Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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mercoledì 21 gennaio 2015

LA PACE COME CAMMINO - Tonino Bello


A dire il vero non siamo molto abituati a legare il termine PACE a concetti dinamici. Raramente sentiamo dire: "Quell'uomo si affatica in pace", "lotta in pace", "strappa la vita coi denti in pace"...
Più consuete, nel nostro linguaggio, sono invece le espressioni: "Sta seduto in pace", "sta leggendo in pace", "medita in pace" e, ovviamente, "riposa in pace". La pace, insomma, ci richiama più la vestaglia da camera che lo zaino del viandante. Più il comfort del salotto che i pericoli della strada. Più il caminetto che l'officina brulicante di problemi. Più il silenzio del deserto che il traffico della metropoli. Più la penombra raccolta di una chiesa che una riunione di sindacato. Più il mistero della notte che i rumori del meriggio.
Occorre forse una rivoluzione di mentalità per capire che la pace non è un dato, ma una conquista. Non un bene di consumo, ma il prodotto di un impegno. Non un nastro di partenza, ma uno striscione di arrivo.
La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia. Esige alti costi di incomprensione e di sacrificio. Rifiuta la tentazione del godimento. Non tollera atteggiamenti sedentari. Non annulla la conflittualità. Non ha molto da spartire con la banale "vita pacifica". Sì, la pace prima che traguardo, è cammino. E, per giunta, cammino in salita. Vuol dire allora che ha le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi, i suoi percorsi preferenziali ed i suoi tempi tecnici, i suoi rallentamenti e le sue accelerazioni. Forse anche le sue soste.
Se è così, occorrono attese pazienti. E sarà beato, perché operatore di pace, non chi pretende di trovarsi all'arrivo senza essere mai partito, ma chi parte. Col miraggio di una sosta sempre gioiosamente intravista, anche se mai - su questa terra s'intende - pienamente raggiunta.

Tonino Bello

domenica 14 dicembre 2014

MARIA, DONNA DI PARTE – Tonino Bello


No, non fu neutrale. Basta leggere il Magnificat per rendersi conto che Maria si è schierata. Ha preso posizione cioè dalla parte dei poveri, naturalmente. Degli umiliati e offesi di tutti i tempi. Dei discriminati dalla cattiveria umana e degli esclusi dalla forza del destino. Di tutti coloro, insomma, che non contano nulla davanti agli occhi della storia.
Non mi va di avallare certe interpretazioni che favoriscono una lettura puramente politica del Magnificat, quasi fosse, nella lotta continua tra oppressi e oppressori, una specie di marsigliese ante litteram del fronte cristiano di liberazione. Significherebbe ridurre di gran lunga gli orizzonti dei sentimenti di Maria, che ha cantato liberazioni più profonde e durature di quelle provocate dalle semplici rivolte sociali. I suoi accenti profetici, pur includendole, vanno oltre le rivendicazioni di una giustizia terrena, e scuotono l'assetto di ben più radicali iniquità.
Sta di fatto, però, che, sul piano storico, Maria ha fatto una precisa scelta di campo. Si è messa dalla parte dei vinti. Ha deciso di giocare con la squadra che perde. Ha scelto di agitare come bandiera gli stracci dei miserabili e non di impugnare i lucidi gagliardetti dei dominatori.
Si è arruolata, per così dire, nell'esercito dei poveri. Ma senza roteare le armi contro i ricchi. Bensì, invitandoli alla diserzione. E intonando, di fronte ai bivacchi notturni del suo accampamento, perché le udissero dall'alto, canzoni cariche di nostalgia. Ha esaltato, così, la misericordia di Dio. E ci ha rivelato che è partigiano anche Lui, visto che prende le difese degli umili e disperde i superbi nei pensieri del loro cuore; stende il suo braccio a favore dei deboli e fa rotolare i violenti dai loro piedistalli con le ossa in frantumi; ricolma di beni gli affamati e si diverte a rimandare i possidenti con un pugno di mosche in mano e con un palmo di naso in fronte.
Qualcuno forse troverà discriminatorio questo discorso, e si chiederà come possa conciliarsi la collocazione di Maria dalla parte dei poveri con l'universalità del suo amore e con la sua riconosciuta tenerezza per i peccatori, di cui i superbi, i prepotenti e i senza cuore sono la razza più inquietante.
La risposta non è semplice. Ma diventa chiara se si riflette che Maria non è come certe madri che, per amor di quieto vivere, danno ragione a tutti e, pur di non creare problemi, finiscono con l'assecondare i soprusi dei figli più discoli. No. Lei prende posizione. Senza ambiguità e senza mezze misure. La parte, però, su cui sceglie di attestarsi non è il fortilizio delle rivendicazioni di classe, e neppure la trincea degli interessi di un gruppo. Ma è il terreno, l'unico, dove lei spera che un giorno, ricomposti i conflitti, tutti i suoi figli, ex oppressi ed ex oppressori, ridiventati fratelli, possano trovare finalmente la loro liberazione.
Tonino Bello, Maria, Donna dei nostri giorni, Edizioni San Paolo


lunedì 8 dicembre 2014

MARIA, DONNA DEI NOSTRI GIORNI – Tonino Bello


Maria, la vogliamo sentire così. Di casa. Mentre parla il nostro dialetto. Esperta di tradizioni antiche e di usanze popolari. Che, attraverso le coordinate di due o tre nomi, ricostruisce il quadro delle parentele, e finisce col farti scoprire consanguineo con quasi tutta la città.
Vogliamo vederla così. Immersa nella cronaca paesana. Con gli abiti del nostro tempo. Che non mette soggezione a nessuno. Che si guadagna il pane come le altre. Che parcheggia la macchina accanto alla nostra. Donna di ogni età: a cui tutte le figlie di Eva, quale che sia la stagione della loro vita, possano sentirsi vicine.
Vogliamo immaginarla adolescente, mentre nei meriggi d'estate risale dalla spiaggia, in bermuda, bruna di sole e di bellezza, portandosi negli occhi limpidi un frammento dell'Adriatico verde. E d'inverno, con lo zaino colorato, va in palestra anche lei. E passando per corso Umberto, saluta la gente con tenerezza. E ispira in chi la guarda nostalgie di castità. E conversa nel cerchio degli amici, sul viale Pio XI, la sera. E rende felici gli interlocutori, che la ripagano con sorrisi senza malizia. E va a braccetto con le compagne, e ne ascolta le confidenze segrete, e le sprona ad amare la vita.
Vogliamo sperimentarla mentre passa per le strade del centro storico e si ferma a conversare con le donne di via Amente. O incontrarla al cimitero, la domenica, mentre depone un fiore ai suoi morti. O mentre il giovedì si reca al mercato, e tira sul prezzo anche lei. O quando alla mezza, con tutte le altre madri davanti al Manzoni, attende che il suo bambino esca da scuola per portarselo a casa e ricoprirlo di baci.
La vogliamo nelle nostre liste anagrafiche. Nei sogni festivi e nelle asprezze feriali. Sempre pronta a darci una mano. A contagiarci della sua speranza. A farci sentire, con la sua struggente purezza, il bisogno di Dio. E a spartire con noi momenti di festa e di lacrime. Fatiche di vendemmie e di frantoi. Profumi di forno e di bucato. Lacrime di partenze e di arrivi.
Come una vicina di casa, dei tempi antichi. O come dolcissima inquilina che si affaccia sul pianerottolo del nostro condominio. O come splendida creatura che ha il domicilio sotto il nostro stesso numero civico. E riempie di luce tutto il cortile.

Tonino Bello, Maria, donna dei nostri giorni, Edizioni San Paolo

domenica 27 aprile 2014

LA FESTA DEI MACIGNI ROTOLATI - Tonino Bello (1935-1993)


Quella mattina il Risorto ha mostrato alle donne che è possibile il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l’inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi.
E che se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adoperasse per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterebbe nuovamente il miracolo del terremoto che contrassegnò la prima Pasqua di Cristo. Festa dei macigni rotolati. Festa del terremoto.

Tonino Bello

martedì 22 aprile 2014

LA MULATTIERA E LA TANGENZIALE - Tonino Bello (1935-1993)


La croce rimane sempre al centro delle nostre prospettive. Ma noi vi giriamo al largo, troppo al largo. È come quando, in viaggio, si sfiora una città passando dalla tangenziale. Mentre l'automobile corre sulla strada, si dà ogni tanto un'occhiata ai campanili che si ergono e alle torri che svettano. Ma poi tutto finisce lì. Purtroppo la nostra vita cristiana non incrocia il Calvario. La croce l'abbiamo attaccata con riverenza alle pareti di casa nostra, ma non ce la siamo piantata nel cuore. Pende dal nostro collo, ma non pende sulle nostre scelte. Le rivolgiamo inchini e incensazioni in chiesa, ma ci manteniamo agli antipodi della sua logica. È un albero nobile che cresce su zolle recintate. Nel centro storico delle nostre memorie religiose. All'interno della zona archeologica dei nostri sentimenti. Ma troppo lontano dalle strade a scorrimento veloce che battiamo ogni giorno. Dobbiamo ammetterlo con amarezza. Abbiamo scelto la circonvallazione e non la mulattiera del Calvario. Abbiamo bisogno di riconciliarci con la croce e di ritrovare, sulla carta stradale della nostra esistenza paganeggiante, lo svincolo giusto che porta ai piedi del condannato.
Tonino Bello


domenica 6 aprile 2014

LA STAGIONE DEGLI UOMINI LIBERI – Tonino Bello (1935 -1993)


Carissimi,
Dio solo sa quanto era forte il desiderio di trovarmi insieme con voi quest' oggi. Anche solo per sentire il calore di mani conosciute e il vissuto di volti lontani nello spazio ma vicini nel cuore.
Ma il drago con cui il mio corpo e il mio spirito stanno lottando me lo ha impedito. Ma - vi assicuro - non gliela darò vinta, l'ultima parola sarà la vita.
Anche voi discuterete in questo convegno del drago; del drago criminale, violento che ammorba il tessuto del nostro povero Sud. Un drago nato dentro il suo corpo e che solo il suo corpo riuscirà a vincere. Avrei voluto essere tra voi per dirvi due sole parole: coraggio e sperate.
Con Gioacchino da Fiore siamo consapevoli che l'età degli schiavi è finita, sta crollando, cade a pezzi.
La stagione degli uomini liberi è già cominciata e solo il coraggio potrà renderla duratura.
Il riscatto coraggioso della dignità degli uomini è già l'inizio dell'esodo, della rottura dei legami con tutti: faraoni visibili e invisibili che incatenavano le ricchezze umane della nostra terra.
Ma non basta. Perché l'età degli uomini liberi non sia un evento fugace, perché la nonviolenza non sia un evento eccezionale, occorre organizzare la speranza per entrare nell'età degli amici.
Convivialità delle differenze, solidarietà, giustizia vorremmo che fossero i cardini di una nuova costituzione reale, di una nuova progettualità politica che restituisca al Sud il ruolo centrale di protagonista della speranza.
Il mio augurio è che dopo questo convegno divenga a tutti più chiaro - a trent' anni dall' enciclica formidabile di Papa Giovanni XXIII - che «costruire la pace in terra» è possibile. E nessun drago la può fermare.
+ don TONINO, Vescovo


Messaggio inviato il 20 marzo 1993 ai partecipanti al convegno «Mafie e Nonviolenza» tenutosi a Castellammare di Stabia.

domenica 30 marzo 2014

ADDIO, FRATELLO LADRO - Tonino Bello


Sulla tua fossa senza fiori, accenderò una lampada.
Ho saputo per caso della tua morte violenta, da un ritaglio di giornale. Mi hanno detto che ti avrebbero seppellito stamattina, e sono venuto di buon’ora al cimitero a celebrare le esequie per te. Ma non ho potuto pronunciare l’omelia. Perché alla mia messa non c’era nessuno. Solo don Carlo, il cappellano, che rispondeva alle orazioni. E il vento gelido che scuoteva le vetrate. Sulla tua bara, neppure un fiore. Sul tuo corpo, neppure una lacrima. Sul tuo feretro, neppure un rintocco di campana.
Ho scelto il Vangelo di Luca, quello dei due malfattori crocifissi con Cristo, e durante la lettura mi è parso che la tua voce si sostituisse a quella del ladro pentito: «Gesù, ricordati di me!...». Povero Massimo, ucciso sulla strada come un cane bastardo, a 22 anni, con una spregevole refurtiva tra le mani che è rotolata nel fango con te! Povero randagio. Vedi: sei tanto povero, che posso chiamarti ladro tranquillamente, senza paura che qualcuno mi denunzi per vilipendio o rivendichi per te il diritto al buon nome. Tu non avevi nessuno sulla terra che ti chiamasse fratello. Oggi, però, sono io che voglio rivolgerti, anche se ormai troppo tardi, questo dolcissimo nome.
Mio caro fratello ladro, sono letteralmente distrutto. Ma non per la tua morte. Perché, stando ai parametri codificati della nostra ipocrisia sociale, forse te la meritavi. Hai sparato tu per primo sul metronotte, ferendolo gravemente. E lui si è difeso. E stamattina, quando sono andato a trovarlo in ospedale, mi ha detto piangendo che anche lui strappa la vita con i denti. E che, con quei quattro luridi soldi per i quali rischia ogni notte la pelle, deve mantenere dieci figli: il più grande quanto te, il più piccolo di un anno e mezzo. No, non sono amareggiato per la tua morte violenta. Ma per la tua squallida vita. Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, ti aveva Ingiustamente ucciso tutta la città. Questa città splendida e altera, generosa e contraddittoria. Che discrimina, che rifiuta, che non si scompone. Questa città dalla delega facile. Che pretende tutto dalle istituzioni. Che non si mobilita dalla base nel vedere tanta gente senza tetto, tanti giovani senza lavoro, tanti minori senza istruzione. Questa città che finge di Ignorare la presenza, accanto a te che cadevi, di tre bambini che ti tenevano il sacco! Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, ti avevano ingiustamente ucciso le nostre comunità cristiane. Che, si, sono venute a cercarti, ma non ti hanno saputo inseguire. Che ti hanno offerto del pane, ma non ti hanno dato accoglienza. Che organizzano soccorsi, ma senza amare abbastanza. Che portano pacchi, ma non cingono di tenerezza gli infelici come te. Che promuovono assistenza, ma non pro-muovono una nuova cultura di vita. Che celebrano belle liturgie, ma faticano a scorgere l’icona di Cristo nel cuore di ogni uomo. Anche in un cuore abbrutito e fosco come il tuo, che ha cessato di batter per sempre.
Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, forse ti avevo ingiustamente ucciso anch’io che, l’altro giorno, quando c’era la neve e tu bussasti alla mia porta, avrei dovuto fare ben altro che mandarti via con diecimila miserabili lire e con uno scampolo di predica.
Perdonaci, Massimo. Il ladro non sei solo tu. Siamo ladri anche noi perché prima ancora che della vita, ti abbiamo derubato della dignità di uomo. Perdonaci per l’indifferenza con la quale ti abbiamo visto vivere, morire e seppellire. Perdonaci se, ad appena otto giorni dall’inizio solenne dell’anno internazionale dei giovani, abbiamo fatto pagare a te, povero sventurato, il primo estratto conto della nostra retorica.
Addio, fratello ladro.
Domani verrò di nuovo al camposanto. E sulla tua fossa senza fiori, in segno di espiazione e di speranza, accenderò una lampada.

+ Tonino Bello

domenica 23 marzo 2014

DIVENTATE COSCIENZA CRITICA - Tonino Bello


Diventate voi la coscienza critica del mondo. Diventate sovversivi. Non fidatevi dei cristiani “autentici” che non incidono la crosta della civiltà.
Fidatevi dei cristiani “autentici sovversivi” come san Francesco d'Assisi che ai soldati schierati per le crociate sconsigliava di partire.
Il cristiano autentico è sempre un sovversivo; uno che va controcorrente non per posa ma perché sa che il vangelo non è omologabile alla mentalità corrente.
E verranno i tempi in cui non ci saranno più né spade e né lance, né Tornado e né aviogetti, né missili e né antimissili. Verranno quei tempi.
E non saremo più allucinati da questi spettacoli di morte!

Tonino Bello, Senza misura. Riflessioni sulla carità, Molfetta (BA), 1993, p. 61

domenica 16 marzo 2014

UN'ALA SOLTANTO – Tonino Bello


Voglio ringraziarti, Signore, per il dono della vita.
Ho letto da qualche parte che gli uomini sono angeli con un'ala soltanto: possono volare solo rimanendo abbracciati.
A volte nei momenti di confidenza, oso pensare, Signore, che anche Tu abbia un'ala soltanto, l'altra la tieni nascosta... forse per farmi capire che Tu non vuoi volare senza di me.
Per questo mi hai dato la vita, perché io fossi tuo compagno di volo.
Insegnami allora a librarmi con Te, perché vivere non è trascinare la vita, non è strapparla, non è rosicchiarla:
vivere è abbandonarsi come un gabbiano all'ebbrezza del vento;
vivere è assaporare l'avventura della libertà,
vivere è stendere l'ala, l'unica ala
con la fiducia di chi sa di avere nel volo un partner grande come Te.

Tonino Bello

giovedì 26 dicembre 2013

CARO SAN GIUSEPPE - Tonino Bello


San Giuseppe appartiene alla famiglia di quei piccoli del Vangelo, umili e discreti, che non occupano molto spazio, si muovono con leggerezza, sono creature che, mentre vivono nell'ombra, esprimono una luce interiore che rende meravigliosa la loro presenza.

Caro San Giuseppe, scusami se approfitto della tua ospitalità e, con una audacia al limite della discrezione, mi fermo per una mezz’oretta nella tua bottega di falegname per scambiare quattro chiacchiere con te. Tu continua pure a piallare il tuo legno, mentre io, seduto su una panca, in mezzo ai trucioli che profumano di resine, ti affido le mie confidenze… Mio caro San Giuseppe, sono venuto qui per conoscerti meglio come sposo di Maria, come padre di Gesù e come capo di una famiglia per la quale hai consacrato tutta la tua vita. E ti dico che la formula di condivisione espressa da te come marito di una vergine, la trama di gratuità realizzata come padre del Cristo e lo stile di servizio messo in atto come responsabile della tua casa, mi hanno da sempre incuriosito, e mi piacerebbe capire in che misura questi paradigmi comportamentali siano trasferibili nella nostra “civiltà”.

sabato 21 dicembre 2013

TANTI AUGURI SCOMODI - Tonino Bello


Non obbedirei al mio dovere di vescovo, se vi dicessi «Buon Natale» senza darvi disturbo.
Io, invece, vi voglio infastidire.
Non posso, infatti, sopportare l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla «routine» di calendario. Mi lusinga, addirittura, l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati.
Tanti auguri scomodi, allora!
Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali. E vi conceda la forza di inventarvi un’esistenza carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio. Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.
Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la carriera diventa idolo della vostra vita; il sorpasso, progetto dei vostri giorni; la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.
Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla ove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che lo sterco degli uomini o il bidone della spazzatura o l’inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.
Giuseppe, che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.
Gli angeli che annunziano la pace portino guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che, poco più lontano di una spanna con l’aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfrutta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano i popoli allo sterminio per fame.
I poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere «una gran luce», dovete partire dagli ultimi. Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili. Che le pellicce comprate con le tredicesime di stipendi multipli fanno bella figura, ma non scaldano. Che i ritardi dell’edilizia popolare sono atti di sacrilegio, se provocati da speculazioni corporative.
I pastori che vegliano nella notte, «facendo la guardia al gregge» e scrutando l’aurora, vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio dell’abbandono in Dio. E vi ispirino un desiderio profondo di vivere poveri: che poi è l’unico modo per morire ricchi.
Sul nostro vecchio mondo che muore nasca la speranza.

Don Tonino Bello, Alla finestra la speranza

venerdì 20 dicembre 2013

BUON NATALE, AMICO MIO - Tonino Bello


Quest'anno, sono le belle parole di speranza pronunciate da don Tonino Bello ad accompagnarci in questa Nascita. 

Buon Natale, amico mio: non avere paura.
La speranza è stata seminata in te.
Un giorno fiorirà. Anzi, uno stelo è già fiorito.
E se ti guardi attorno,
puoi vedere che anche nel cuore del tuo fratello,
gelido come il tuo,
è spuntato un ramoscello turgido di attese.
E in tutto il mondo, sopra la coltre di ghiaccio,
si sono rizzati arboscelli carichi di gemme.
E una foresta di speranze che sfida
i venti densi di tempeste,
e, pur incurvandosi ancora,
resiste sotto le bufere portatrici di morte.
Non avere paura, amico mio.
Il Natale ti porta un lieto annunzio:
Dio è sceso su questo mondo disperato.
E sai che nome ha preso?
Emmanuele, che vuol dire: Dio con noi.
Coraggio, verrà un giorno in cui le tue nevi
si scioglieranno, le tue bufere si placheranno,
e una primavera senza tramonto regnerà
nel tuo giardino, dove Dio, nel pomeriggio,
verrà a passeggiare con te.

Ogni parola, ogni frase di questo augurio offre una luce che rischiara di un significato profondo la vita di ciascuno di noi.

Buon Natale.

Vostro Francesco Callegari

venerdì 29 marzo 2013

COLLOCAZIONE PROVVISORIA - Tonino Bello



Nel Duomo vecchio di Molfetta c'è un grande crocifisso di terracotta. Il parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l'ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: collocazione provvisoria.
La scritta, che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell'opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il crocifisso di lì, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito.
Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la Croce. La mia, la tua croce, non solo quella di Cristo.
Tonino Bello, Il parcheggio del calvario.

domenica 3 giugno 2012

SALVAMI DALLA PRESUNZIONE - Tonino Bello



Salvami dalla presunzione di sapere tutto,
dall’arroganza di chi non ammette dubbi;
dalla durezza di chi non tollera ritardi;
dal rigore di chi non perdona debolezze;
dall’ipocrisia di chi salva i princìpi e uccide le persone.
Don Tonino Bello

domenica 3 aprile 2011

AFFERRARE LE NUVOLE - Tonino Bello


"Se vi dicono che afferrate le nuvole, 
che battete l’aria, 
che non siete pratici, 
prendetelo come un complimento.
Non fate riduzioni sui sogni. 
Non praticate sconti sull’utopia"

[Tonino Bello]
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