Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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sabato 7 maggio 2016

TENGO PULITO QUESTO PIAZZALE – Luciano Mazzocchi


Un uomo sessantenne è solito sostare e chiedere l'elemosina all'ingresso della chiesa di San Babila a Milano. Venerdì pomeriggio della settimana scorsa ho assistito al rito che l'uomo sessantenne compie appena arriva in sede. Depone un grosso zaino al lato dell'ingresso, lo apre e ne trae una scopa dal manico corto. Quindi si mette a spazzare il piazzale davanti la chiesa, liberando i canaletti del selciato dai mozziconi buttati dai passanti vestiti in giacca e cravatta. Li raccoglie in una lattina e quindi li riversa nel cassonetto. Poi stende una tappetino su cui siede e da cui tende la mano a chi entra per la preghiera.
Ieri (martedì) gli ho detto grazie per il quotidiano servizio ecologico che compie. "Sono sardo e lavoravo in un'autofficina a Cagliari. La ditta un bel giorno chiuse i cancelli e sono rimasto disoccupato. Ho lasciato la Sardegna e sono venuto a Milano per cercare lavoro. Se puoi, aiutami a trovare anche un piccolo lavoro. Nel frattempo tengo pulito questo piazzale: è il lavoro che posso fare. Qualche passante si ferma e mi dà un euro... ".

Luciano Mazzocchi

martedì 23 settembre 2014

UN EROE SCONOSCIUTO - Video



Vi siete mai chiesti: 
Nella nostra vita cosa vogliamo esattamente? 
Perché alcune persone hanno un sacco di soldi e ancora nessuna gioia?
Questo video non è la risposta, ma può essere un punto di partenza per fare qualcosa,
Per trovare la risposta da soli.
Queste sono le parole che accompagnano il video di questa agenzia tailandese, già conosciuta per le sue pubblicità che raccontano sempre una storia, una storia di quelle buone che insegnano tanto e danno tanto.
Il protagonista tutti i giorni fa delle buone azioni, che a volte non vengono concepite da chi le vede, ma vengono sicuramente apprezzate da chi le riceve… e tutto questo per avere in cambio che cosa? Emozioni, volti felici, espressioni, felicità, un mondo migliore.
Se tutti, tutti i giorni, facessimo un piccolo gesto per gli altri, una buona azione, sicuramente vivremmo tutti in un mondo più bello, più felice, più umano, un mondo dove le persone si aiutano anziché odiarsi.

Fonte: ETICAMENTE.NET da TVC Thai Life Insurance 2014 : โฆษณาไทยประ...


venerdì 12 settembre 2014

LA MOTIVAZIONE - Pierre Durrande


Nessuno può essere educato suo malgrado.

Pierre Durrande, L'arte di educare alla vita

lunedì 1 settembre 2014

39. UN BAMBINO FATTO IN CASA - Francesco Callegari



Ne ho provati tanti e sono giunto alla conclusione che il migliore sia quello altoatesino. Sarà per via dell’erba o dell’acqua, non so, ma lo yogurt dell’Alto Adige ha un sapore particolare. Mi piace soprattutto quello alla vaniglia e, quando al supermercato vedo allineati i barattoli da mezzo chilo, ne pregusto già il profumo e la morbida consistenza. L’unica cosa che allora osservo con attenzione è la data di scadenza, perché mezzo chilo di yogurt non lo consumi in mezza giornata.
Per giungere a questa scelta ne ho però assaggiati parecchi e ho letto le loro etichette: quante calorie e quanti fermenti lattici vivi (che al solo pensarci fa un po’ impressione), e poi gli zuccheri, gli amidi, la frutta. Le etichette sono importanti: se non ci fossero loro a dirci per esempio quanto residuo fisso rimane nell’acqua che beviamo, non oso pensare ai danni che provocheremmo al nostro organismo! Per fortuna, su tutti gli alimenti confezionati vige l’obbligo di apporre un’etichetta che ne descriva nel dettaglio gli ingredienti. La fabbricazione in serie, tipica dell’industria, consente la produzione di pezzi tutti identici, rendendo così di fatto possibile l’etichettatura.
Questa stessa operazione risulta invece molto complicata, e forse anche inutile se non rischiosa, per tutti quei beni che non sono prodotti in serie: molto probabilmente il pane fatto in casa risulterà diverso per dosi e sapore in ciascuna cottura, così come la passata casalinga di pomodori o la confettura di frutta. A questi alimenti non ci sogneremmo mai di apporre una minuziosa schedatura degli ingredienti, ma ci limiteremmo a gustarli nella loro meravigliosa fragranza lasciandoci sorprendere di volta in volta dall’incanto della loro novità.
Due genitori mi hanno appena scritto una bellissima lettera rivendicando, per il loro bambino fatto in casa, il sacrosanto diritto all’unicità.
Spesso la nostra mente applica inavvertitamente alle persone lo stesso processo conoscitivo utilizzato per le acque minerali: naturali o frizzanti, povere o ricche di sodio, con alto o basso residuo fisso, ecc. Questo meccanismo semplificatorio, che normalmente ci aiuta ad affrontare e comprendere il mondo reale riducendo l’ansia delle diversità, risulta però deleterio se applicato alle persone.
Alexandre Jollien, giovane filosofo francese, esprime bene questo rischio:
“Il nostro rapporto con il mondo procede per riduzioni. Ogni giorno devo raccogliere, setacciare, selezionare informazioni in funzione di ciò che è necessario per vivere. Questo lavoro obbliga a fissare priorità, a focalizzare le urgenze. Non posso vedere tutto, capire tutto, né fare tutto. Di conseguenza, organizzo il mio mondo, incollando alla realtà delle etichette, delle parole, a tal punto che ben presto finirò per vedere solo quelle. Gli antichi vedevano nell’esperienza il principio della saggezza. Eppure, essa può anche portare a ridurre l’essere che ci sta di fronte a una etichetta”.
Alexandre JollienIl mestiere di uomo, Edizioni Qiqaion, Magnano (BI) 2003, p. 63
Incasellare le persone, limita prima di tutto la nostra possibilità di godere e apprezzare la ricchezza delle diverse individualità, ma offre anche incautamente il fianco ad atteggiamenti discriminatori che potrebbero propagarsi nel gruppo dei pari con conseguenze devastanti a livello relazionale.
Soprattutto in un ambiente come la scuola, creato appositamente per far crescere le persone al meglio delle loro possibilità e per allenarle alla vita sociale, è importante il rispetto sostanziale delle diverse individualità, rispetto che si manifesta anche attraverso l’uso di parole che creino empatia, che facciano crescere, che uniscano e non che dividano o escludano. Parole che parlino di libertà e non di prigioni: nel momento in cui etichettiamo una persona, magari a causa di un suo particolare modo di essere, di fare o di parlare, apponiamo su di lei un marchio indelebile che la imprigionerà per sempre portandoci a identificare quella stessa persona con l’etichetta che le abbiamo assegnato e impedendoci di vedere in lei tutto il resto.
Il primo passo, anche se forse il più difficile, è quello di non esprimere giudizi sulle persone. Lo psicologo statunitense Marshall Rosenberg, creatore del metodo della Comunicazione Non Violenta, scrive:
“Il filosofo indiano J. Krishnamurti una volta affermò che osservare senza valutare è la forma più elevata di intelligenza umana. Per la maggior parte di noi, è difficile osservare le persone e i loro comportamenti senza mescolarvi giudizi, critiche o altre forme di analisi.
Attribuendo etichette alle persone, tendiamo ad assumere nei loro confronti atteggiamenti che contribuiscono a generare i comportamenti stessi che ci preoccupano, il che poi lo vediamo come una ulteriore conferma della nostra diagnosi”.
Marshall B. Rosenberg, Le parole sono finestre, Ed. Esserci, 2003, p. 48, 50, 107.
Il cammino verso la comunicazione non violenta ci apre a nuovi orizzonti e ci invita a cambiare il nostro asse di prospettiva. Normalmente noi utilizziamo il metro di giudizio verticale che prevede a un estremo il concetto di giusto con il relativo premio, dall’altro il concetto di sbagliato con il relativo castigo. Esiste un altro asse relazionale: quello orizzontale, basato sulla comprensione dei bisogni e sul riconoscimento delle emozioni. Bisogni ed emozioni sono strettamente correlati: un bisogno soddisfatto genera un’emozione positiva e viceversa.
Si parla tanto oggi di scuola inclusiva: fino a ieri si diceva che la scuola deve integrare, oggi deve includere. Io non so quale sia tra i due il termine più corretto, so per certo però che una buona scuola è quella che è disposta all’incontro, che sa accogliere e valorizzare le diversità. Una scuola accogliente è una scuola attenta ai bisogni, è una scuola che tende a produrre emozioni positive, che non isola e non esclude, una scuola che non umilia e non mortifica, una scuola che non etichetta e non ingabbia, ma che valorizza il bello e il buono di ciascuno, facendo volare tutti, docenti e allievi. Insieme.
Una scuola attenta sa mettere ciascun allievo nelle migliori condizioni per apprendere. Ancora l’asse bisogni-emozioni, perché l’apprendimento passa più facilmente attraverso le emozioni: “Capitano, mio capitano!”. Lungo l’asse premio-castigo passa solo un apprendimento temporaneo, fasullo, buono solo per l’interrogazione del giorno dopo. Una grande perdita di tempo, in definitiva.
Secondo il filosofo Pierre Durrande:
“Il compito primario di un educatore è quello di offrire la testimonianza di un’umanità autentica e piena. Ed è solo attraverso un costante lavoro su se stesso che un educatore può impegnarsi in quest’opera vitale, poiché educare è innanzitutto incontrare e ogni incontro è possibile solo creando uno spazio di accoglienza in se stessi, quello spazio che nasce da una piena adesione alla propria umanità”.
Pierre DurrandeL’arte di educare alla vita, Edizioni Qiqaion, Magnano (BI) 2012.
Ed è proprio lì, nell’apertura consapevole all’incontro, che si gioca la grande sfida dell’inclusione/integrazione: è in classe, ma anche in casa, che le parole e i gesti assumono il colore dell’accoglienza, il sapore della libertà e il canto della speranza.
Buon anno scolastico.                                                                 
1 settembre 2014

Francesco Callegari                                                                      
dirigente scolastico

giovedì 28 agosto 2014

5 FRASI D’AMORE DA DIRE AI BAMBINI – Eticamente.net


Le frasi d’amore devono uscire da noi stessi ed essere donate al destinatario, sempre e comunque!
L’empatia verso i propri simili o verso qualsiasi creatura vivente non è sempre un dato di fatto, a volte non viene spontanea, non si dice quello che si pensa dandolo per scontato, si è convinti di risultare superficiali o “deboli”. Ma ci sono cose che vanno dette. Soprattutto a una persona in particolare: il proprio figlio.
Non si deve mai dare per scontato nulla con queste creaturine, vivaci, pestifere che ne combinano di tutti i colori. E tanto meno i sentimenti. La loro fragilità emotiva è molto più forte di quello che si potrebbe immaginare. Loro “sentono” i nostri problemi, la loro empatia è forte, non è ancora calcificata sotto strati di ipocrisia, crudeltà, ferite e delusioni. Per questo motivo ci sono frasi d’amore che i bambini, i figli, vogliono e devono sentirsi dire.
Frasi che un adulto dà per scontate ma che per loro sono importanti per farli sentire amati, per farli sentire importanti ma soprattutto per farli sentire parte di qualcosa, parte di noi.
1. “Mi piace stare con te e mi diverto”
2. “Mi sei mancato”
3. “Ti capisco”
4. “Sono certo che ci riuscirai, provaci e vada come vada”
5. “Ti voglio bene… sempre”.

venerdì 18 aprile 2014

38. LE MANI DELLO ZIO GIOVANNI – Francesco Callegari


Lo zio Giovanni lavorava in fabbrica per tutta la settimana, ma ogni sabato pomeriggio il tavolo della sua cucina si trasformava in un laboratorio di meraviglie. Di fronte ai miei occhi stupiti di bambino si stendeva a un tratto un tappeto di microscopici ingranaggi: viti, perni e lancette; casse, ruote e dischi dentati; molle, spirali e bilancieri… 
Le mani grandi e forti dello zio distribuivano delicatamente i pezzi sul tavolo, mentre il suo occhio cercava i possibili difetti grazie a una speciale lente simile a un piccolo monocolo. Con una pinzetta, Giovanni prendeva il singolo pezzo, lo spazzolava e lo oliava, e alla fine lo fissava con precisione fino a ricomporre il meccanismo originale.
Tanti erano gli amici che approfittavano della sua bravura, e anche della sua generosità: lo zio Giovanni riparava per piacere sveglie e orologi di ogni tipo ridando la vita a oggetti che altrimenti sarebbero stati scartati.
E io, che assistevo incantato a questo piccolo miracolo, sentivo che stava accadendo qualcosa di importante. Qualcosa che mi è rimasto dentro e che ancora mi parla.
Il vocabolario Treccani propone tre diversi significati per la voce Riparare:
1.    Proteggere, difendere da una cosa pericolosa o dannosa, opponendo a essa un ostacolo o impiegando altro accorgimento.
2.    Eliminare o alleviare un male, correggere o limitare un errore che si è commesso, risarcendo, compensando, scusandosi, ecc.
3.    Rimettere in buono stato una cosa rotta, sciupata o logora.
Riparare è un verbo buono, che parla di attenzione e di generosità.
E’ un verbo transitivo, dove l'azione non riguarda solo il soggetto che la compie ma si riversa positivamente anche su altri, siano essi persone oppure oggetti.
Riparare è un verbo generatore, è un verbo della maturità, perché solo la consapevolezza adulta è in grado di dare la vita e soprattutto sa proteggerla e custodirla, anche a costo della propria.
I tre significati riportati dal vocabolario diventano così un’unica esperienza, dove il desiderio di salvaguardare persone e cose, la spinta a non dissipare affetti e risorse, lo slancio a creare vita e a mantenerla si esprimono secondo una modalità “ecologica” di essere nel mondo.    
Ci sono parole che più di altre si adattano a descrivere un evento, e a spiegarlo.
Riparare è parola che abita la Pasqua. E ciascuno di noi ha un proprio modo di sentire e di sperimentare la domanda di riparazione che il formidabile vento della Pasqua porta con sé.
E’ però nella brezza leggera e monotona dell’agire quotidiano che sussurrano le più concrete e autentiche istanze di riparazione. Ed è proprio lì, che prende corpo la grandezza di chi sa ascoltare queste richieste ed è pronto anche a metterci del proprio pur di riparare il meccanismo che stenta a funzionare.

Buona Pasqua di riparazione.
Francesco Callegari


giovedì 3 aprile 2014

PER UNA VOLTA - Alexandre Jollien


Per una volta ho apprezzato la gioia, ho vissuto la semplicità dell'istante, ho sposato il corso naturale delle cose senza fissarmi, senza attaccarmi, senza cercare al di fuori una ricompensa, una consolazione o un'approvazione.
Leggero, ho gustato l'esistenza senza che il pensiero sia intervenuto a giudicare o condannare.

Alexandre Jollien, Il filosofo nudo, p. 152

mercoledì 5 marzo 2014

SUGGERIMENTI PER UNA VITA ORDINARIA - Franco Marcoaldi


Quando sei presente, sii presente
veramente. Quando cammini,
guardati bene intorno: malgrado
tutto, lo spettacolo del mondo
resta stupefacente.
Terzo suggerimento: dormi,
dormi serenamente - non solo
di notte, ma anche di mattina,
dopo pranzo, verso sera.
Cinque, dieci minuti sono
più che sufficienti: quell'ozio
onirico rubato alle ore
del lavoro giornaliero non è
tempo sprecato, ma un nutrimento
necessario alla tua immaginazione.

Ancora, curati del cibo: per te
e per chi ti vuole bene. Abbine premura,
anche se come tutto il resto non serve
a allontanare la sventura. Dimenticavo:
ascolta molta buona musica -
evitando di farlo assieme
a qualcos'altro, per piacere.

E poi, ti prego: non contare mai
le ore, che come noto vanno più lente
degli anni e dei decenni. Mostrati
indifferente agli stolti, ai prepotenti,
ai farabutti. Prova, se ci riesci,
a essere cortese e distaccato
un po' con tutti. Non coltivare
mai sogni di gloria o chissà
quali attese: nel pianeta terra
transita tutto a gran velocità,
compresi i fallimenti e i successi,
i lamenti, i desideri, le pretese.

Vivi d'amore e conoscenza,
che sono un po' un equivoco,
un po' una cosa bella: come
la distanza spazio-tempo che ti separa
dalla prima, e di gran lunga
più luminosa stella.

Franco Marcoaldi, La trappola, Torino 2012.


mercoledì 22 gennaio 2014

IL VOLO DELLE OCHE SELVATICHE – Anthony De Mello


Un giorno, mi trovavo sulle coste irlandesi e vidi arrivare uno stormo di oche selvatiche di ritorno dall’Islanda. Mentre le stavo osservando, mi si avvicinò un uomo che mi raccontò di come si svolge il loro viaggio.
Mi spiegò che lo stormo poteva giungere a destinazione solo se i suoi componenti si fossero aiutati a vicenda.
Mi disse che le oche volano sempre in una caratteristica formazione a V, e che se ogni uccello mantiene la corretta posizione, l’aria crea un sostegno di cui gode tutto lo stormo.
E se un elemento esce dalla fila, gli altri sentono subito aggravarsi il peso e la fatica del volo.
Mi disse inoltre che davanti a tutti si mette l’uccello più forte e questo detiene il comando per tutto il tempo che gli è possibile, spostandosi poi nella posizione più arretrata, quando non riesce più a mantenere un’adeguata velocità. Ma dal fondo continua a lanciare un grido di incitamento, per incoraggiare quelli davanti a tenere una velocità elevata.
Quando poi un uccello comincia a indebolirsi, si distacca dal gruppo, affinché gli altri non abbiano a soffrire per causa sua, ma a quel punto altri due uccelli stanno dietro, assieme a lui per offrirgli protezione e speranza. E quando il compagno debole ha ripreso le forze, i tre proseguono insieme e cercano di riunirsi alla formazione.
Tutti i componenti sanno che il forte starà vicino al debole nei momenti difficili come in quelli tranquilli, nei momenti di debolezza come in quelli di vigore.

Anthony De Mello, Brevetto di volo per aquile e polli, p. 181-182

domenica 12 gennaio 2014

LA GENTE QUE ME GUSTA - Mario Benedetti (1920-2009)



Mi piacciono le persone che vibrano, quelle che non devi continuamente sollecitare e a cui non devi dire di fare le cose, ma che al contrario sanno quello che c’è da fare e lo fanno.
Mi piacciono le persone che coltivano i loro sogni fino a quando tali sogni diventano realtà.
Mi piacciono le persone capaci di assumersi le conseguenze delle proprie azioni, le persone che rischiano il certo per l’incerto pur di andare dietro a un sogno, le persone che si permettono di fuggire i consigli sensati lasciando la soluzione in mano al nostro padre Dio.
Mi piacciono le persone che sono giuste con gli altri e con loro stesse, le persone che apprezzano il nuovo giorno, le cose buone della loro vita, le persone che vivono ogni ora allegramente facendo del loro meglio, grate di essere vive, di poter regalare sorrisi, di offrire le loro mani e aiutare generosamente, senza aspettarsi nulla in cambio.
Mi piacciono le persone capaci di criticarmi costruttivamente e di fronte, senza ferirmi. Le persone che hanno tatto. Mi piacciono le persone che hanno il senso della giustizia.
Questi io li chiamo “amici”.
Mi piacciono le persone che conoscono l’importanza dell’allegria e la diffondono, le persone che attraverso gli scherzi ci insegnano a prendere la vita con buon umore. Le persone che non dimenticano mai il loro lato bambino.
Mi piacciono le persone che contagiano con la loro allegria.
Mi piacciono le persone sincere e franche, capaci di opporsi con argomenti ragionevoli alle decisioni degli altri.
Mi piacciono le persone fedeli e testarde, che non si arrendono quando si tratta di raggiungere obiettivi e idee.
Mi piacciono le persone di buon senso, che non si vergognano di riconoscere di essersi sbagliate o di non sapere qualcosa. Mi piacciono le persone che, nell’accettare i propri errori, si sforzano di non commetterli più.
Mi piacciono le persone che lottano contro le avversità, le persone che cercano soluzioni.
Mi piacciono le persone che pensano e che meditano. Le persone che danno valore ai propri simili non per il loro aspetto esteriore o secondo gli stereotipi sociali.
Mi piacciono le persone che non giudicano e che non permettono agli altri di giudicare.
Mi piacciono le persone che hanno personalità.
Mi piacciono le persone in grado di capire che l'errore più grande dell'uomo sta nel cercare di tirare fuori dalla testa ciò che non viene dal cuore.
La sensibilità, il coraggio, la solidarietà, la bontà, il rispetto, la tranquillità, i valori, l’allegria, l’umiltà, la fede, la felicità, il tatto, la fiducia, la speranza, la riconoscenza, la sapienza, i sogni, il pentimento e l’amore verso gli altri e verso se stessi, sono cose fondamentali per chiamarsi “persone”.
Con persone come queste mi impegno su qualsiasi cosa per il resto della mia vita, dal momento che, per il semplice fatto di tenerle al mio fianco, mi sento ben ricompensato.
Mario Benedetti

Mario Orlando Hamlet Hardy Brenno Benedetti-Farugia, noto come Mario Benedetti (Paso de los Toros, 14 settembre 1920 – Montevideo, 17 maggio 2009), è stato un poeta, saggista, scrittore e drammaturgo uruguaiano.

mercoledì 8 gennaio 2014

L'ARPA MUTA - Anthony De Mello


Il re Saul, a un certo punto della sua vita, era molto scoraggiato e afflitto. Dietro suggerimento dei suoi consiglieri, decise di dare un banchetto per liberarsi da questa inquietudine. Affinché in tale occasione non mancasse la musica, dispose che i suoi taglialegna fossero mandati nelle foreste reali a tagliare delle querce per farne un’arpa speciale. Mandò poi altri artigiani nei suoi laboratori per fabbricare le corde per l’arpa.
Infine, giunse la sera del banchetto.
Al culmine dei festeggiamenti, la nuova arpa fu trasportata su di un carro fino al palco centrale. Ma non appena il suonatore pizzicò la prima corda dell’arpa, successe il disastro. Nessun suono scaturì dallo strumento. Furono chiamati gli esperti della corte per spiegarne le ragioni, ma nessuno fu in grado di fornire una spiegazione.
Né tanto meno riuscirono a far suonare lo strumento.
Finalmente un esperto suggerì che Davide, il ragazzo , fosse portato a palazzo per vedere se fosse in grado di far luce sulla questione.
Quando Davide arrivò, si sedette, e delicatamente accostò l’orecchio alle corde dell’arpa.
Attese per alcuni minuti in quella posizione e poi cominciò a trarre dallo strumento una stupenda musica.
Quando il re gli chiese in seguito di spiegare che cosa fosse successo, il ragazzo rispose che prima aveva dovuto ascoltare e lasciare che l’arpa raccontasse la sua storia. Quest’ultima gli aveva raccontato di come avesse cominciato la sua vita di piccola ghianda prima di diventare una quercia gigantesca nella foresta.
Gli aveva spiegato di aver sopportato la durezza dell’inverno, di essere stata abbattuta e di come le sue corde fossero state temprate nel calore bianco della fucina.
Solo quando era stata ascoltata e aveva rivelato il dolore della sua nascita e vita, era stata in grado di adempiere al suo destino e al suo potenziale.

Anthony De Mello, Brevetto di volo per aquile e polli, p. 119-120

sabato 4 gennaio 2014

LA BIMBA AL FREDDO - Anthony De Mello


Per la strada vidi una ragazzina che tremava di freddo. Aveva un vestitino leggero e ben poca speranza in un pasto decente.
Mi arrabbiai e dissi a Dio: “Perché permetti questo? Perché non fai qualcosa?”
Per un po’ Dio non disse niente. Poi improvvisamente, quella notte mi rispose: “Certo che ho fatto qualcosa. Ho fatto te”.

Anthony De Mello, Il canto degli uccelli. Frammenti di saggezza nelle grandi religioni

giovedì 26 dicembre 2013

CARO SAN GIUSEPPE - Tonino Bello


San Giuseppe appartiene alla famiglia di quei piccoli del Vangelo, umili e discreti, che non occupano molto spazio, si muovono con leggerezza, sono creature che, mentre vivono nell'ombra, esprimono una luce interiore che rende meravigliosa la loro presenza.

Caro San Giuseppe, scusami se approfitto della tua ospitalità e, con una audacia al limite della discrezione, mi fermo per una mezz’oretta nella tua bottega di falegname per scambiare quattro chiacchiere con te. Tu continua pure a piallare il tuo legno, mentre io, seduto su una panca, in mezzo ai trucioli che profumano di resine, ti affido le mie confidenze… Mio caro San Giuseppe, sono venuto qui per conoscerti meglio come sposo di Maria, come padre di Gesù e come capo di una famiglia per la quale hai consacrato tutta la tua vita. E ti dico che la formula di condivisione espressa da te come marito di una vergine, la trama di gratuità realizzata come padre del Cristo e lo stile di servizio messo in atto come responsabile della tua casa, mi hanno da sempre incuriosito, e mi piacerebbe capire in che misura questi paradigmi comportamentali siano trasferibili nella nostra “civiltà”.

venerdì 6 dicembre 2013

L’EMPATIA – Carl Rogers


Carl Rogers ha così decritto l’impatto dell’empatia su coloro che la ricevono: “Quando … qualcuno ti ascolta davvero senza giudicarti, senza cercare di prendersi la responsabilità per te, senza cercare di plasmarti, ti senti tremendamente bene.
Quando sei stato ascoltato e udito, sei in grado di percepire il tuo mondo in modo nuovo e andare avanti. E’ sorprendente il modo in cui problemi che sembravano insolubili diventano risolvibili quando qualcuno ascolta.
Quando si viene ascoltati e intesi, situazioni confuse che sembravano irrimediabili si trasformano in ruscelli che scorrono relativamente limpidi.”

Marshall B. Rosenberg, Le parole sono finestre, p. 137

giovedì 21 novembre 2013

NON GIUDICA E NON CONDANNA – Paulo Coelho


Un guerriero della luce non assiste a un'ingiustizia con indifferenza.
Sa che tutto è una cosa sola, e che ogni singola azione colpisce tutti gli uomini del pianeta. Perciò, quando si trova dinanzi alla sofferenza altrui, usa la sua spada per mettere le cose in ordine.
Ma, benché lotti contro l'oppressione, non cerca mai, in nessun momento, di giudicare l'oppressore. Ciascuno risponderà delle proprie azioni dinanzi a Dio.
Una volta terminato il proprio compito, guerriero non fa alcun commento.
Un guerriero della luce è presente nel mondo per aiutare i suoi fratelli, e non per condannare il prossimo.

Paulo Coelho, Manuale del guerriero della luce, p. 58

domenica 17 novembre 2013

IL DICIOTTESIMO ELEFANTE - Tiziano Terzani


Un uomo muore lasciando in eredità ai suoi tre figli diciassette elefanti. Nel testamento ha scritto che la metà deve andare al figlio maggiore, un terzo al secondo e un nono al terzo. I figli non sanno come fare la divisione, pensano di dover tagliare in due un elefante e finiscono per litigare. «Nostro padre era un pazzo, non avrebbe dovuto lasciarci con un tale dilemma», dicono. In quel momento passa dal loro villaggio, sul dorso del suo elefante e diretto alla capitale, un ministro del re. Sente del loro problema e dice: «Non preoccupatevi. Prendete il mio elefante, aggiungetelo ai vostri diciassette e fate la divisione».
I tre non capiscono come il ministro possa essere così generoso, ma fanno come ha detto. Gli elefanti sono ora diciotto: il primo figlio ne prende la metà, cioè nove; il secondo ne prende un terzo, cioè sei; il terzo ne prende un nono, cioè due. La somma fa diciassette. I tre fratelli sono felici e ringraziano il ministro. Quello riprende l'elefante che resta, il suo, il diciottesimo, e si rimette in cammino verso la capitale.
Così è il mondo: non una illusione, ma qualcosa che ci aiuta a fare i nostri conti e a riconoscere che l'intero universo è sostenuto dalla Coscienza, da quella Realtà o Totalità, dal Sé, di cui tutto è parte. Per cui tutto - inferno, paradiso, felicità, tristezza, gioia, il mondo stesso - tutto è in noi.

Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra, p. 409

martedì 29 ottobre 2013

AI DOCENTI – Giorgio Napolitano


Imparare è importante per l'intero sistema paese. Ma cosa serve perché a scuola si impari meglio? I risultati di varie ricerche ci dicono che più di altri fattori conta l'apporto degli insegnanti. E quindi ci si deve impegnare a investire - in risorse e iniziative - come il Governo ha iniziato a fare, perché la già notevole professionalità dei nostri docenti si rafforzi.
È giusto premiare il merito, incentivare chi lavora nella scuola a fare sempre meglio. Ma occorre anche che gli insegnanti più ricchi di talento siano generosi nel condividerlo.
Infatti, si ottengono buoni insegnanti non solo con un'accurata formazione e con opportuni aggiornamenti, ma anche e molto promuovendo la trasmissione e lo scambio nella capacità di insegnare. Non bisogna mai smettere di imparare gli uni dagli altri, anche dai giovani, e scambiare quel che si è imparato. Sappiamo quante buone pratiche vanno spesso disperse.

Giorgio Napolitano, Intervento alla cerimonia di inaugurazione dell'anno scolastico 2013-2014, Roma, 23 settembre 2013

lunedì 26 agosto 2013

E DISSE - Erri De Luca


La forza profonda della scrittura di Erri De Luca esplode terragna anche in questo libro:
"La terra è la nostra altezza calpestabile. Dal bordo del mare alla cima più alta è tutto quello che ci spetta. Tu sei andato molte volte lassù a cercarti il confine dove la terra smette e io sono venuto con te. Abbiamo la stessa esperienza, la cima è un vicolo cieco dal quale si deve semplicemente ritornare indietro. Lassù la terra non ha altro da aggiungere. Si deve sempre scendere, dare le dimissioni dall'altezza raggiunta" (p. 21-22).
E la sfida lanciata dalla "Parola" diventa agire quotidiano consapevole e responsabile:
"E' grandiosa, sì, la spinta a scalare montagne, cavalcare altezze, ma l'impresa maggiore sta nell'essere all'altezza della terra, del compito assegnato di abitarla" (p. 22).
Un libro piccolo, ma robusto, fatto di parole battute sulla pietra.

F.C.

domenica 25 agosto 2013

IL CIELO - Paulo Coelho


Un uomo, il suo cavallo ed il suo cane camminavano lungo una strada.
Mentre passavano vicino ad un albero gigantesco, un fulmine li colpì, uccidendoli all'istante.
Ma il viandante non si accorse di aver lasciato questo mondo e continuò a camminare, accompagnato dai suoi animali. A volte, i morti impiegano qualche tempo per rendersi conto della loro nuova condizione...
Il cammino era molto lungo; dovevano salire una collina, il sole picchiava forte ed erano sudati e assetati. A una curva della strada, videro un portone magnifico, di marmo, che conduceva a una piazza pavimentata con blocchi d'oro, al centro della quale s'innalzava una fontana da cui sgorgava dell'acqua cristallina.
Il viandante si rivolse all'uomo che sorvegliava l'entrata.
"Buongiorno"
"Buongiorno" rispose il guardiano.
"Che luogo è mai questo, tanto bello?"
"E' il cielo"
"Che bello essere arrivati in cielo, abbiamo tanta sete!"
"Puoi entrare e bere a volontà".
Il guardiano indicò la fontana.
"Anche il mio cavallo ed il mio cane hanno sete"
"Mi dispiace molto", disse il guardiano, "ma qui non è permesso l'entrata agli animali".
L'uomo fu molto deluso: la sua sete era grande, ma non avrebbe mai bevuto da solo.
Ringraziò il guardiano e proseguì.
Dopo avere camminato a lungo su per la collina, il viandante e gli animali giunsero in un luogo il cui ingresso era costituito da una vecchia porta, che si apriva su un sentiero di terra battuta, fiancheggiato da alberi.
All'ombra di uno di essi era sdraiato un uomo che portava un cappello; probabilmente era addormentato.
"Buongiorno" disse il viandante.
L'uomo fece un cenno con il capo.
"Io, il mio cavallo ed il mio cane abbiamo molta sete".
"C'è una fonte fra quei massi", disse l'uomo, indicando il luogo, e aggiunse: "Potete bere a volontà". L'uomo, il cavallo ed il cane si avvicinarono alla fonte e si dissetarono.
Il viandante andò a ringraziare.
"Tornate quando volete", rispose l'uomo.
"A proposito, come si chiama questo posto?"
"Cielo"
"Cielo? Ma il guardiano del portone di marmo ha detto che il cielo era quello là!"
"Quello non è il cielo, è l'inferno".
Il viandante rimase perplesso.
"Dovreste proibire loro di utilizzare il vostro nome! Di certo, questa falsa informazione causa grandi confusioni!"
"Assolutamente no. In realtà, ci fanno un grande favore. Perché là si fermano tutti quelli che non esitano ad abbandonare i loro migliori amici..."

Paulo Coelho, Il diavolo e la signorina Prym

domenica 16 giugno 2013

IL BAMBU' - Bruno Ferrero


In un magnifico giardino cresceva un bambù dal nobile aspetto. Il signore del giardino lo amava più di tutti gli altri alberi. Anno dopo anno, il bambù cresceva e si faceva robusto e bello. Perché il bambù sapeva bene che il Signore lo amava e ne era felice.
Un giorno, il signore si avvicinò al suo amato albero e gli disse: “Caro bambù, ho bisogno di te”.
Il magnifico albero sentì che era venuto il momento per cui era stato creato e disse, con grande gioia: “signore, sono pronto. Fa' di me l'uso che vuoi”.
La voce del signore era grave: “Per usarti devo abbatterti! ”
Il bambù si spaventò: “Abbattermi, signore? Io, il più bello degli alberi del tuo giardino? No, per favore, no! Usami per la tua gioia, signore, ma per favore, non abbattermi”.
“Mio caro, bambù”, continuò il signore, “se non posso abbatterti, non posso usarti”.
Il giardino piombò in un profondo silenzio. Anche il vento smise di soffiare. Lentamente il bambù chinò la sua magnifica chioma e sussurrò: “signore, se non puoi usarmi senza abbattermi, abbattimi”.
“Mio caro bambù”, disse ancora il signore, “non solo devo abbatterti, ma anche tagliarti i rami e le foglie”.
“Mio signore, abbi pietà. Distruggi la mia bellezza, ma lasciami i rami e le foglie! ”.
Il sole nascose il suo volto, una farfalla inorridita volò via. Tremando, il bambù disse fiocamente: “signore, tagliali”.
“Mio caro bambù, devo farti ancora di più. Devo spaccarti in due e strapparti il cuore. Se non posso fare questo, non posso usarti”.
Il bambù si chinò fino a terra e mormorò: “Signore, spacca e strappa”.
Così il signore del giardino abbatté il bambù, tagliò i rami e le foglie, lo spaccò in due e gli estirpò il cuore. Poi lo portò dove sgorgava una fonte di acqua fresca, vicino ai suoi campi che soffrivano per la siccità. Delicatamente collegò alla sorgente una estremità dell'amato bambù e diresse l'altra verso i campi inariditi.
La chiara, fresca, dolce acqua prese a scorrere nel corpo del bambù e raggiunse i campi. Fu piantato il riso e il raccolto fu ottimo. Così il bambù divenne una grande benedizione, anche se era stato abbattuto e distrutto.
Quando era un albero stupendo, viveva solo per se stesso e si specchiava nella propria bellezza. Stroncato, ferito e sfigurato era diventato un canale, che il signore usava per rendere fecondo il suo regno.

Bruno Ferrero
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