Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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venerdì 20 gennaio 2017

DOPO LA CAMPANA DI VETRO – Lisa Cannella


Ho letto con molta attenzione il suo ultimo post e non posso che condividerne ogni singola parola. La scuola da anni è incatenata, imbavagliata, messa di continuo sotto la lente di ingrandimento, ostacolata dai genitori e dai nuovi "cattivi maestri".
A mio parere la causa di questa situazione è una soltanto: esiste un "sistema" politico, sociale, commerciale che vuole le nuove generazione ignoranti e impaurite, altrimenti le masse non sarebbero più controllabili. Far vivere i ragazzi sotto un' inutile, quanto mai opportuna, campana di vetro conviene a questo "sistema" che non vuole lo sviluppo di una capacità critica, lo sviluppo del vivere civile, aggregato, inclusivo . Dividere le persone, alimentare la cultura del sospetto è il veleno che serpeggia in ogni ambiente. 
In questo scenario notevolmente desolante, sono fermamente convinta che solo la cultura ci possa "salvare" e la scuola deve continuare a farsi carico di questa battaglia. Forse la vera sfida della scuola è rendere i ragazzi consapevoli di essere uomini e donne liberi, capaci di autodeterminare le loro scelte, capaci di ponderare con saggezza e audacia ogni singolo gesto. Il coraggio della vera libertà romperà le campane di vetro, dell'ignoranza, dell'omertà, del falso perbenismo.
Oggi è anche il giorno dell'Epifania e nell'epoca dei "selfie" non è facile capirne la logica ... oggi è la manifestazione del volto "di un altro", il volto di un bambino adagiato sulla mangiatoia, l'unico volto che può raccontarci il nostro, dirci chi siamo e liberarci dalle nostre paure: per porsi davanti quel volto ci vuole coraggio, perché dobbiamo abbandonarci rinunciando ad ogni più piccola resistenza.
Fino a quando la nostra Società e in particolare la "civilissima" Europa continueranno a mettere in disparte il bambino adagiato sulla mangiatoia, non vedo margini di crescita, di dialogo, di speranza, di coraggio, di A-more.
L'augurio per questo nuovo anno è che tutti, in modo particolare le giovani generazioni, possono ritrovare quei principi umani e civili smarriti da tempo e che si faccia della cultura, quella vera, lo strumento per uscire dalle sabbie mobili in cui siamo precipitati.

Lisa Cannella

giovedì 19 gennaio 2017

DOPO LA CAMPANA DI VETRO – Armando Tivelli


Caro Francesco,
ho letto con attenzione le tue riflessioni, che condivido e che meriterebbero molte ulteriori riflessioni.
Mi permetto solo di aggiungerne una: purtroppo il sistema (inteso in senso ampio, ovvero l'intreccio delle regole e delle prassi che governano e indirizzano le relazioni umane, professionali, socio-economiche, politiche,....) non poteva lasciar fuori un elemento fondamentale come la filiera educazione-formazione-cultura.
Per valutarne anche solo parzialmente l'impatto, basta analizzare l'evoluzione del nostro ruolo, sempre più burocratizzato e meramente gestionale-amministrativo e con sempre meno tempo e spazio per l'esercizio della leadership educativa.
Non ci è stata rubata solo l'abitudine alla fiducia, ma anche il tempo (e quindi, a lungo andare, l'abitudine) per pensare: bisogna sforzarsi di ricostruire.

Armando Tivelli

mercoledì 18 gennaio 2017

DOPO LA CAMPANA DI VETRO – Monica Celeghin


Grazie per la tua riflessione sulla campana di vetro. Dalle tue parole mi sembra di intuire che il ruolo di dirigente non abbia intaccato la tua vocazione pedagogica, anche se come responsabile primo della sicurezza ti troverai spesso tra l'incudine e il martello. A proposito del rischio che fa crescere: ricordi il laboratorio per l'intelligenza pratica che tu hai avuto l'ardire di autorizzare? Tra varie vicissitudini il laboratorio continua, anzi, quest'anno è attivo anche un laboratorio di falegnameria. Pensa, l'anno scorso al termine del laboratorio, abbiamo fatto un'escursione di collaudo delle bici restaurate. Abbiamo percorso l'Ostiglia fino alle spiaggette del Brenta.
Certo, abbiamo rischiato, ma non puoi immaginare l'entusiasmo, la gioia, la correttezza del comportamento.
Grazie ancora Francesco, difendi il tuo coraggio per amore dei ragazzi.

Monica Celeghin

martedì 17 gennaio 2017

DOPO LA CAMPANA DI VETRO – Eva Caltran


Il suo auspicio, la sua speranza sono il motore che ogni giorno conduce migliaia di insegnanti nelle loro scuole con l'entusiasmo per un nuovo giorno di scuola che sta per iniziare per loro e per gli alunni.
Lei ha descritto esperienze di un passato che, come docente, vorrei ardentemente veder ritornare per tutti noi. Non posso che augurarlo a tutte le persone che credono che l'esperienza educativa sia l'unica via autentica per crescere e arricchirci, insomma per vivere. Felici.
Grazie per questo pensiero, perché così ricordo perché ho scelto questo lavoro, o forse sarebbe più corretto dire perché questo lavoro ha scelto me.

Eva Caltran

lunedì 16 gennaio 2017

DOPO LA CAMPANA DI VETRO – Patrizia Malachin


Al di là della perfezione, ci sentiamo tutti vuoti, perché avremmo bisogno di uno piccolo spazio  intermedio per far fluire la fantasia, le idee e soprattutto la "libertà" per dar vita alla spontaneità, all'istintività, alla creatività.
Se si perde di mira il grande l'obiettivo di educare, a scapito della sicurezza e della responsabilità e a fronte di non incappare in errori e rischi, allora non si sta lavorando per amore e passione, ma si sta bivaccando.
Il più grande errore che possa commettere un educatore è deludere il proprio educando.

Patrizia Malachin

venerdì 13 gennaio 2017

DOPO LA CAMPANA DI VETRO – Andrea Bergamo


Caro Francesco,
buon anno di fiducia e di amore. Nella vita e nel lavoro.
Ho letto con grande attenzione e interesse la tua "campana di vetro" e subito mi sono venute alla mente due immagini.
La prima, anno scolastico 1991/92, la legge 626 ancora non ha fatto capolino nel nostro ordinamento, ma già si organizzano i primi corsi di educazione alla salute e la sicurezza viene concepita in termini di prevenzione di incidenti. Su invito e sensibilizzazione dell'allora provveditorato agli studi, molte scuole iniziano le prime, ruspanti ma appassionanti e per nulla tecniche rilevazioni dei rischi, all'interno delle scuole. Ricordo che per quasi un mese, un gruppo di lavoro, nato all'interno del Consiglio di istituto, formato da docenti e genitori, ha fatto il giro di tutte le scuole, girando angolo per angolo, aula per aula, scala per scala, cercando di rilevare eventuali luoghi "pericolosi". Il tutto era finalizzato a creare una cultura della salute (sicurezza) e quindi di prevenzione degli incidenti scolastici negli alunni, dopo aver individuato eventuali rischi. Nessuno di noi pensava alla sicurezza in termini di responsabilità, ma di sicurezza, cioè di evitare agli alunni di cadere dalla scala scivolosa, di farsi male se sbattevano addosso ad uno "spigolo vivo", se si impigliavano la tasca dei pantaloni sulla maniglia, appuntita, della porta dell'aula...
Fu una bella stagione, ognuno di noi si sentiva utile alla causa comune: avere una ambiente scolastico, privo di pericoli, dove far vivere agli alunni la migliore esperienza di crescita culturale e di promozione dello star bene in mezzo agli altri.
Due anni dopo, arrivò la 626 e i corsi di formazione cambiarono prospettiva. E i dirigenti, allora presidi, cominciarono a cimentarsi con la burocrazia asfissiante degli adempimenti.
La seconda immagine, risale a 10 anni dopo, quando fui invitato, come relatore, in un convegno sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, organizzato dallo SPISAL dell'ULS 16 e dal Comune di Padova. Mi era stato affidato il tema: gioco e sicurezza nelle scuole dell'infanzia. Iniziai la mia relazione - usavano allora i lucidi e la lavagna luminosa - partendo dal concetto "rischio educativo della crescita", ponendo in primo piano il diritto del bambino di arrampicarsi sul castello di corda, posizionato nel salone della sua scuola, senza essere ossessionato dalla paura di cadere o dal divieto dell'insegnante che, per paura di complicazioni varie, vieta ai bambini di arrampicarsi sul castello. La relatrice che aveva parlato prima di me, una pediatra di fama nazionale, annuiva e sembrava condividere quanto stavo dicendo, ma mentre mi addentravo, con alcuni esempi, tratti dalle osservazioni di parecchie scuole dell'infanzia, e, un po', mi compiacevo, nel sostenere la necessità di favorire nei bambini il gioco spontaneo, senza eccessivi limiti e divieti, salì sul palco il direttore dello SPISAL, interrompendo la mia relazione, perché  troppo pedagogica, rispetto al tema del convegno. Qualche giorno dopo, il direttore venne a trovarmi in Ufficio e ricordando il mio intervento al convegno, mi apostrofò come "una serpe in seno".
Non ho mai pensato di avere doti da grande relatore, forse qualche volta avrò anche annoiato il pubblico che mi ascoltava, ma nessuno mai mi aveva definito "serpe in seno", per aver detto che i bambini hanno bisogno di sperimentare luoghi e situazioni,  con un pizzico di rischio e che lo stesso è utile per la crescita.
Caro Francesco, tutte le domeniche i miei due nipotini di 8 e 5 anni vengono a trovarmi e dopo aver suonato il campanello, provano gusto a nascondersi, per farmi uno scherzo. Io sto al gioco, ma mentre fingo di preoccuparmi come mai non vedo nessuno pur avendo sentito suonare il campanello, il più grande scavalca il cancello, si nasconde tra le fronde dell'ulivo che si trova nel mio giardino e, con aria soddisfatta, mi chiama e mi chiede: nonno, mi vedi? La mia prima reazione è  fingere la sorpresa, la seconda è raccomandargli che non metta i piedi  nei rami troppo fini che potrebbero spezzarsi e farlo cadere! Da qualche tempo, ne aggiungo una terza: stai attendo a non pestare i piedi a tuo fratello, che compiuti i 5 anni si sente pronto a emulare il fratello di 8.
Non possiamo pretendere che gli insegnanti si comportino come il nonno compiaciuto che rifiuta di dare divieti ai nipotini (ci pensano già i genitori) ma vorrei suggerire agli insegnanti di provare a fidarsi un po' di più dei loro alunni, di valutare la situazione ambientale e di accettare l'idea che il rischio zero non esiste. Allora, con la nostra saggezza, di educatori, possiamo anche tollerare che qualcuno possa sbucciarsi un ginocchio a scuola. Non sarà la fine del mondo, al contrario sarà l'inizio di un percorso identitario, che aiuterà l'alunno ad acquisire maggiore consapevolezza dei suoi limiti e della sua personalità.

Andrea Bergamo, dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale di Padova e Rovigo

giovedì 12 gennaio 2017

DOPO LA CAMPANA DI VETRO – Francesco D’Avenia


Sottoscrivo ogni tua parola.
Mi domando: cosa posso fare nel mio quotidiano e in particolare a scuola affinché non sia proprio io un generatore di paure?
Penso che oltre ad una sana veglia interiore per trovare le risposte più libere e sincere che vengano dal cuore, non dobbiamo mai stancarci di rinsaldare i nostri rapporti proprio sui temi della fiducia nelle varie relazioni.
Aiutiamoci insieme a dare concrete risposte di fiducia in un mondo che sembra sempre più essere "posseduto" dalle paure.
Francesco D’Avenia


mercoledì 11 gennaio 2017

DOPO LA CAMPANA DI VETRO – Stefano Da Ros


Carissimo Francesco,
i tuoi contributi sono sempre pregnanti e preziosi!
Mi fai ricordare il mio primo anno di insegnamento, 1980/81, a Fregona, ai piedi del Cansiglio, in "stanze" della Parrocchia, in attesa della nuova costruzione. Con il regolare arrivo in aula del bidello con secchio di carbone per caricare la stufa...
Con alunni che "in tutta sicurezza" saltavano fossi e si sbucciavano ginocchia e gomiti...
Con ragazzi mattinieri che scendevano dal monte "in autonomia", alimentati da... zabaione con Marsala :-)
E proprio questa mattina, nel corso della riunione che ho tenuto con gli assistenti amministrativi per un riassetto organizzativo degli uffici, ho parlato di fiducia. Ho sottolineato che io non controllo chi fa cosa (nel flusso ordinario delle pratiche) perché "mi fido, so che mi posso fidare di voi, così il tempo che non occupo a fare il controllore lo dedico agli studenti, alle loro famiglie, al supporto della didattica, alle relazioni..."
Grazie ancora Francesco.
Ti auguro il meglio, compreso qualche viaggio vantaggioso con Trenitalia :-)

Stefano Da Ros

martedì 10 gennaio 2017

DOPO LA CAMPANA DI VETRO – Dora Pistoia


Non posso essere che d'accordo con lei, aggiungo soltanto che in nome del cosiddetto pericolo ci stiamo arrendendo alla P A U R A e questo sentimento negativo purtroppo sta divorando la natura di quelli positivi, limitandoci in tutto e soprattutto in quella che è la spontaneità della fanciullezza.
I genitori per e in nome del protezionismo stanno privando I loro figli del momento di crescita più bello della loro vita.

Dora Pistoia

lunedì 9 gennaio 2017

DOPO LA CAMPANA DI VETRO – Marcello Costa


Caro Francesco, mi hai fatto ricordare Verecondo Cuoghi (era lui il casaro?), quante volte è venuto a scuola a Curtarolo a fare il formaggio con i ragazzi e ancora a parlare di ambiente con la spontaneità di un innamorato della natura e con le prove fotografiche fatte da vero professionista.
E' triste pensare che adesso per fare il formaggio a scuola (e poi mangiarlo come colazione con il pane: la tosella cotta sul fornellino a gas era deliziosa) comporta una serie di ostacoli, penso insuperabili:
progetto nel Piano triennale dell'offerta formativa;
delibere del Consiglio di classe, 
del Collegio dei docenti,
del Consiglio di istituto;
bando di ricerca dell'esperto esterno;
determina per la gara;
determina per l'assegnazione del laboratorio;
procedura per l'anticorruzione; 
permessi delle famiglie;
controllo dell'igiene delle attrezzature;
controllo della qualità del latte;
HACCP del conduttore del laboratorio;
rispetto della filiera prevista dalle norme di sicurezza;
divieto di consumare cibo non certificato;
presenza della Protezione civile;
....
e, se c'è qualche spesa, alla fine la fattura elettronica!

Però la tosella di Verecondo me la ricordo ancora.

Marcello Costa

venerdì 6 gennaio 2017

LA CAMPANA DI VETRO - Francesco Callegari


Ormai faccio parte della Terza età. Me ne sono reso conto all’improvviso, quando Trenitalia, nel farmi gli auguri per i miei sessant’anni, mi ha graziosamente fatto notare che da quel momento avrei avuto diritto agli sconti per i miei viaggi in treno. La benefica scossa mi ha stimolato a ripensare al film della mia vita. E di questo film, mi piacerebbe scorrere assieme a voi alcuni fotogrammi: ai vecchi, si sa, è concessa qualche libertà.
Ho lavorato nella scuola per tanto tempo. Ho cominciato come supplente, nei primi anni Ottanta e mi ricordo di avere passato più tempo fuori, all’aria aperta, con le mie classi, nei prati, nelle cascine e sotto gli alberi, che tra le mura dell’aula. Un anno, a Bevadoro, abbiamo perfino invitato a scuola il casaro e fatto bollire in cortile non so quanti litri di latte per poi fare il formaggio tenero e fresco che abbiamo mangiato lì, tutti insieme spensieratamente. Si lavorava molto, ma nella letizia e senza tante ansie, nella fiducia e nel rispetto da parte delle famiglie.
Tutto era vissuto all’interno del sogno dell’avventura educativa, nell’entusiasmo di una gioventù che non era soltanto anagrafica, ma che rispecchiava anche il fiorire di una società inserita in un mondo aperto a tante opportunità. E ciascuno si sentiva “respons-abile”, cioè in grado e in dovere di rispondere per quanto gli competeva alla costruzione di quel mondo. In tutti si faceva tutto: insegnanti pieni di voglia di sperimentare, famiglie che collaboravano fiduciose, ragazzi che a scuola venivano anche per stare insieme ai loro compagni e, perché no, pure per litigarci, salvo poi trovare sempre il modo di riappacificarsi, anche senza l’intervento degli adulti.
E’ stata una stagione straordinaria, un modo di fare scuola che è ancora nel cuore di chi l’ha vissuto, ma che oggi non è più ripetibile.
Mi sono chiesto cosa sia cambiato nella società per portarci a perdere la freschezza e la spontaneità di quegli anni e ho provato a darmi delle risposte. Sono sicuramente risposte parziali, risposte che vogliono soltanto fotografare la realtà dal mio punto di vista, senza la minima presunzione di volerla giudicare o la pretesa di cambiarla.
La risposta immediata che mi sembra possa spiegare questo profondo cambiamento sta nella diversa sensibilità che oggi la società presenta nell’ambito della responsabilità personale e in quello della sicurezza. Per quanto riguarda la prima, vedo persone sempre più preoccupate nel cercare al di fuori di sé la causa di ciò che gli succede, con la conseguente necessità di trovare in ogni caso qualcuno su cui scaricare la responsabilità dei loro guai. Per quanto riguarda la sicurezza, noto che, almeno nella scuola, questo tema è diventato talmente pressante, da soffocare qualsiasi anelito al rischio e all’avventura.
In definitiva, è la paura, il sentimento che ci sta attanagliando: la paura di perdere quello che abbiamo, sia esso qualcosa o qualcuno. Dalla paura primordiale di perdere la vita, fioriscono e trovano alimento tutte le nostre paure quotidiane: la paura di non essere amati; la paura dello sconosciuto e del diverso; la paura dell’incontro e quella dello scontro; la paura del nuovo e dell’incontrollabile; la paura di fidarci e di restare delusi; la paura di essere lasciati soli e quella di non essere riconosciuti; la paura di affidare a qualcuno i nostri beni, i nostri figli …
Solo chi si fida non ha paura.
Questa, a mio parere, è la grande perdita della nostra società: la perdita della fiducia. E in questo clima generale, le famiglie non fanno eccezione: ci consegnano i loro figli, ma anche ce li “af-fidano”?
Se la nostra preoccupazione come scuola è sempre stata, nel passato, quella di offrire ai ragazzi le più varie opportunità di crescita, anche cimentandosi in nuove esperienze e sperimentazioni manuali, ora il nostro primo pensiero e le nostre maggiori energie vanno a salvaguardarne l’incolumità, evitando tutte quelle attività che potrebbero, anche solo lontanamente o ipoteticamente, comportare un rischio.
L’azione educativa della scuola è storicamente legata alle esigenze e alle aspettative della società che la progetta, e che la finanzia. Anche se, personalmente, ritengo questa scelta pericolosa e molto limitante, non posso che farmene una ragione e accettare questo vincolo. L’atto educativo che si realizza nelle nostre scuole è pertanto curvato sul profilo e sulle esigenze della società che abbiamo oggi, com’è andata delineandosi in questi anni.
Naturalmente, nessuno mette in discussione l’importanza dell’incolumità psicofisica dell’alunno, ma forse ci si dimentica che crescere comporta necessariamente dei rischi. Soprattutto nel caso di bambini e ragazzi che trovano il loro modo di apprendere sperimentandosi quotidianamente nel rapporto con i compagni e con l’ambiente che li circonda. Quale libertà educativa può prendersi e dare una scuola che viene minacciata di denunce per il solo fatto che il figlio arriva a casa graffiato da un compagno? Come possiamo pretendere che i docenti lavorino bene con l’angoscia continua di ricevere le lettere dagli avvocati e di essere chiamati in giudizio per qualsiasi litigio tra coetanei? In diverse scuole italiane sta capitando proprio questo.
E’ necessario, a questo punto, che anche le famiglie comprendano come sia necessario trovare un equilibrio tra il nostro compito di educatori e quello di custodi/sorveglianti, nella piena consapevolezza che è certamente indispensabile mettere in atto tutte le strategie per ridurre i rischi, ma anche nella serena accettazione che stiamo vivendo in un mondo in cui non è possibile bandire del tutto il pericolo e solo una campana di vetro potrebbe eliminare il rischio della “collisione educativa”.
Personalmente, credo che il ragazzo cresca meglio in un ambiente dove sente di essere circondato da persone che gli danno fiducia e dove sa di poter sempre contare su una base sicura in caso di bisogno. E quando dico sempre, intendo proprio “sempre”, in ogni momento della giornata e ovunque egli si trovi.
Siamo arrivati a parlare di fiducia e di libertà, due doni che rendono preziosa la vita di ciascuno, sia esso uomo o donna, bambino o adulto, genitore o insegnante.
All’inizio di ogni anno ci si augura salute e ricchezza. Io auguro a tutti noi di riuscire a rompere la nostra campana per essere pervasi dalla luce e dalla forza che solo la reciproca fiducia può darci.
Correremo dei rischi, ma saremo tutti più ricchi e più felici.
Buon anno

Francesco Callegari

6 gennaio 2017

mercoledì 9 marzo 2016

3. RESPONSABILITA’ CIVILE SUGLI ALUNNI


La responsabilità civile sugli alunni, costringe i docenti ad anteporre la vigilanza degli studenti all’insegnamento, impedendo di fatto molte delle nuove e più stimolanti modalità didattiche che sono ampiamente praticate all’estero.
I dirigenti e, soprattutto, i docenti sono letteralmente “bloccati”: anche minime azioni come spostare la disposizione dei banchi o degli arredi, scendere le scale o usare una forbice, vengono viste come potenziali “pericoli”.
Nelle scuole domina la paura!
Serve una ridefinizione della culpa in vigilando, adeguandola alle mutate condizioni della società e sull’esempio delle leggi in vigore in altri Paesi più avanzati.

Laura Biancato e tanti altri dirigenti scolastici italiani

http://www.dirigentiscolasticitaliani.it/wp/


domenica 3 gennaio 2016

RESTANO TRE COSE – Fernando Pessoa (1888-1935)


Di tutto restano tre cose:
la certezza
che stiamo sempre iniziando,
la certezza
che abbiamo bisogno di continuare,
la certezza
che saremo interrotti prima di finire.
Pertanto, dobbiamo fare:
dell’interruzione, un nuovo cammino,
della caduta, un passo di danza,
della paura, una scala,
del sogno, un ponte,
del bisogno... un incontro.


"DE TODO, QUEDARON TRES COSAS"

la certeza de que estaba siempre comenzando,
la certeza de que había que seguir
y la certeza de que sería interrumpido 
antes de terminar.

Hacer de la interrupción un camino nuevo,
hacer de la caida, un paso de danza,
del miedo, una escalera,
del sueño, un puente, de la búsqueda,...un encuentro

Fernando Pessoa


sabato 31 ottobre 2015

PAURA – Mariapia Veladiano



Per paura la vita diventa un camminare sghembo. Scarto improvviso per non sfiorare il prossimo che rimane sconosciuto.
Scappare di sguardi con la paura al centro e tutto il mondo a confine. Incrociarsi in difesa senza incontrarsi.
Rinunciare al nuovo. Quiete che si cerca con affanno, a testa bassa, in un perpetuo e inconsapevole pensare a tessere fughe, da loro, da noi, da quel che potremmo avere e da quel che abbiamo.
Forse non perderemo un amore, perché non ci siamo fermati a viverlo. Forse l'unico incontro che ci raggiunge, e a cui scegliamo di non dedicarci, ci lascia graffi che fanno poco male e così scansiamo qualche ferita in questo calcare pesante il mondo. In fuga.
Serrare il pensiero senza la leggerezza curiosa degli occhi che vedono. Non sentire lo sciame dei sentimenti che ci moltiplica nelle vite di tanti. E le vite che ci toccano quel che basta per sentirle un po' nostre. Meravigliosa umanità comune che la paura ci rende molesta e stridente.
Per paura si abbandona la battaglia buona del nostro bene. La relazione che ci fa persone, viste e riconosciute.
Si rinuncia a capire. Ci si separa. Si uccide. Ci si uccide.
Per paura si muore di paura.
Non aver paura ce lo deve dire un altro.
Insieme è nulla la paura.
Mariapia Veladiano, Ma come tu resisti, vita, p. 25-26


mercoledì 2 settembre 2015

C’E’ UN MOMENTO NELLA NOTTE – Maurizio De Giovanni


C’è un momento, nella notte, che è un diaframma. Non è lo stesso per tutti, naturalmente. Arriva quando il territorio della coscienza diventa indistinto, come quando in un’alba d’inverno si cammina in campagna e la nebbia nasconde le cose in mezzo ai sogni.
In quel momento le paure si fanno strada in mezzo alle decisioni e le sgretolano, una pietra alla volta, per mettersi a costruire i sogni che seguiranno e che, la mattina, si dissolveranno silenziosi.
In quel momento le sicurezze cessano di esistere, la fame è meno urgente, perfino il dolore si fa da parte per lasciar passare le passioni più lontane, quelle che abbiamo chiuso dietro la porta della ragione.
Lo conoscono le madri, quel momento, e passano la mano sulla fronte dei bambini per distendere gli occhi e le anime, per lasciar immaginare che ci siano loro stesse dietro la nebbia e che quindi ci si possa addentrare confortati dal ricordo della tenerezza.
Accade che ci si senta forti, in quel momento. Che sembri possibile abbattere gli ostacoli senza sforzo, risolvere le questioni senza dubbi. O che ci si senta deboli, e ogni ostacolo sembri una montagna senza appigli e senza scappatoie. Accade di aver paura di sentirsi forti.
Di aver paura di non farcela, a mantenere una decisione.
Ma ancor più di avere paura di farcela.
Maurizio De Giovanni, Anime di vetro, Einaudi, Torino 2015, p. 172-173.


sabato 21 febbraio 2015

MOLLA LA PRESA - Pierre Lévy


Tutto ciò cui non hai rinunciato diventa un motivo di timore.
Tutto ciò cui tieni, ti «tiene», t'imprigiona.
Se vuoi liberarti, “molla la presa”.

Pierre Lévy, Il fuoco liberatore

martedì 28 ottobre 2014

ACCETTARE IL RISCHIO - Pierre Durrande


In materia di educazione è importante non vivere nell’illusione di essere all’altezza di tutte le situazioni e possedere un’idea esatta delle proprie paure, per avere il coraggio di resistere.
Ma a quel punto abbiamo accettato in anticipo l’ipotesi che si possa perdere la battaglia, e accettiamo di rischiare.

Pierre Durrande, L’arte di educare alla vita, p. 39

martedì 21 ottobre 2014

GLI SI ILLUMINANO GLI OCCHI – Daniel Pennac


Ogni giorno in una classe c'è un docente che ha vinto il terrore dei suoi alunni e ci sono bambini ai quali si illuminano gli occhi perché hanno finalmente capito qualcosa che fino a dieci minuti prima era per loro del tutto incomprensibile.
Daniel Pennac, Palermo, Teatro Massimo, 19 ottobre 2014


lunedì 20 ottobre 2014

FARSI CAPIRE – Daniel Pennac


I problemi degli allievi sono spesso legati alla lingua, alla non comprensione di quello che viene detto loro. Solo se i professori riescono a farsi capire, a utilizzare una lingua che non terrorizzi, solo allora si creano le condizioni di parità di cui parlava Don Milani.
Il primo lavoro di un docente deve essere quello di lottare contro la paura dei bambini di non capire la domanda che viene posta loro e di fare di conseguenza la figura dell'imbecille.

Daniel Pennac, Palermo, Teatro Massimo, 19 ottobre 2014

lunedì 18 agosto 2014

NON C’E’ PIU’ PAURA - Paulo Coelho


Abbiamo paura di perdere soltanto ciò che possediamo, sia esso la nostra vita o i nostri poderi. Ma la paura passa quando ci rendiamo conto che la nostra storia e la storia del mondo sono state scritte dalla stessa mano.

Paulo Coelho, L’alchimista, 1988, ed. it. Bompiani, Milano 1995, P. 89.
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