonde conseguenze su altri componenti della medesima; non vi sono frontiere, barriere, mura politiche, entro le quali potersi nascondere per proteggere un membro rispetto all’altro dagli effetti del riscaldamento globale. Non vi è spazio per quella globalizzazione dell’indifferenza, per quell’economia dell’esclusione, per quella cultura dello scarto così spesso denunciate da Papa Francesco (Evangelii gaudium , no. 52, 53 e 59).
Nel processo finalizzato a contrastare il riscaldamento climatico, troppo spesso abbiamo visto la prevalenza di interessi particolari o di comportamenti cosiddetti "free-riders" sul bene comune; troppo spesso abbiamo registrato una certa diffidenza o mancanza di fiducia da parte degli Stati, così come degli altri attori partecipanti. Tuttavia, se vogliamo realmente essere efficaci, è necessario attuare una risposta collettiva basata su quella cultura della solidarietà, dell’incontro e del dialogo, che dovrebbe essere alla base delle normali interazioni all’interno di ogni famiglia e che richiede la piena, responsabile e impegnata collaborazione da parte di tutti, secondo le proprie possibilità e circostanze.
In questa direzione, sembra opportuno richiamare un concetto che è stato sviluppato anche all’interno del foro delle Nazioni Unite, quello della responsabilità di proteggere. Gli Stati hanno una responsabilità comune di proteggere il clima mondiale attraverso azioni di mitigazione, di adattamento e di condivisione delle tecnologie e del "know-how". Ma hanno soprattutto una responsabilità condivisa di proteggere il nostro pianeta e la famiglia umana, assicurando alla generazione presente e a quelle future la possibilità di vivere in un ambiente sicuro e degno. Le basi tecnologiche e operative per favorire questa responsabilità condivisa sono già disponibili o alla nostra portata. Abbiamo la capacità di avviare e rafforzare un vero e proprio processo virtuoso che, in un certo senso, irrighi attraverso attività di adattamento e di mitigazione un terreno di innovazione economica e tecnologica dove è possibile coltivare due obiettivi tra di loro concatenati: combattere la povertà e attenuare gli effetti del cambiamento climatico.
Le sole forze di mercato, specie se prive di un adeguato orientamento etico, non possono però risolvere le crisi interdipendenti concernenti il riscaldamento globale, la povertà e l’esclusione. La sfida più grande risiede nella sfera dei valori umani e della dignità umana; questioni che riguardano la dignità umana degli individui e dei popoli non possono essere ridotte a meri problemi tecnici. In questo senso, il cambiamento climatico diventa una questione di giustizia, di rispetto e di equità; una questione che deve sollecitare le coscienze di ognuno di noi.

Card. Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, Palazzo di Vetro all’Onu, intervento a margine della 69^ Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 24 settembre 2014.

mercoledì 1 ottobre 2014

IL CREATO NON E’ UNA PROPRIETA’ – Pietro Parolin


Signor Segretario Generale,
Sono lieto di portare il cordiale saluto di Sua Santità Papa Francesco a questo importante Vertice che vede alti esponenti del mondo governativo, del settore privato e della società civile qui riuniti al fine di individuare e proporre iniziative rilevanti volte ad affrontare il preoccupante fenomeno del cambiamento climatico. E’ ben noto come quest’ultimo chiami in causa aspetti non solo scientifico-ambientali o socio-economici, ma anche e soprattutto etico-morali, visto che incide su tutti, in particolare sui più poveri, che sono più esposti ai suoi effetti.
Al cospetto di siffatta consapevolezza, la Santa Sede ha spesso ribadito quell’imperativo morale ad agire che interpella ognuno di noi circa la nostra responsabilità a custodire e valorizzare il creato per il bene della presente generazione, così come di quelle future. Papa Francesco, fin dall’inizio del Suo Pontificato, ha sottolineato l’importanza di «custodire questo nostro ambiente, che troppo spesso non usiamo per il bene, ma sfruttiamo avidamente a danno l’uno dell’altro» (Udienza al Corpo Diplomatico della Santa Sede, 22 marzo 2013).
Vi è ormai un consenso scientifico piuttosto consistente sul fatto che il riscaldamento del sistema climatico a partire dalla seconda metà del secolo scorso sia inequivocabile. Si tratta di un problema molto serio che, come detto, ha gravi conseguenze per i settori più vulnerabili della società e, ovviamente, per le generazioni future.
Numerosi studi scientifici hanno, inoltre, sottolineato i grandi rischi e i costi socioeconomici dell’inerzia dell’azione umana di fronte a tale problema, sulla base del fatto che la sua principale causa sembra essere l’aumento nell’atmosfera delle concentrazioni di gas ad effetto serra provocate da attività antropiche. Di fronte a detti rischi e costi, deve prevalere la virtù della prudenza, che richiede di ben deliberare in funzione di un’accurata analisi degli impatti futuri che comportano le nostre azioni. Ciò richiede un grande impegno politico-economico da parte della comunità internazionale, al quale anche la Santa Sede vuole dare il proprio contributo, nella consapevolezza che «il dono della scienza ci aiuta a non cadere in alcuni atteggiamenti eccessivi o sbagliati. Il primo è costituito dal rischio di considerarci padroni del creato. Il creato non è una proprietà, di cui possiamo spadroneggiare a nostro piacimento; né, tanto meno, è una proprietà solo di alcuni, di pochi: il creato è un dono, è un dono meraviglioso che Dio ci ha dato, perché ne abbiamo cura e lo utilizziamo a beneficio di tutti, sempre con grande rispetto e gratitudine» (Papa Francesco, Udienza del 21 maggio 2014).
Card. Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, Palazzo di Vetro all’Onu, intervento a margine della 69^ Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 24 settembre 2014.


venerdì 18 luglio 2014

LA PALLA DI CERA – Maria Luisa Spaziani (1924-2014)


Bisogna dire ai ragazzi: ogni creatura che vive in questo mondo ha gli stessi diritti morali, vorrei dire metafisici. Ognuno di noi nasce con un capitale minimo e, come dice la parabola dei talenti di Gesù, poi si vede un po’ cosa ha fatto ciascuno nella vita, cosa ha fatto fruttare.
Questo bisogna dire ai ragazzi: fai in modo che questa palla di cera, che è il nostro mondo, porti anche la tua impronta.
Rita Levi-Montalcini: Aggiungere vita ai giorni, a cura di Raffaella Ranise e Giuseppina Tripodi, Longanesi, Milano 2013, p. 128.


martedì 6 maggio 2014

E LA SUA CASA NON E’ LA TERRA - John Steinbeck (1902-1968)


Le case abbandonate rimasero vuote nella campagna, e per questa ragione la campagna risultò vuota. Di vivo rimase solo la lamiera ondulata, lucida come argento, delle rimesse per trattrici. Le trattrici erano munite di fari perché per loro non esiste differenza fra notte e giorno, mentre i dischi dissodanti luccicano nel sole e smuovono la terra nella tenebra.
Nelle stalle, a sera, quando il cavallo sospende il lavoro, la vita persiste: c'è fiato, c'è calore, c'è moto e rumore: moto d'occhi e orecchi vivi, moto e rumore di zoccoli nella paglia, di ganasce che masticano il fieno. Nelle stalle è calore di vita, odore di vita.
Ma quando si spegne il motore, nella rimessa la trattrice è morta, morta come il metallo da cui proviene. Il calore l'abbandona come abbandona i corpi dei morti. Allora il conducente chiude le serrande di lamiera ondulata e se ne ritorna al paese, forse a trenta chilometri di distanza, e può per settimane e mesi non tornare sul campo, perché la trattrice è morta. Il sistema è pratico, è efficiente. Tanto pratico, che spoglia il lavoro umano del suo sacro fascino; tanto efficiente, che irride al portentoso sforzo della fatica umana.
E nel conducente suscita quel disprezzo ch'è proprio del turista che visita un paese senza capirne gli usi. Perché nitrati e fosfati non sono la terra: la lunghezza di fibra del cotone non è la terra. Carbonio sale acqua e calcio non fanno l'essere umano. L'uomo è sì tutte queste cose, ma è qualcosa di più, è molto di più; e la terra è infinitamente di più che l'insieme dei suoi elementi.
L'uomo che è più delle sue componenti, che calca la zolla coi piedi nudi, che fa deviare il vomere per scansare una pietra, che sosta nei solchi per consumare il suo pasto; quest'uomo che è più dei suoi propri elementi conosce e capisce questa terra che è più delle proprie componenti.
Ma l'uomo della trattrice, che guida una macchina morta su un suolo ch'egli non conosce e non ama, capisce solo la chimica, e disprezza la terra e se stesso. Quando le porte di lamiera ondulata sono chiuse, lui va a casa, e la sua casa non è la terra.
John Steinbeck, Furore, Bompiani, Milano 1940, p. 63-64
Titolo originale: The grapes of wrath, Copyright 1939 John Steinbeck


venerdì 2 maggio 2014

UN CIBO SENZA GUSTO - John Steinbeck (1902-1968)


A mezzodì il conducente fermava la trattrice talora nei pressi d'una cascina e apriva il pacco della colazione: sandwich ravvolti in carta oleata, pane bianco, carne in scatola, sottaceti, formaggini, una fetta di torta marchiata come il pezzo di ricambio d'una macchina. Mangiava senza gustare il cibo. 
E i mezzadri che non si decidevano a far fagotto venivano fuori a guardarlo mentre si levava gli occhiali e la maschera che lasciavano impronte curiose attorno ai suoi occhi e al naso e alla bocca. Il tubo di scappamento della trattrice continuava a spetezzare, perché il prezzo della benzina era così basso che risultava più economico lasciare acceso il motore, anziché spegnerlo e poi doverlo scaldare di nuovo per riavviarlo. 
La curiosità sospingeva soprattutto i bambini, coperti di stracci, col pezzo di polenta in mano. Osservavano con dilatati occhi famelici il graduale apparire, fuor dalla carta oliata, dalla stagnola e dalle scatole di latta, dei prelibati cibi che costituivano la refezione del fantoccio meccanico convertitosi in uomo di carne e d'ossa. Non gli rivolgevano la parola. Guardavano la sua mano portare il cibo alla bocca. Non lo osservavano masticare; i loro occhi seguivano la mano che teneva il sandwich.
John Steinbeck, Furore, Bompiani, Milano 1940, p. 27
Titolo originale: The grapes of wrath, Copyright 1939 John Steinbeck


giovedì 1 maggio 2014

TERRA SENZA AMORE – John Steinbeck (1902-1968)


Non amava la terra, non più di quanto l'amasse la banca; ma non amava nemmeno la trattrice. Si contentava di ammirarne le superfici lucenti, la potenza, il rombo dei suoi cilindri detonanti. A rimorchio rotavano i lucidi dischi che vivisezionavano la terra: non  p col faticoso lavoro dell'aratro, ma con la fredda opera d'un chirurgo la terra smossa s'ammucchiava da un lato mentre il secondo ordine di dischi la incideva e l'ammucchiava dall'altro; rilucevano le lame taglienti per il costante lustramento della terra. E dietro ai dischi gli erpici rastrellavano le zolle con denti di ferro. E dietro agli erpici le lunghe seminatrici - dodici ferrei membri eretti - violentavano la terra, stuprando meccanicamente, senza passione, sputando il seme. Il conducente sul suo sgabello di ferro s'inorgogliva dell'impeccabile dirittura dei solchi che non tracciava lui, della trattrice che non era sua e ch'egli non amava, della potenza di cui si sapeva schiavo. E s'arrivava alla maturazione e alla mietitura senza che nessun essere umano avesse sbriciolato con le mani le tiepide zolle o setacciato la terra tra le dita, senza che nessuno avesse toccato il seme o ne avesse spiato con ansia la crescita. Gli uomini mangiavano ciò che essi non avevano coltivato, più nessun vincolo li legava al proprio cibo. La terra s'apriva sotto il ferro e sotto il ferro gradatamente inaridiva: nessuno c'era più ad amarla o a odiarla, nessuno più la supplicava o malediceva.
John Steinbeck, Furore, Bompiani, Milano 1940, p. 27
Titolo originale: The grapes of wrath, Copyright 1939 John Steinbeck


mercoledì 30 aprile 2014

IL TRATTORISTA – John Steinbeck (1902-1968)


Sul suo sedile in ferro il conducente non aveva aspetto umano. Inguantato, occhialuto, mascherati il naso e la bocca contro la polvere, era parte integrante del mostro, era un fantoccio meccanico. Lo strepito dei cilindri echeggiava su tutta la contrada, divenne un elemento come l'aria o la terra, e l'aria e la terra e lo strepito sussultavano all'unisono sotto le identiche vibrazioni. Il conducente non poteva impedire al mostro di avanzare e retrocedere in linea retta per la campagna e di travolgere nella sua marcia dozzine di fattorie. Azionando leve e comandi si sarebbe potuto deviarlo, ma il conducente non poteva perché un altro mostro, il mostro che aveva costruito la trattrice, che l'aveva inviato sul posto s'era immesso nelle mani, nel cervello, nei muscoli del conducente, lo teneva imbrigliato e imbavagliato... imbrigliata la mente, imbavagliata la bocca, imbrigliate le sue facoltà di percezione, soffocata ogni sua voce di protesta. Non poteva vedere la campagna così com'era, né assaporare l'odore genuino della terra, né calpestarne le zolle, né sentirne il calore e la forza. Sedeva su uno sgabello di ferro e premeva pedali di ferro. Non poteva apprezzare né comprimere, o maledire o incoraggiare il proprio potere nel confronti della terra e di conseguenza era incapace di provare gioia o tormento, furore o sollievo. Non conosceva la terra, non era sua, non aveva fede in lei, non la supplicava. Se un granello di seme non germinava, egli non se ne dava pensiero. Se i teneri virgulti appassivano nella siccità o affogavano sotto la pioggia, egli rimaneva indifferente, come la trattrice.
John Steinbeck, Furore, Bompiani, Milano 1940, p. 26-27
Titolo originale: The grapes of wrath, Copyright 1939 John Steinbeck


martedì 29 aprile 2014

ARRIVANO I TRATTORI – John Steinbeck (1902-1968)


E arrivarono le trattrici. Strariparono dalle strade, invasero i campi, penetrarono dappertutto, strisciando come dinosauri dotati dell'incredibile forza degli insetti. Trattrici Diesel, frementi anche da ferme, tonanti in partenza, rombanti in azione. Mostri dal grifo appuntito che procedevano in linea retta sui loro cingoli entro nuvole di polvere, grufolando inesorabili, superando palizzate, cortili,  avvallamenti,  squarciando  la  terra,  insinuandosi  sotto  gli  atri  delle  case  coloniche, dissodando le aie, scalando ripe, abbattendo cinte, ignorando ogni ostacolo.

John Steinbeck, Furore, Bompiani, Milano 1940, p. 26
Titolo originale: The grapes of wrath, Copyright 1939 John Steinbeck


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