La pazienza la perde solo chi ce l'ha.
Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli
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martedì 12 aprile 2016
giovedì 11 febbraio 2016
QUESTO MONDO E’ DEI PAZIENTI - dal Mahabharata
Questo
mondo è dei pazienti; quello di là è dei pazienti. In questo mondo ottengono il
rispetto universale; in quello di là hanno accesso al cammino propizio.
Gli
uomini che tengono sempre sotto controllo la propria ira mediante la pazienza
hanno accesso ai mondi supremi: per questo la pazienza è stimata come la
suprema virtù.
Arjuna
e l'uomo della montagna (dal Mahabharata), a cura di Alberto Pelissero, Il Leone verde,
Torino 1997, p. 113
martedì 9 febbraio 2016
PAZIENTI COME LA TERRA - dal Mahabharata
Se
al mondo non vi fossero uomini pazienti come la terra stessa non vi sarebbe
concordia tra gli uomini, giacché la contesa ha la sua radice nell’ira.
Arjuna
e l'uomo della montagna (dal Mahabharata), a cura di Alberto Pelissero, Il Leone verde,
Torino 1997, p. 111
lunedì 8 febbraio 2016
L’INSANA PASSIONE DELL’IRA - dal Mahabharata
Gli
insipienti spessissimo scambiano l’ira per autorità: ma questa insana passione
è toccata in sorte agli uomini per la rovina del mondo. Pertanto un uomo che
voglia vivere rettamente dovrà sempre astenersi dall’ira.
E
di certo è meglio derogare ai propri doveri che abbandonarsi all’ira.
Arjuna
e l'uomo della montagna (dal Mahabharata), a cura di Alberto Pelissero, Il Leone verde,
Torino 1997, p. 111
venerdì 5 febbraio 2016
L’UOMO AUTOREVOLE – dal Mahabharata
Quel
che i saggi, nella loro lungimiranza, chiamano uomo autorevole è senz’alcun
dubbio esente dall’ira.
I
saggi, che percepiscono le cose così come sono, definiscono autorevole chi è in
grado di tenere a freno la propria ira nel momento in cui sorge, valendosi del
discernimento.
Un
uomo in preda all’ira non scorge più il proprio obiettivo, non riesce più a
scorgere alcun limite.
Un
uomo in preda all’ira colpirà gli innocenti e giungerà a levare empiamente la
mano sul proprio maestro. E dunque, se si vuole esercitare l'autorità, occorre
porre un freno all'ira.
Arjuna e l'uomo della montagna (dal Mahabharata), a cura di Alberto Pelissero, Il Leone verde,
Torino 1997, p. 110
giovedì 28 gennaio 2016
COME UNA CLESSIDRA – Dale Carnegie (1888-1955)
Vorrei che pensasse alla
sua vita come se fosse una clessidra. Lei sa che ci sono migliaia di granelli
di sabbia nella parte superiore della clessidra; e tutti passeranno attraverso
il foro che sta nel mezzo.
Nessuno di noi potrà
nulla, allo scopo di far passare più di un granello alla volta, tranne che non
si voglia fermare il meccanismo.
Tutti noi, lei e io, assomigliamo
a quella clessidra. Quando ci alziamo, la mattina, ci sono centinaia di compiti
che ci attendono nella giornata; ma se non cerchiamo di sbrigarli uno alla
volta, lasciandoli passare lentamente e con ritmo uguale, come fanno i granelli
di sabbia attraverso il foro della clessidra, se non facciamo così, manderemo
in crisi il nostro organismo.
Dale Carnegie, Come vincere lo stress e cominciare a vivere,
1944, ed. it. Bompiani, Milano 1994/2015, p. 26
mercoledì 27 gennaio 2016
SU “LA CULLA MAI FINITA” 2 – Gabriella Caramore
Anche in questa piccola
storia emerge, nascostamente, un elogio della pazienza: il tempo non può essere
imposto dall’esteriorità delle cose, ma dal ritmo interno all’essere del mondo.
E’ un tempo che si
sottrae alle dinamiche mondane e risponde a un’altra verità. Il cavallo arabo
corre veloce, afferma un detto di Saadi di Shiraz. Il cammello procede invece
lentamente. Ma è quest’ultimo che avanza notte e giorno.
Gabriella
Caramore,
Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014, p.
40-41.
martedì 26 gennaio 2016
SU “LA CULLA MAI FINITA” 1 – Gabriella Caramore
Questa è una
storiella che fa parte della tradizione sufi, quel grande movimento della mistica
islamica che si diffuse da subito, più o meno sotterraneamente, in tutti i
territori toccati dall’islam, con la forza di una sapienza libera e fedele,
severa e al tempo stesso non sistematica: un’intelligenza dell’umano estranea a
ogni convenzione, centrata sull’essenzialità della vita.
Il falegname sufi
ritiene, in una logica certamente paradossale, che il senso della vita non
possa consistere nella fretta di avere le cose al tempo dovuto, restando
asserviti a un’economia della necessità. Non vuole sottostare alle leggi – pur blande:
si tratta solo di una culla, in fondo! – dell’uso e del consumo.
E’ altro l’ordine
temporale della vita umana, e non bisogna sciuparlo assecondando convenienze e
automatismi.
Gabriella
Caramore,
Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014, p.
40.
lunedì 25 gennaio 2016
LA CULLA MAI FINITA – Storia della tradizione sufi
Viveva in una città –
non sappiamo in quale – un falegname. Un giorno si recò da lui un giovane
padre, al quale era appena nato un bambino, e gli chiese di fargli una culla.
Il falegname disse di tornare a prenderla di lì a una settimana. Ma quando il
giovane padre ritornò, la culla non era finita. Settimana dopo settimana, l’uomo
continuava a ritornare dal falegname. Ma la culla non era mai pronta.
Il bambino crebbe,
senza la culla, è diventò uomo. A sua volta si sposò, ed ebbe un figlio. Si
ricordò della sua culla mai finita, e tornò dallo stesso falegname da cui era
andato suo padre, rammentandogli che gli doveva una culla: “Ecco, ora sono io
ad avere un bambino piccolo. Hai l’opportunità di finire il tuo lavoro e di
tener fede a un impegno”. “Vattene di qui! – gli rispose il falegname – Mi rifiuto
di essere costretto a lavorare di furia solo perché tu e la tua famiglia siete
impazienti di avere ciò che vi serve!”.
Gabriella
Caramore,
Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014, p.
39-40.
sabato 23 gennaio 2016
ATTENDERE – Mariapia Veladiano
E’ un ponte,
l'attesa. Si crede che oltre, dopo, ci sia qualcosa, anche se non vediamo bene.
Ma c'è un passo da fare e lo facciamo, a volte sull'impronta segnata da un
altro. C'è un desiderio che mi porta e diventa movimento e se il procedere è
senza traccia alcuna capita di pensare che il ponte si costruisca sotto i
nostri passi, diventati noi creatori, per grazia.
E’ buona l'attesa, ci
restituisce alla nostra responsabilità. Se dopo di me non c'è l'abisso,
custodisco il tempo che vivo e quello che viene. Per chi ancora viene e verrà.
Quando oltre c'è
qualcuno, allora l'attesa diventa un preparare veloce, festoso e inquieto, dal
vestito ai pensieri alle parole: cosa dirò? come starà? Tutto di noi diventa
importante, e anche intorno a noi, lo spazio, le cose.
Non c'è debolezza,
rassegnazione, pigrizia, indolenza nell'attesa. Nella promessa consegnata
l'attesa è vita purissima, coltivata, difesa, progettata, infine condivisa con chi
l'ha a sua volta attesa.
Non si deve aver
paura di fare promesse.
Così è l'amore che sa
mantenere quel che ha promesso anche nei lunghi spazi delle assenze, quelle che
sappiamo capire e anche le altre che non possiamo capire.
«Assenza,
più acuta presenza». Attilio Bertolucci.
Mariapia
Veladiano, Ma come tu
resisti, vita, p. 54-55.
venerdì 22 gennaio 2016
NELLE TELE DI MORANDI 2 – Philippe Jaccottet
Talvolta vi appaiono
dei colori particolarmente austeri, invernali, di bosco e di neve, che daccapo
ti fanno pronunciare la bella parola “pazienza”, che ti fanno pensare alla
pazienza dei vecchi contadini o a quella del monaco, con il suo saio bigio: un
silenzio simile a quello che regna sotto la neve o tra i muri di calce di una
cella. La pazienza che significa aver vissuto, aver penato, aver “resistito”
con modestia, sopportazione, ma senza rivolta, né indifferenza, né
disperazione; come se, dentro questa pazienza, si attendesse nonostante tutto
una sorta di arricchimento; quasi che la pazienza permettesse di impregnarsi
sordamente dell'unica luce che conta
P. Jaccottet,
La ciotola del pellegrino, Bellinzona
2007, p. 37-38.
giovedì 21 gennaio 2016
NELLE TELE DI MORANDI 1 – Philippe Jaccottet
La luce sorda, uguale, che qui regna e che si esita a dire se mattutina
o serale – piuttosto mattutina, forse, per via d’un sospetto d’attesa -, una
luce come interna alle cose, simile a un filo di lana che saprebbe tessere
insieme ogni cosa: case, alberi, sentieri e cielo per una tappezzeria da
stendere sui muri di un’impossibile “sala della Pace suprema”. Una luce ad un
tempo interiore e distante che potrebbe confondersi con un’infinita pazienza.
P. Jaccottet,
La ciotola del pellegrino, Bellinzona
2007, p. 31-32.
mercoledì 20 gennaio 2016
METTERE DIMORA PRESSO LE COSE - Gabriella Caramore
L’impazienza sarebbe
dunque un risultato dell’impossibilità di sostare, di mettere dimora presso le
cose, di trovare in esse quiete e riposo e senso.
Gabriella
Caramore,
Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014, 15
martedì 19 gennaio 2016
LA MODA – Gabriella Caramore
La moda subdolamente
impone un ritmo convulso, di per sé vuoto e immotivato, un’ansia di cambiare
adeguandosi, di innovare prostrandosi ai modelli per un attimo imperanti, in
una insensata rincorsa tra “novità” e “caducità”.
Gabriella
Caramore,
Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014, 15
lunedì 18 gennaio 2016
PAZIENZA, PAROLA INATTUALE E ANTICA - Gabriella Caramore
La pazienza esige una
dilatazione del presente, un suo allungamento, una sosta nell'incessante
divenire. Occorre fare pausa, per essere pazienti. Fare tregua. La pazienza
reclama che il tempo ordinario sospenda il suo corso, smetta di fluire, entri
in un vigile sonno. È capace di questo la nostra epoca convulsa, distratta,
frettolosa, in cui ognuno di noi si sente spinto a fare presto, procedere
spedito, agire in simultanea su fronti diversi, dare inizio a un procedimento
senza attenderne l'esito? In cui troppa vastità di saperi rende difficoltoso il
conoscere, in cui troppa facilità di connessione rende arduo l'incontro, in cui
troppo mondo, affacciato sulle nostre vite, mette in affanno le relazioni?
Viene, certamente, il sospetto che il nostro tempo sia radicalmente inospitale
verso la pazienza.
Forse neppure ne
avvertiamo il bisogno.
E forse, davvero,
«pazienza» è parola inattuale, antica, in disarmo.
Gabriella
Caramore,
Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014, 12-13
venerdì 15 gennaio 2016
COS’E’ OGGI “PAZIENZA”? - Gabriella Caramore
Ogni parola è, di per
sé, tremula e mutevole interpretazione di un mondo. Come pretendere di fissarla
in un significato? Ogni parola è già, di per sé, scelta, commento, esegesi: un
corpo vivo che non si lascia comprendere e costringere per intero. Si può
procedere solo per avvicinamenti, approssimazioni, tentativi. Si deve provare,
certamente, a dar conto del cumulo di significati ammassati l'uno sull'altro
nel corso della storia. Ma alla fine ci si dovrà arrendere di fronte alla
nudità della parola, coglierne la sporgenza sul rumore del tempo presente.
Così, forse, sarà possibile percepirne una modulazione nuova.
Potremo allora
chiederci: che cos'è, oggi, «pazienza»? Siamo ancora capaci di ospitare quella
qualità della durata a cui diamo il nome di «pazienza»? Non sembra esservi
dubbio: viviamo in un'epoca veloce, tanto che anche i secoli diventano «brevi»
per la corsa che instaurano col tempo.
Gabriella
Caramore,
Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014, 11-12
giovedì 14 gennaio 2016
L’ALTRA FACCIA DELLA PAZIENZA - Gabriella Caramore
Nel racconto Davanti alla legge, scritto pochi anni
prima [da Kafka], nel 1914, è un eccesso di attesa ad essere messo sotto
accusa. Il protagonista, un «uomo di campagna», si attrezza per sostare a lungo
davanti alla porta della Legge. Quella porta, in realtà, non è chiusa. Ma
l'uomo si lascia distrarre, non pretende di oltrepassarla, non forza la
situazione. Si limita a porre qualche domanda al guardiano, «risolve di
attendere finché non abbia ottenuto il permesso di entrare. Il guardiano gli dà
uno sgabello, e lo lascia sedere da un lato, presso la porta. Là resta seduto
per giorni, e per anni». Non gli viene in mente di prenderselo, quel permesso;
non immagina che quel permesso, forse, è un suo diritto; che, addirittura,
quella porta attraverso cui si accede al luogo della Legge, il cui ingresso per
lunghi anni nessuno aveva chiesto di varcare, era destinata a lui soltanto. E
nel momento in cui – troppo tardi – lo apprende, il guardiano chiude i
battenti, e per sempre. «Nessun altro poteva passare di qui, perché questa
entrata era destinata a te soltanto. Ora vado a chiuderla».
Un eccesso di
pazienza – l'assenza di curiosità, di impeto, di pretesa – può perdere per
sempre la vita di un uomo.
Gabriella
Caramore,
Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014, 9-10
mercoledì 13 gennaio 2016
SAPER VIVERE IL RISCHIO DELL’ATTESA - Gabriella Caramore
L'impazienza brucia i
passaggi. Non consente costruzione, impedisce di articolare un cammino che si
sviluppi passo dopo passo, imprigiona ciò che, forse, potrebbe portare al
«paradiso». A causa di un desiderio, che ha preteso immediata soddisfazione,
gli esseri umani sono stati cacciati dal paradiso. Per un attimo, nel primo
degli aforismi citati, Kafka sembra pensare che è a causa dell'inerzia – di
un'assenza di desiderio, di una lentezza nei movimenti – che non vi fanno
ritorno. Ma poi prende il sopravvento l'immagine della potenza distruttiva
dell'impazienza: non riuscire a fermarsi sulle cose, non patire con loro il
tempo necessario, non vivere il rischio dell'attesa. Questo è impazienza.
Questo è il «peccato capitale».
Gabriella
Caramore,
Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014,
8-9
martedì 12 gennaio 2016
L’IMPAZIENZA – Franz Kafka (1883-1924)
Ci sono due peccati
capitali dell'uomo, da cui derivano tutti gli altri: impazienza e inerzia. A
causa dell'impazienza sono stati cacciati dal paradiso, a causa dell'inerzia
non vi tornano. Forse però c'è un solo peccato capitale: l'impazienza. A causa
dell'impazienza sono stati cacciati, a causa dell'impazienza non tornano.
Franz Kafka,
Aforismi di Zurau
lunedì 11 gennaio 2016
PAZIENZA – Gabriella Caramore
Il nostro tempo,
segnato dalla velocità e dalla fretta, sembra essere inospitale per la pratica
della pazienza. Dobbiamo fare presto, procedere spediti, in una dimensione in
cui la simultaneità dei gesti e degli eventi sembra condizione dello stare al
mondo. Eppure tutta la vicenda umana è un lento esercizio di pazienza, come
quello dell’uomo per costruire, del bambino per crescere, degli amanti per
incontrarsi, dei vecchi per morire, della natura per dare frutto, della parola
per prendere forma. Forse allora, nell’età dell’impazienza, da qualità della
durata, la pazienza può trasformarsi in qualità morale alla quale si può dare
il nome di “cura”: verso l’altro, verso le cose, verso se stessi.
Gabriella Caramore
riscopre la pazienza come modo dell'ascolto, come un puro "sostare",
nel quale essa si trasforma in qualità di relazione con le cose e con gli altri
esseri.
Gabriella
Caramore,
Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014
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