Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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lunedì 12 luglio 2021

GRANDE ITALIA, ITALIA GRANDE







Grande nella solidarietà, nell’accoglienza, nella buona educazione, nel rispetto degli altri, nella sobrietà, nel sentirsi parte di un tutto che non può essere solo un fazzoletto di terra.

Grande nell’ascolto, nel parlare sottovoce, nel porre attenzione, nel maneggiare le cose con cura, nell’inventare.
 
Grande nel  far ammirare alle persone del mondo la terra che abitiamo, i nostri mari e le montagne, i piccoli borghi e le grandi città. Grandi nel condividere con loro queste meraviglie. 

Grande nel preparare i cibi con cura, nell’assaporarne i sapori con la lentezza che il piacere richiede, nel godere degli odori che erbe e fiori spandono in dono sotto il calore del sole mediterraneo. 

Grande nel saper cogliere nello sguardo del vicino una richiesta di aiuto, o anche solo una carezza, una parola d’amore o di amicizia. 

Questo farebbe grande l’Italia e questo farebbe l’Italia grande. 

Questo.


mercoledì 30 marzo 2016

COSA DIRESTE A UNO CHE VI TRATTA COSI’? - Dale Carnegie (1888-1955)


Elbert Hubbard fu uno degli autori più originali che l'America ricordi e le sue vivaci affermazioni suscitavano spesso fiere polemiche. Ma Hubbard aveva una specie di dono di natura: sapeva trasformare il più acerrimo nemico in sincero amico. Per esempio, quando dei lettori irritati gli scrivevano per dirgli che non erano affatto d'accordo con questo o quell'articolo e terminavano insultandolo, lui rispondeva così:
"A ripensarci bene, anch'io non sono completamente d'accordo con me stesso. Non tutto quello che ho scritto ieri mi trova d'accordo oggi. Sono felice di sapere qual e' il suo punto di vista in merito a questa faccenda La prima volta che passa da queste parti, mi venga trovare e ne parleremo insieme. Con una stretta di mano epistolare, cordiali saluti”.
Che direste a uno che vi tratta così?
Dale Carnegie, Come trattare gli altri e farseli amici, 1936, ed. it. Bompiani, Milano 2001, p. 155

domenica 27 settembre 2015

43. UNA LEZIONE TRA LE SBARRE – Francesco Callegari


Il mio primo incarico come dirigente l’ho ottenuto in una scuola media con annessa sezione carceraria. 
Una mattina di settembre del 2007, preside di fresca nomina, mi recai alla Casa di reclusione per far visita alla scuola del carcere. Già entrare all’interno del penitenziario non fu cosa di poco conto: cancelli, guardie e controlli si succedevano a ogni piè sospinto e io pensavo che se era così difficile entrare, quanto complicato sarebbe stato l’uscirne? Finalmente giunto alla zona delle aule, nel cuore del carcere dove nemmeno gli avvocati avevano accesso, i prof mi presentarono gli allievi uno dopo l'altro indicandomi tutte le attività che stavano svolgendo e sottolineandone i progressi scolastici e i molteplici interessi. Tutti gli allievi, adulti fatti, mi venivano presentati come i “loro ragazzi”, allievi "normali", con i loro pregi e anche con i soliti difetti di chi talvolta ha poca voglia di studiare e marina volentieri le lezioni. 
Ma, mi chiedevo, se erano lì, tanto normali non dovevano essere. Non stiamo parlando di un carcere che accoglie ladruncoli di strada, ma di una Casa di reclusione regionale che rinchiude mafiosi del 41 bis, pedofili e pluriomicidi. E così, durante il consiglio di classe, io candidamente cominciai a chiedere ai professori i motivi delle condanne, e per quanti anni, e se erano pericolosi, e tutte queste cose. 
Le mie domande caddero in un silenzio imbarazzato. 
Con semplicità, mi spiegarono che loro non avevano la minima idea dei delitti di cui i loro allievi si erano macchiati, e non volevano conoscere nulla della loro storia passata per non essere influenzati nel loro lavoro qui e ora. Non erano sprovveduti e sapevano benissimo di non avere a che fare con gli angioletti dell'acquasantiera, ma non volevano correre il rischio di entrare nel vortice nefasto della profezia che si autoavvera. Il loro lavoro era quello di insegnare alle persone che avevano di fronte in quel preciso momento, e solo se la loro mente e il loro cuore fossero stati liberi da pregiudizi ci sarebbero riusciti. 
Non sto parlando di insegnanti speciali, con chissà quali specifiche competenze, sto parlando di normali professori, che però avevano compreso profondamente ciò che io, allora, non avevo ancora capito.
Da quel momento, ho amato quegli insegnanti e ho continuato ad ammirarli come si ammirano gli eroi nascosti che fanno il loro dovere, con la testa e con il cuore, ogni giorno.  
Per me, è stata una lezione grandissima, che non dimenticherò mai. Ve la dono, affinché sia anche per voi motivo di esempio e di riflessione.   
27 settembre 2015



mercoledì 16 settembre 2015

LA SCUOLA CHE VA RISPETTATA – Stefano Allievi


Primo giorno di scuola in quasi tutte le regioni d’Italia. Non in Trentino Alto Adige, che ha cominciato il 7 settembre. E nemmeno in Veneto, che per imperscrutabili motivi comincerà per ultimo, insieme alla Puglia, il 16. Al di là della data differenziata (se non altro simbolico segno che l’autonomia scolastica c’è), i problemi con cui quest’anno scolastico si apre sono comuni. Sarà infatti in vigore la riforma della scuola voluta dal Governo, contro cui sono già annunciate le prime mobilitazioni e proteste: impugnata anche dalla Regione Veneto con il sostegno del Movimento 5 Stelle, mentre il movimento anti-gender raccoglie le firme per abolirla insieme ai Cobas (per dire quante cose diverse ci si possono trovare dentro, e quante strane alleanze si creano).
In tutto questo, non riesce facile fare un discorso lineare sulla scuola. Ci proviamo, marcando alcuni punti fermi. La “Buona scuola” può piacere o meno. Si può disquisire con buone ragioni su ciò che manca, o su come è attuato quello che c’è. Non c’è dubbio tuttavia che tocchi punti centrali e sentiti: valutazione degli insegnanti, ruolo dei dirigenti scolastici, autonomia. Si può fare di più? Si può, e si deve. Ma solo partendo dal presupposto che la riforma non è abbastanza, non che è già troppo e va rifiutata. In questo senso gli insegnanti farebbero un grosso errore a boicottarla, anche se crediamo non sia questo il sentire comune tra i docenti. E’ legittimo protestare contro una riforma, e proporre soluzioni alternative. Ma una volta in vigore è legge dello stato, e la scuola deve dare l’esempio nel rispettarla, pur continuando a proporre soluzioni alternative e miglioramenti. Non è solo questione di rispetto della legalità: è l’abc della funzione civile della scuola e della sua ragion d’essere educativa. Abdicando ad essa, come alcuni preannunciano (iniziative esemplari proprio il primo giorno: che ha un significato simbolico, per studenti e famiglie, che non può essere preso in giro; o un domani il boicottaggio dei test Invalsi o degli scrutini), significa fare un danno di lungo periodo alla stessa funzione insegnante e alla sua credibilità, che ne risentirebbe ulteriormente.
Questo anche per non far aumentare la distanza, già oggi rilevante, tra il modo di vedere la scuola degli insegnanti e quello di studenti e famiglie. Su questo tema il “Corriere della sera” ha pubblicato un sondaggio da cui emerge che entrambi hanno importanti interessi in comune: vogliono migliorare la didattica, aumentare le ore di scuola, valorizzare lo sport e l’arte, dedicare quindi più risorse alla scuola. Ma famiglie e studenti vogliono anche più meritocrazia e valutazione esterna (non l’autovalutazione che preferiscono gli insegnanti), vedono il principale problema nella qualità stessa dell’insegnamento, vorrebbero avere criteri oggettivi per comparare le scuole e sceglierle, sono in larga maggioranza favorevoli ai test Invalsi, pur avendo in comune con gli insegnanti il desiderio di migliorarne l’efficacia.
Tutto questo ci dice che la riforma, con tutti i suoi limiti, ha preso una direzione che, dagli utenti della scuola, è considerata giusta: semmai non ancora sufficiente. Non sono contro: vogliono andare oltre. Insieme, insegnanti e famiglie, possono quindi chiedere di più: in termini di edilizia scolastica, risorse a disposizione (anche per la formazione e, sì, i salari degli insegnanti), orari più lunghi, più materie tra cui scegliere, miglioramento della didattica.
In questo gli insegnanti sono supportati dalle famiglie: che nella funzione della scuola ci credono, nella capacità di perseguirla un po’ meno – spesso, e qui sta la divergenza, per motivi diversi da quelli che gli insegnanti considerano cruciali. E’ un punto da cui partire per riflettere insieme. Se le organizzazioni degli insegnanti lo usassero invece come motivo per cui dividersi ulteriormente (non dal governo, ma dalla pubblica opinione) commetterebbero un errore che andrebbe a loro danno. Se lo si capisce, guardando al futuro, si apre una grande opportunità per la scuola come valore aggiunto sociale e civile del paese. Se non lo si capirà, continuando a guardare a quello che ormai è il passato, il corpo insegnante rischia di perdere una partita assai più importante: quella del significato della sua funzione e del suo peso sociale.

La scuola che va rispettata, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 13 settembre 2015, p.1

lunedì 7 settembre 2015

41. LA DOMANDA DELLE ONDE - Francesco Callegari


E’ dunque questo che chiamano vocazione:
la cosa che fai con gioia, come se avessi il fuoco nel cuore e il diavolo in corpo?
Josephine Baker
Capita, scendendo un fiume in canoa, che per imperizia o troppa corrente l’imbarcazione d’improvviso si capovolga. Non succede spesso, ma quando succede l’unica certezza è che niente intorno a noi si trovi dove dovrebbe essere.
Negli ultimi tempi, la mia canoa si è rovesciata più di una volta. Io non sono un canoista provetto, tutt'altro, ma sfido chiunque a rimanere a galla dopo essere stato sbattuto da onde come quelle che hanno colpito la mia imbarcazione.
L’ultima ondata, per esempio. Nel corso di un incontro tenuto pochi giorni fa, Francisco (Paco) Bermudez Hernandez, fondatore di una scuola libertaria nello Chiapas messicano, di fronte a una platea di insegnanti ha detto chiaro e tondo che ognuno di noi ha una missione da compiere nella vita (e già questo mette i brividi), e che la scuola ha il compito stimolante, ma impegnativo, di accompagnare ciascun ragazzo e ciascuna ragazza a scoprire la propria vocazione. Se non fa questo, la scuola ha fallito, perché solo trovando il posto che è il suo, la persona potrà realizzarsi, e quindi essere felice, all’interno del progetto che guida tutto l’Universo. Per senso della misura, ma anche per la profonda consapevolezza della propria funzione, in quella scuola gli insegnanti sono chiamati “accompagnatori”. Ciascun allievo percorrerà la propria strada con la velocità e i mezzi che ha a disposizione, ma l'obiettivo per tutti sarà quello di dare il proprio contributo al fine di realizzare l'armonia dell'Universo attraverso l'amore e il rispetto. Questo è ciò che si vive nella scuola di Paco, la scuola YirTrak, che significa “girare per trascendere”[1]. Un po’ come succede alla nostra canoa.
La domanda della prima onda è “Verso dove stai camminando?

L’altra onda è venuta da un libro dell’analista americano James Hillman (1926-2011), dove si propone la “teoria della ghianda”, vale a dire l’idea che ciascuna persona è portatrice di una unicità che chiede di essere vissuta e che già è presente prima di poter essere vissuta, come una ghianda contiene in sé la quercia che sarà. Verrebbe semplicisticamente da pensare a una passiva predestinazione, ma ciò che Hillman vuole mettere in risalto è invece l’aspetto attivo della “vocazione”, quel mistero fondamentale che sta al centro di ogni vita umana. Ciascuno di noi è unico, ha un talento: scoprirlo e nutrirlo ogni giorno è ciò che dà un senso al nostro essere nel mondo e ciò da cui dipendono il nostro equilibrio e la nostra felicità. Hillman non cerca tanto la ragione per cui vivere, quanto piuttosto il motivo per cui la mia persona, che è unica e irripetibile, è al mondo[2].
La domanda della seconda onda è: “A cosa sei destinato?

La capovolta più sconcertante è stata però causata da un pensatore francese, René Guénon (1886-1951): difficile da cavalcare l’onda generata da idee che si discostano molto dal tranquillo pensare comune, e insidiosa la corrente sospinta dal vento che proviene dalle altezze di quello che è chiamato pensiero Tradizionale. Guénon ci ricorda come secondo l’attuale concezione occidentale, un uomo possa dedicarsi a una professione qualsiasi, e anche cambiarla a suo piacimento, come se questa professione fosse qualcosa di puramente esteriore a lui, senza alcun reale legame con ciò che egli veramente è, cioè con ciò che lo fa essere se stesso e non un altro. “Nella concezione Tradizionale, al contrario, ciascuno deve normalmente svolgere la funzione cui è destinato dalla sua stessa natura, con le attitudini che questa essenzialmente implica; e non può svolgerne un’altra, senza che ciò rappresenti un grave disordine che avrà una ripercussione su tutta l’organizzazione sociale di cui egli fa parte”. E ancora “Secondo la concezione Tradizionale, sono le qualità essenziali degli esseri a determinare la loro attività; nella concezione profana, invece, queste qualità non contano, e gli individui non sono considerati altro che come «unità» intercambiabili e puramente numeriche”[3].
La domanda della terza onda è “Sei al tuo posto?

Tre onde diverse, ma strettamente legate, pronte a confondere e destabilizzare. Tre domande, che partono da lontano e che ancor oggi interrogano l’essere nel senso più radicale, quello dell’esistenza stessa.
Lo scivolare sulle acque del fiume è messo a dura prova: molte sono le domande che queste e altre onde ci pongono. Quando per esempio affermiamo che è l’allievo a essere posto al centro dell’azione educativa, intendiamo operare per accompagnarlo a scoprire e valorizzare la sua vocazione profonda oppure intendiamo fornirgli gli strumenti per integrarsi efficacemente nella società attuale? Non è la stessa cosa. Se riteniamo prioritaria l’integrazione all’interno di questa società in veloce cambiamento, daremo grande valore alle competenze che gli allievi dovranno dimostrare di avere acquisito al termine dei cicli scolastici. Ma se per centralità della persona intendiamo ciò che le onde ci hanno suggerito, allora ci assale lo sgomento, perché tutto lo sforzo che abbiamo fatto per abituarci a navigare in un oceano di incertezze fra alcuni arcipelaghi di certezze[4], si annulla nella nuova consapevolezza che la salvezza sta nella capacità del singolo di ritrovare quei perduti parametri esistenziali basati su valori che poco hanno a che vedere con tutto ciò che noi chiamiamo “progresso”.  
A questo punto, la domanda delle onde è “Quale educazione?

Buon anno scolastico.
16 settembre 2015                   
Francesco Callegari
dirigente scolastico




[1] Francisco (Paco) Bermudez Hernandez, fondatore del progetto educativo Yirtrak in Chiapas Messico.
[2] James Hillman, Il codice dell’anima, Adelphi, Milano 1997.
[3] René GuénonIl Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, Parigi 1945, ed. it. Adelphi, Milano 1982, p. 61.
[4] Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, 2001.

martedì 21 luglio 2015

IL POTERE – Gianrico Carofiglio


Il potere sulle altre persone è qualcosa di osceno e l'unico modo per renderlo tollerabile è il rispetto.
E' la regola più importante e anche la più facile da violare.
Gianrico Carofiglio, Le perfezioni provvisorie, Sellerio, Palermo 2010.


domenica 11 gennaio 2015

LA CASA APERTA – Mahatma Gandhi


Non voglio che la mia casa sia circondata da mura e che le mie finestre siano sigillate.
Voglio che le culture di tutti i paesi possano soffiare per la mia casa con la massima libertà.
Ma mi rifiuto di essere cacciato via da chiunque.

Mahatma Gandhi

mercoledì 19 novembre 2014

PARLARE – Mariapia Veladiano


Dire solo parole che fanno la differenza.
Prima qualcuno era fuori, e noi lo abbiamo invitato ad entrare. Anche se non aveva le parole per chiederlo.
Lui non conosceva il suo nome, e noi lo abbiamo chiamato mentre ancora era lontano. Pentecoste quotidiana di chi si riconosce.
C'è anche chi non sa proprio le parole, straniero al paese in cui ha trovato rifugio e anche a se stesso in questa terra, e allora noi gliele insegniamo, una a una, festoni di suoni colorati appesi alle pareti d'aula, raggruppate in famiglie composte e perbene: casa, casina, casetta, casona, casata. Anche caserma per movimentare un po'. E a volte capita di consegnare una parola per noi indifferente e facile facile, come mare, ad esempio e quando loro, i bambini, ce la restituiscono e appendono il festone, scopriamo che non hanno potuto far famiglia, perché forse l'hanno persa per sempre la loro famiglia. E le parole ci ritornano raggruppate per desideri e dolori: mare, mamma, casa. E anche porto, buio, onde, paura. E felici allora se troviamo parole che accolgano le loro, che adesso oscillano lievi ogni volta che le sfioriamo sospese, disposte a diventare racconti non ancora scritti ma già pronti quasi a disperdersi nel mondo quando il vento entra dalle finestre aperte dell'aula e le solleva come la coda di un aquilone.
Mariapia Veladiano, Ma come tu resisti, vita, p. 51.


lunedì 17 novembre 2014

STRANIERI – Mariapia Veladiano


Vederci di tanto in tanto con occhi stranieri è una grazia.
Vedere l'acqua che esce facile dai rubinetti, acqua benedetta e la buttiamo la santa domenica a lavare i nostri pneumatici insieme alle coscienze sciatte che ci comandano.
E vedere le case che sono nostre, e se la cupidigia non ci divora, sono sicure e non ci schiantano al primo rabbrividire della terra.
Poter poi camminare nelle città, a fronte alta se vogliamo e con un nome pronto da dichiarare. Lo pronunciamo una sola volta, e viene riconosciuto.
E i figli. I nostri figli, che facciamo studiare, come deve essere, e hanno zaini e vestiti, e li portiamo in corsa al conservatorio o in piscina, quanta acqua!, e ci preoccupiamo che scelgano, Economia, Medicina o Archeologia, come deve essere, e non sappiamo lo sgomento e insieme l'orrore di stringerli in braccio leggeri leggeri, quasi stritolati dalla pena di chi non può nulla per loro, che almeno dormano e non sentano la fame, perché non si sa dove cercare il pane.
E poi l'assurdo nostro ridicolo correre strizzati in un tempo che intanto va con il suo bel passo regolare, pronto al ritmo del nostro piacere se solo lo volessimo, e invece dannato al nostro scappare, da tutti, da noi, dalla vita.
Sì, è una grazia essere stranieri per quel che serve a vederci.
Mariapia Veladiano, Ma come tu resisti, vita, p. 119-120.


sabato 15 novembre 2014

PAROLE (1) – Mariapia Veladiano


Di parole si può morire. Non solo di maleparole che strangolano insieme l'anima e il cuore. E tante sono le parole del giudizio: da qui non vien niente di buono, ma come si fa? neanche le bestie. Al quadrato ignoranti, di uomini e di animali.
Ci sono anche le parole in eccesso. Affogare di altrui dilagare. Di chi non sa la potenza del proprio parlare e non sa il suo svanire in questo fiume che va, senza ombra di solennità. E tutto è uguale a tutto il resto, sconti, morti, calure e sventure.
Altre parole volteggiano come poiane sui tavolieri, alte e indifferenti, un partir da lontano, insidia che pare indolente e non si sta sull'attenti, poi calano, uncinate, e non c'è trincea all'esser afferrati.
Poi ci sono le parole al contrario. Specchiate bugie. Limpide imposture in cui si crede per arrivare al giorno dopo, e poi a quello dopo, e poi ancora e ancora.
Che la libertà è un consegnarsi all'ombra del potente, in cambio di niente, un'occhiuta sicurezza, più crudele di un'imboscata.
Che la bellezza è la mascherata di un'eterna deforme giovinezza, vita sacrificata a sognare un tempo che non ritorna.
Che la vita è questo normale affanno di coincidenza stavolta presa, di incrociarsi senza incontrarsi, di vita già finita.
«Sulla bocca degli stolti è il loro cuore,
i saggi invece hanno la bocca nel cuore»
(Sir 21,26).
Mariapia Veladiano, Ma come tu resisti, vita, p. 121-122.


venerdì 7 novembre 2014

LA PIOGGIA NEL COLLEGIO – Nadia Vidale


Pensavo di cavarmela rapidamente, oggi, da un Collegio andato direi insolitamente lineare. Invece, quasi in capo alla discussione, è arrivata la grandine e i professori, bilanciando Collegio e automobili, hanno ritenuto di mettere al coperto le macchine.
Così almeno immagino sia andata, perché ho visto uno sciame uscire per poi rientrare con difficoltà e forse qualcuno non è più rientrato.
Poi invece ha cominciato a entrare l’acqua in auditorium, un rivolo lungo il lato esposto, che ha destato un grandissimo interesse e allora anche quelli che non avevano le macchine si sono affrettati a raggiungere le uscite di emergenza per guardare fuori e qualcuno, per giustificarsi, diceva che voleva vedere dove andava l’acqua…
Sicché c’era grandissima cagione di distrazione nell’aula e inoltre cominciavano a spegnersi le luci.
Io avevo la parolina magica: “O tornate a sedere o io sospendo il collegio e lo riconvoco domani alle tre, così non piove”, ma stentavo a dirla perché il radiomicrofono dava segnali di cedimento e non era facile sentirmi.
Il punto più alto è stato raggiunto quando i soliti geni hanno cominciato a protestare che, a microfono spento, non si sentiva… restando seduti sparsamente qua e là, perché all’oratore è pericoloso avvicinarsi (ti ascolto, sì, se mi fai arrivare la voce fin dove sono io, sennò vedi di alzare il volume che non sarò mai io ad alzare le…).
A un certo punto si è capito che facevo sul serio e, col telefono senza fili, la notizia della riconvocazione ha preso consistenza e indotto anche i più restii e affascinati dalla potenza della natura che si accaniva con successo contro l’edificio della scuola a riprendere posto.
Il mio vero timore era che le luci partissero tutte e a quel punto il guaio era grosso, perché la delibera era importante e per approvarla per alzata di mano, le mani, occorre che si vedano.

Una Preside, durante il Collegio dei docenti

sabato 4 ottobre 2014

CANTICO DELLE CREATURE - Angelo Branduardi



Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad te solo, Altissimo, se konfano
et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie mi’ Signore, cun tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore,
de te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si’ mi’ Signore, per sora luna e le stelle,
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’ mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dai sustentamento.

Laudato si’ mi’ Signore, per sor aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’ mi Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte,
et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’ mi’ Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si’ mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore,
et sostengo infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke 'l sosterrano in pace,
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare.
guai a cquelli ke morrano ne le peccata mortali,
beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.

Laudate et benedicete mi’ Signore' et ringratiate
et serviateli cun grande humilitate.


Francesco di Assisi
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