Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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giovedì 11 febbraio 2016

QUESTO MONDO E’ DEI PAZIENTI - dal Mahabharata

Questo mondo è dei pazienti; quello di là è dei pazienti. In questo mondo ottengono il rispetto universale; in quello di là hanno accesso al cammino propizio.
Gli uomini che tengono sempre sotto controllo la propria ira mediante la pazienza hanno accesso ai mondi supremi: per questo la pazienza è stimata come la suprema virtù.

Arjuna e l'uomo della montagna (dal Mahabharata), a cura di Alberto Pelissero, Il Leone verde, Torino 1997, p. 113

martedì 9 febbraio 2016

PAZIENTI COME LA TERRA - dal Mahabharata

Se al mondo non vi fossero uomini pazienti come la terra stessa non vi sarebbe concordia tra gli uomini, giacché la contesa ha la sua radice nell’ira.

Arjuna e l'uomo della montagna (dal Mahabharata), a cura di Alberto Pelissero, Il Leone verde, Torino 1997, p. 111

lunedì 8 febbraio 2016

L’INSANA PASSIONE DELL’IRA - dal Mahabharata


Gli insipienti spessissimo scambiano l’ira per autorità: ma questa insana passione è toccata in sorte agli uomini per la rovina del mondo. Pertanto un uomo che voglia vivere rettamente dovrà sempre astenersi dall’ira.
E di certo è meglio derogare ai propri doveri che abbandonarsi all’ira.

Arjuna e l'uomo della montagna (dal Mahabharata), a cura di Alberto Pelissero, Il Leone verde, Torino 1997, p. 111

venerdì 5 febbraio 2016

L’UOMO AUTOREVOLE – dal Mahabharata


Quel che i saggi, nella loro lungimiranza, chiamano uomo autorevole è senz’alcun dubbio esente dall’ira.
I saggi, che percepiscono le cose così come sono, definiscono autorevole chi è in grado di tenere a freno la propria ira nel momento in cui sorge, valendosi del discernimento.
Un uomo in preda all’ira non scorge più il proprio obiettivo, non riesce più a scorgere alcun limite.
Un uomo in preda all’ira colpirà gli innocenti e giungerà a levare empiamente la mano sul proprio maestro. E dunque, se si vuole esercitare l'autorità, occorre porre un freno all'ira.

Arjuna e l'uomo della montagna (dal Mahabharata), a cura di Alberto Pelissero, Il Leone verde, Torino 1997, p. 110

giovedì 28 gennaio 2016

COME UNA CLESSIDRA – Dale Carnegie (1888-1955)


Vorrei che pensasse alla sua vita come se fosse una clessidra. Lei sa che ci sono migliaia di granelli di sabbia nella parte superiore della clessidra; e tutti passeranno attraverso il foro che sta nel mezzo.
Nessuno di noi potrà nulla, allo scopo di far passare più di un granello alla volta, tranne che non si voglia fermare il meccanismo.
Tutti noi, lei e io, assomigliamo a quella clessidra. Quando ci alziamo, la mattina, ci sono centinaia di compiti che ci attendono nella giornata; ma se non cerchiamo di sbrigarli uno alla volta, lasciandoli passare lentamente e con ritmo uguale, come fanno i granelli di sabbia attraverso il foro della clessidra, se non facciamo così, manderemo in crisi il nostro organismo.
Dale Carnegie, Come vincere lo stress e cominciare a vivere, 1944, ed. it. Bompiani, Milano 1994/2015, p. 26

mercoledì 27 gennaio 2016

SU “LA CULLA MAI FINITA” 2 – Gabriella Caramore


Anche in questa piccola storia emerge, nascostamente, un elogio della pazienza: il tempo non può essere imposto dall’esteriorità delle cose, ma dal ritmo interno all’essere del mondo.
E’ un tempo che si sottrae alle dinamiche mondane e risponde a un’altra verità. Il cavallo arabo corre veloce, afferma un detto di Saadi di Shiraz. Il cammello procede invece lentamente. Ma è quest’ultimo che avanza notte e giorno.
Gabriella Caramore, Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014, p. 40-41.


martedì 26 gennaio 2016

SU “LA CULLA MAI FINITA” 1 – Gabriella Caramore


Questa è una storiella che fa parte della tradizione sufi, quel grande movimento della mistica islamica che si diffuse da subito, più o meno sotterraneamente, in tutti i territori toccati dall’islam, con la forza di una sapienza libera e fedele, severa e al tempo stesso non sistematica: un’intelligenza dell’umano estranea a ogni convenzione, centrata sull’essenzialità della vita.
Il falegname sufi ritiene, in una logica certamente paradossale, che il senso della vita non possa consistere nella fretta di avere le cose al tempo dovuto, restando asserviti a un’economia della necessità. Non vuole sottostare alle leggi – pur blande: si tratta solo di una culla, in fondo! – dell’uso e del consumo.
E’ altro l’ordine temporale della vita umana, e non bisogna sciuparlo assecondando convenienze e automatismi.
Gabriella Caramore, Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014, p. 40.


lunedì 25 gennaio 2016

LA CULLA MAI FINITA – Storia della tradizione sufi


Viveva in una città – non sappiamo in quale – un falegname. Un giorno si recò da lui un giovane padre, al quale era appena nato un bambino, e gli chiese di fargli una culla. Il falegname disse di tornare a prenderla di lì a una settimana. Ma quando il giovane padre ritornò, la culla non era finita. Settimana dopo settimana, l’uomo continuava a ritornare dal falegname. Ma la culla non era mai pronta.
Il bambino crebbe, senza la culla, è diventò uomo. A sua volta si sposò, ed ebbe un figlio. Si ricordò della sua culla mai finita, e tornò dallo stesso falegname da cui era andato suo padre, rammentandogli che gli doveva una culla: “Ecco, ora sono io ad avere un bambino piccolo. Hai l’opportunità di finire il tuo lavoro e di tener fede a un impegno”. “Vattene di qui! – gli rispose il falegname – Mi rifiuto di essere costretto a lavorare di furia solo perché tu e la tua famiglia siete impazienti di avere ciò che vi serve!”.

Gabriella Caramore, Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014, p. 39-40.


sabato 23 gennaio 2016

ATTENDERE – Mariapia Veladiano


E’ un ponte, l'attesa. Si crede che oltre, dopo, ci sia qualcosa, anche se non vediamo bene. Ma c'è un passo da fare e lo facciamo, a volte sull'impronta segnata da un altro. C'è un desiderio che mi porta e diventa movimento e se il procedere è senza traccia alcuna capita di pensare che il ponte si costruisca sotto i nostri passi, diventati noi creatori, per grazia.
E’ buona l'attesa, ci restituisce alla nostra responsabilità. Se dopo di me non c'è l'abisso, custodisco il tempo che vivo e quello che viene. Per chi ancora viene e verrà.
Quando oltre c'è qualcuno, allora l'attesa diventa un preparare veloce, festoso e inquieto, dal vestito ai pensieri alle parole: cosa dirò? come starà? Tutto di noi diventa importante, e anche intorno a noi, lo spazio, le cose.
Non c'è debolezza, rassegnazione, pigrizia, indolenza nell'attesa. Nella promessa consegnata l'attesa è vita purissima, coltivata, difesa, progettata, infine condivisa con chi l'ha a sua volta attesa.
Non si deve aver paura di fare promesse.
Così è l'amore che sa mantenere quel che ha promesso anche nei lunghi spazi delle assenze, quelle che sappiamo capire e anche le altre che non possiamo capire.
«Assenza, più acuta presenza». Attilio Bertolucci.
Mariapia Veladiano, Ma come tu resisti, vita, p. 54-55.


venerdì 22 gennaio 2016

NELLE TELE DI MORANDI 2 – Philippe Jaccottet


Talvolta vi appaiono dei colori particolarmente austeri, invernali, di bosco e di neve, che daccapo ti fanno pronunciare la bella parola “pazienza”, che ti fanno pensare alla pazienza dei vecchi contadini o a quella del monaco, con il suo saio bigio: un silenzio simile a quello che regna sotto la neve o tra i muri di calce di una cella. La pazienza che significa aver vissuto, aver penato, aver “resistito” con modestia, sopportazione, ma senza rivolta, né indifferenza, né disperazione; come se, dentro questa pazienza, si attendesse nonostante tutto una sorta di arricchimento; quasi che la pazienza permettesse di impregnarsi sordamente dell'unica luce che conta
P. Jaccottet, La ciotola del pellegrino, Bellinzona 2007, p. 37-38.


giovedì 21 gennaio 2016

NELLE TELE DI MORANDI 1 – Philippe Jaccottet


La luce sorda, uguale, che qui regna e che si esita a dire se mattutina o serale – piuttosto mattutina, forse, per via d’un sospetto d’attesa -, una luce come interna alle cose, simile a un filo di lana che saprebbe tessere insieme ogni cosa: case, alberi, sentieri e cielo per una tappezzeria da stendere sui muri di un’impossibile “sala della Pace suprema”. Una luce ad un tempo interiore e distante che potrebbe confondersi con un’infinita pazienza.
P. Jaccottet, La ciotola del pellegrino, Bellinzona 2007, p. 31-32.


mercoledì 20 gennaio 2016

METTERE DIMORA PRESSO LE COSE - Gabriella Caramore



L’impazienza sarebbe dunque un risultato dell’impossibilità di sostare, di mettere dimora presso le cose, di trovare in esse quiete e riposo e senso.

Gabriella Caramore, Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014, 15

martedì 19 gennaio 2016

LA MODA – Gabriella Caramore


La moda subdolamente impone un ritmo convulso, di per sé vuoto e immotivato, un’ansia di cambiare adeguandosi, di innovare prostrandosi ai modelli per un attimo imperanti, in una insensata rincorsa tra “novità” e “caducità”.
Gabriella Caramore, Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014, 15


lunedì 18 gennaio 2016

PAZIENZA, PAROLA INATTUALE E ANTICA - Gabriella Caramore

La pazienza esige una dilatazione del presente, un suo allungamento, una sosta nell'incessante divenire. Occorre fare pausa, per essere pazienti. Fare tregua. La pazienza reclama che il tempo ordinario sospenda il suo corso, smetta di fluire, entri in un vigile sonno. È capace di questo la nostra epoca convulsa, distratta, frettolosa, in cui ognuno di noi si sente spinto a fare presto, procedere spedito, agire in simultanea su fronti diversi, dare inizio a un procedimento senza attenderne l'esito? In cui troppa vastità di saperi rende difficoltoso il conoscere, in cui troppa facilità di connessione rende arduo l'incontro, in cui troppo mondo, affacciato sulle nostre vite, mette in affanno le relazioni? Viene, certamente, il sospetto che il nostro tempo sia radicalmente inospitale verso la pazienza.
Forse neppure ne avvertiamo il bisogno.
E forse, davvero, «pazienza» è parola inattuale, antica, in disarmo.
Gabriella Caramore, Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014, 12-13


venerdì 15 gennaio 2016

COS’E’ OGGI “PAZIENZA”? - Gabriella Caramore


Ogni parola è, di per sé, tremula e mutevole interpretazione di un mondo. Come pretendere di fissarla in un significato? Ogni parola è già, di per sé, scelta, commento, esegesi: un corpo vivo che non si lascia comprendere e costringere per intero. Si può procedere solo per avvicinamenti, approssimazioni, tentativi. Si deve provare, certamente, a dar conto del cumulo di significati ammassati l'uno sull'altro nel corso della storia. Ma alla fine ci si dovrà arrendere di fronte alla nudità della parola, coglierne la sporgenza sul rumore del tempo presente. Così, forse, sarà possibile percepirne una modulazione nuova.
Potremo allora chiederci: che cos'è, oggi, «pazienza»? Siamo ancora capaci di ospitare quella qualità della durata a cui diamo il nome di «pazienza»? Non sembra esservi dubbio: viviamo in un'epoca veloce, tanto che anche i secoli diventano «brevi» per la corsa che instaurano col tempo.
Gabriella Caramore, Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014, 11-12


giovedì 14 gennaio 2016

L’ALTRA FACCIA DELLA PAZIENZA - Gabriella Caramore


Nel racconto Davanti alla legge, scritto pochi anni prima [da Kafka], nel 1914, è un eccesso di attesa ad essere messo sotto accusa. Il protagonista, un «uomo di campagna», si attrezza per sostare a lungo davanti alla porta della Legge. Quella porta, in realtà, non è chiusa. Ma l'uomo si lascia distrarre, non pretende di oltrepassarla, non forza la situazione. Si limita a porre qualche domanda al guardiano, «risolve di attendere finché non abbia ottenuto il permesso di entrare. Il guardiano gli dà uno sgabello, e lo lascia sedere da un lato, presso la porta. Là resta seduto per giorni, e per anni». Non gli viene in mente di prenderselo, quel permesso; non immagina che quel permesso, forse, è un suo diritto; che, addirittura, quella porta attraverso cui si accede al luogo della Legge, il cui ingresso per lunghi anni nessuno aveva chiesto di varcare, era destinata a lui soltanto. E nel momento in cui – troppo tardi – lo apprende, il guardiano chiude i battenti, e per sempre. «Nessun altro poteva passare di qui, perché questa entrata era destinata a te soltanto. Ora vado a chiuderla».
Un eccesso di pazienza – l'assenza di curiosità, di impeto, di pretesa – può perdere per sempre la vita di un uomo.
Gabriella Caramore, Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014, 9-10


mercoledì 13 gennaio 2016

SAPER VIVERE IL RISCHIO DELL’ATTESA - Gabriella Caramore



L'impazienza brucia i passaggi. Non consente costruzione, impedisce di articolare un cammino che si sviluppi passo dopo passo, imprigiona ciò che, forse, potrebbe portare al «paradiso». A causa di un desiderio, che ha preteso immediata soddisfazione, gli esseri umani sono stati cacciati dal paradiso. Per un attimo, nel primo degli aforismi citati, Kafka sembra pensare che è a causa dell'inerzia – di un'assenza di desiderio, di una lentezza nei movimenti – che non vi fanno ritorno. Ma poi prende il sopravvento l'immagine della potenza distruttiva dell'impazienza: non riuscire a fermarsi sulle cose, non patire con loro il tempo necessario, non vivere il rischio dell'attesa. Questo è impazienza. Questo è il «peccato capitale».
Gabriella Caramore, Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014, 8-9


martedì 12 gennaio 2016

L’IMPAZIENZA – Franz Kafka (1883-1924)


Ci sono due peccati capitali dell'uomo, da cui derivano tutti gli altri: impazienza e inerzia. A causa dell'impazienza sono stati cacciati dal paradiso, a causa dell'inerzia non vi tornano. Forse però c'è un solo peccato capitale: l'impazienza. A causa dell'impazienza sono stati cacciati, a causa dell'impazienza non tornano.
Franz Kafka, Aforismi di Zurau


lunedì 11 gennaio 2016

PAZIENZA – Gabriella Caramore


Il nostro tempo, segnato dalla velocità e dalla fretta, sembra essere inospitale per la pratica della pazienza. Dobbiamo fare presto, procedere spediti, in una dimensione in cui la simultaneità dei gesti e degli eventi sembra condizione dello stare al mondo. Eppure tutta la vicenda umana è un lento esercizio di pazienza, come quello dell’uomo per costruire, del bambino per crescere, degli amanti per incontrarsi, dei vecchi per morire, della natura per dare frutto, della parola per prendere forma. Forse allora, nell’età dell’impazienza, da qualità della durata, la pazienza può trasformarsi in qualità morale alla quale si può dare il nome di “cura”: verso l’altro, verso le cose, verso se stessi.
Gabriella Caramore riscopre la pazienza come modo dell'ascolto, come un puro "sostare", nel quale essa si trasforma in qualità di relazione con le cose e con gli altri esseri.

Gabriella Caramore, Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014

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