Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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mercoledì 8 febbraio 2017

PROVARE EMOZIONI PROFONDE - Robert H. Hopcke

                                                                disegno di Marie Cardouat

Gli eventi sincronistici risvegliano in noi la capacità di provare emozioni profonde e di esserne coscienti, poiché è la qualità delle sensazioni che rende significative tali coincidenze.
Eppure nella nostra cultura le sensazioni vere sono temute, probabilmente per lo stesso motivo per cui l’acausalità costituisce un problema per la maggior parte di noi. Dare loro spazio significa aprirsi all’esperienza, allentando il controllo che ognuno esercita su di sé. Bisogna concedersi di essere chi si è, non chi crediamo di essere o chi qualcuno ci ha detto che dovremmo essere.
Sentire significa essere vulnerabili, e la vulnerabilità è un’esperienza umiliante.
Robert H. Hopcke, Nulla succede per caso, Milano 2003, p. 37-38.


sabato 7 maggio 2016

TENGO PULITO QUESTO PIAZZALE – Luciano Mazzocchi


Un uomo sessantenne è solito sostare e chiedere l'elemosina all'ingresso della chiesa di San Babila a Milano. Venerdì pomeriggio della settimana scorsa ho assistito al rito che l'uomo sessantenne compie appena arriva in sede. Depone un grosso zaino al lato dell'ingresso, lo apre e ne trae una scopa dal manico corto. Quindi si mette a spazzare il piazzale davanti la chiesa, liberando i canaletti del selciato dai mozziconi buttati dai passanti vestiti in giacca e cravatta. Li raccoglie in una lattina e quindi li riversa nel cassonetto. Poi stende una tappetino su cui siede e da cui tende la mano a chi entra per la preghiera.
Ieri (martedì) gli ho detto grazie per il quotidiano servizio ecologico che compie. "Sono sardo e lavoravo in un'autofficina a Cagliari. La ditta un bel giorno chiuse i cancelli e sono rimasto disoccupato. Ho lasciato la Sardegna e sono venuto a Milano per cercare lavoro. Se puoi, aiutami a trovare anche un piccolo lavoro. Nel frattempo tengo pulito questo piazzale: è il lavoro che posso fare. Qualche passante si ferma e mi dà un euro... ".

Luciano Mazzocchi

mercoledì 30 marzo 2016

COSA DIRESTE A UNO CHE VI TRATTA COSI’? - Dale Carnegie (1888-1955)


Elbert Hubbard fu uno degli autori più originali che l'America ricordi e le sue vivaci affermazioni suscitavano spesso fiere polemiche. Ma Hubbard aveva una specie di dono di natura: sapeva trasformare il più acerrimo nemico in sincero amico. Per esempio, quando dei lettori irritati gli scrivevano per dirgli che non erano affatto d'accordo con questo o quell'articolo e terminavano insultandolo, lui rispondeva così:
"A ripensarci bene, anch'io non sono completamente d'accordo con me stesso. Non tutto quello che ho scritto ieri mi trova d'accordo oggi. Sono felice di sapere qual e' il suo punto di vista in merito a questa faccenda La prima volta che passa da queste parti, mi venga trovare e ne parleremo insieme. Con una stretta di mano epistolare, cordiali saluti”.
Che direste a uno che vi tratta così?
Dale Carnegie, Come trattare gli altri e farseli amici, 1936, ed. it. Bompiani, Milano 2001, p. 155

giovedì 4 febbraio 2016

PIU’ IN BASSO DELLE MONTAGNE – Lao Tse (VI sec. a.C.)

Il motivo per il quale fiumi e mari ricevono l’omaggio delle sorgenti di centinaia di monti sta nel fatto che fiumi e mari stanno più in basso delle montagne. E così possono regnare sulle sorgenti lontane.
Così il saggio che desidera porsi al disopra degli uomini di fatto si pone al disotto di loro; il saggio che desidera porsi davanti agli uomini, di fatto si pone dopo di loro. Così, benché il suo posto sia sopra gli uomini, essi non risentono del suo peso; benché il suo posto sia davanti a tutti loro, essi non se ne sentono offesi.

Lao Tse

venerdì 1 gennaio 2016

NOI PIANTIAMO SEMI - John F. Dearden


Noi piantiamo semi che un giorno nasceranno.
Noi innaffiamo semi già piantati, sapendo che altri li custodiranno.
Mettiamo le basi di qualcosa che si svilupperà.
Mettiamo il lievito che moltiplicherà le nostre capacità.
Non possiamo fare tutto, però dà un senso di liberazione l’iniziarlo.
Ci dà la forza di fare qualcosa e di farlo bene.
Può rimanere incompleto, però è un inizio, il passo di un cammino.
Un’opportunità perché la grazia di Dio entri e faccia il resto.
Può darsi che mai vedremo il suo compimento, ma questa è la differenza tra il capomastro e il manovale. Siamo manovali, non capomastri; servitori, non messia.
Noi siamo profeti di un futuro che non ci appartiene.

Preghiera comunemente attribuita al beato Oscar Romero, ma che fu pronunciata per la prima volta dal cardinale statunitense John Francis Dearden (1907-1988). Dedicata da papa Francesco nel Natale 2015 come augurio al personale della Curia romana.


martedì 8 dicembre 2015

IL SOGNO DI MARIA - Fabrizio De André



Il sogno di Maria cantato da Guido Maria Grillo
Immagini tratte da "Il vangelo secondo Matteo" di Pier Paolo Pasolini

IL SOGNO DI MARIA

Nel grembo umido, scuro del tempio
l'ombra era fredda, gonfia d'incenso;
l'angelo scese, come ogni sera,
ad insegnarmi una nuova preghiera:
poi, d'improvviso, mi sciolse le mani
e le mie braccia divennero ali ,
quando mi chiese "conosci l’estate"
io, per un giorno, per un momento,
corsi a vedere il colore del vento.

Volammo davvero sopra le case
oltre i cancelli, gli orti le strade:
poi scivolammo tra valli fiorite
dove all'ulivo si abbraccia la vite.

Scendemmo là, dove il giorno si perde
a cercarsi, da solo nascosto tra il verde,
e lui parlò come quando si prega,
ed alla fine d'ogni preghiera
contava una vertebra della mia schiena.

(... e l'angelo disse "Non temere, Maria, infatti hai trovato grazia presso
il Signore e per opera Sua concepirai un figlio…")

Le ombre lunghe dei sacerdoti
costrinsero il sogno in un cerchio di voci.
Con le ali di prima pensai di scappare
ma il braccio era nudo e non seppe volare:
poi vidi l'angelo mutarsi in cometa
e i volti severi divennero pietra,
le loro braccia profili di rami,
nei gesti immobili d'un'altra vita
foglie le mani, spine le dita.

Voci di strada, rumori di gente,
mi rubarono al sogno per ridarmi al presente.
Sbiadì l'immagine, stinse il colore,
ma l'eco lontana di brevi parole
ripeteva d'un angelo la strana preghiera
dove forse era sogno ma sonno non era

"lo chiameranno figlio di Dio"
parole confuse nella mia mente,
svanite in un sogno , ma impresse nel ventre.

E la parola ormai sfinita
si sciolse in pianto,
ma la paura dalle labbra 
si raccolse negli occhi
semichiusi nel gesto
d'una quiete apparente
che si consuma nell'attesa
d'uno sguardo indulgente.

E tu, piano, posasti le dita
all'orlo della sua fronte:
i vecchi quando accarezzano
hanno il timore di far troppo forte.

Fabrizio De André, La buona novella, 1970



martedì 1 dicembre 2015

IL GREMBIULE DELLA NONNA – Maurizio Magistri


Ti ricordi del grembiule di tua Nonna ?
Il primo scopo del grembiule delle Nonna era di proteggere i vestiti sotto,
ma, inoltre:
serviva da guanto per ritirare la padella bruciante dal forno;
era meraviglioso per asciugare le lacrime dei bambini ed, in certe occasioni, per pulire le faccine sporche;
dal pollaio, il grembiule serviva a trasportare le uova e, talvolta, i pulcini!;
quando i visitatori arrivavano, il grembiule serviva a proteggere i bambini timidi;
quando faceva freddo, la Nonna se ne imbacuccava le braccia;
questo buon vecchio grembiule faceva da soffietto, agitato sopra il fuoco a legna;
era lui che trasportava le patate e la legna secca in cucina;
dall'orto, esso serviva da paniere per molti ortaggi dopo che i piselli erano stati raccolti era il turno dei cavoli;
a fine stagione, esso era utilizzato per raccogliere le mele cadute dell'albero;
quando dei visitatori arrivavano in modo improvviso, era sorprendente vedere la rapidità con cui questo vecchio grembiule poteva dar giù la polvere;
all'ora di servire i pasti, la Nonna andava sulla scala ad agitare il suo grembiule e gli uomini nei campi sapevano all'istante che dovevano andare a tavola;
la Nonna l'utilizzava anche per posare la torta di mele appena uscita dal forno sul davanzale a raffreddare; ai nostri giorni sua nipote la mette là per scongelarla.

Occorrerà un bel po' d'anni prima che qualche invenzione o qualche oggetto possa rimpiazzare questo vecchio buon grembiule.


Maurizio Magistri

mercoledì 11 novembre 2015

IMPARO QUALCOSA DA TUTTI - Ralph Waldo Emerson (1803-1882)


Tutti gli uomini che conosco sono più bravi di me in qualcosa. 
E in questo campo, imparo da loro.

Ralph Waldo Emerson

lunedì 3 novembre 2014

IL FIORE DELLA MITEZZA – Barbara Spinelli


Il mite è il contrario del prepotente: non urla, non impugna coltelli, non ricorre al sostegno di bravi o mafiosi, non fa propaganda alla televisione, non ostenta la mitezza quasi indossasse una maschera dietro cui sta, in appostamento, il ghigno della sopraffazione.
Ma non è neppure remissivo, e tantomeno rassegnato o apatico o inerte. Umiltà e mansuetudine sono la terra che consente al fiore della mitezza di germogliare, non possiamo farne a meno come non si può fare a meno della creta di cui è fatto l’uomo.
Ma non sono ancora il fiore.

Barbara Spinelli, Il soffio del mite, p. 18-19.

domenica 10 agosto 2014

L’ULTIMO MONACO – Paulo Coelho


La Madonna, con il Bambino Gesù fra le braccia, aveva deciso di scendere in Terra per visitare un monastero. Orgogliosi, tutti i monaci si misero in una lunga fila, presentandosi ciascuno davanti alla Vergine per renderle omaggio. Uno declamò alcune poesie, un altro le mostrò le miniature che aveva preparato per la Bibbia e un terzo recitò i nomi di tutti i santi. E così via, un monaco dopo l'altro, tutti resero omaggio alla Madonna e al Bambino.
All'ultimo posto della fila ne rimase uno, il monaco più umile del convento, che non aveva mai studiato i sacri testi dell'epoca. I suoi genitori erano persone semplici, che lavoravano in un vecchio circo dei dintorni, e gli avevano insegnato soltanto a far volteggiare le palline in aria.
Quando giunse il suo turno, gli altri monaci volevano concludere l'omaggio perché il povero acrobata non aveva nulla di importante da dire e avrebbe potuto sminuire l'immagine del convento. Ma anche lui, nel profondo del proprio cuore, sentiva un bisogno immenso di offrire qualcosa a Gesù e alla Vergine.
Pieno di vergogna, sentendosi oggetto degli sguardi di riprovazione dei confratelli, tirò fuori dalla tasca alcune arance e cominciò a farle volteggiare: perché era l'unica cosa che egli sapesse fare.
Fu solo in quell'istante che Gesù Bambino sorrise e cominciò a battere le mani in braccio alla Madonna. E fu verso quel monaco che la Vergine tese le braccia, lasciandogli tenere per un po' il bambinello.
Paulo Coelho, L’alchimista, 1988, ed. it. Bompiani, Milano 1995, p. 10.


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