Non è perché siano
torri di Babele, arroganti verso Dio. Adesso che il cielo lo abbiamo toccato, e
anche un bel po' bucato, sappiamo che al suo trono non si arriva di là.
E’ che ci si
allontana dalla terra.
E da lassù gli uomini
son formiche, così si dice. Non c'è modo di riconoscere il vicino che passa e
affacciarsi a commentare il mondo. In verità non si riconosce proprio nessuno.
Tutti ugualmente nessuno, e nemmeno la voce si sente, la loro e la nostra. Certamente
un gran rumore c'è, anche simile a un rombo come di vento che si abbatte
gagliardo, un fragore talvolta. Ma niente Pentecoste. No.
Non c'è stare tutti
insieme nello stesso luogo, non c'è esser vicini e sorprendersi del proprio
capirsi.
E’ il nostro un
costruire che non sa il bisogno che ha l'uomo di raccontarsi, sentire la terra
bagnata di pioggia, l'odore immacolato della neve, correre intorno di bambini,
adulti che parlano e intanto non perdono di vista.
Oggi i grattacieli
poggiano su piloni alti di cemento. E sotto stanno le automobili, allineate e
silenziose, parcheggiate come giochi armati, di soldati in attesa.
Non c'è strada per il
cielo che non parta sulla terra.
«Costruire significa
collaborare con la terra, imprimere il segno dell'uomo su un paesaggio che ne
resterà modificato per sempre». Marguerite Yourcenar
Mariapia
Veladiano, Ma come tu
resisti, vita, p. 116-117.