Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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giovedì 19 dicembre 2019

L'ARCOBALENO E LA PENTOLA D'ORO



Natale 2019

Un’antica leggenda irlandese ci racconta di come ai piedi dell’arcobaleno sia posta una pentola colma di monete d’oro, pronta per essere trovata da chi ne sia degno. Un folletto la protegge da occhi indiscreti e confonde con i suoi trucchi coloro che guardano senza vedere.
L’arcobaleno è via da seguire, sentiero senza scorciatoia, cammino da percorrere per intero, viaggio di scoperta e di meraviglia, da fare con i piedi sporchi di luce e di colore.
Il folletto ti vedrà da lontano e saprà che la ricchezza già ti appartiene.

Francesco Callegari


lunedì 24 dicembre 2018

ROBERTO DELLE MONGOLFIERE - Francesco Callegari



A Roberto parlano gli angeli
e gli raccontano del fuoco e del vento

Le sue mani di vasaio hanno capovolto le coppe di terra
per riempirle di cielo

Roberto delle mongolfiere ha compreso
la forza del fuoco, il dono del vento

Ha reso leggero ciò che era pesante

Ha portato legna al fuoco del suo amore

Ha chiuso gli occhi per dare fiducia al vento

Le sue mongolfiere sono appese a un filo
e hanno i colori delle farfalle

Portano con sé sogni e speranze


NATALE 2018

Auguri di fiducia e di leggerezza
Francesco

mercoledì 28 dicembre 2016

STUPORE – Leonardo Lucco


Questo è il sessantesimo Natale che percorro e in questi giorni ho pensato molto al fatto che non mi coinvolge più.  Tutto mi sembra vecchio, trito e ritrito. Al lavoro tutti i clienti devono finire entro Natale quello che si è iniziato da tempo, serpentoni di auto corrono da un centro commerciale all’altro per regali che non vengono in mente e una strana frenesia si impossessa anche di persone normalmente tranquille.
Era così anche per i Natali che ho trascorso?
Da piccolo, il Natale era la Messa di mezzanotte con luci soffuse e cori di Astro del ciel e Adeste Fideles. Al mattino lo stupore di regali che non immaginavo e poi l’odore dei mandarini e quel gran lusso dei bagigi. Tutto era permeato di una magia che il diventare adulto ha a poco a poco scemato.
Quello che vagava nei sogni e nel pensare era solo mio e a volte diventava reale, che Magia!
Se penso oggi a cosa desidero, faccio fatica a focalizzare un oggetto o un sogno, mi sembra di avere tutto e forse non ho niente, ma un niente che mi piace.
Come regalo di Natale vorrei riavere i miei sogni e attraversarli senza ostacoli e cattiverie.
Vorrei ritrovare lo stupore di un dono inaspettato e gli odori dell’infanzia.
Per Natale vorrei mandare un bacio a tutte quelle persone che in una vita sembrano sullo sfondo, i miei zii che non ci sono più, che arrivavano con verdure dell’orto e due salami (sai ne abbiamo fatto in più quest’anno), quando eravamo solo la Mamma e Licia e Mauro e da poco papà ci aveva lasciato. I miei nonni che ho conosciuto poco e poi tutte quelle persone che incontro e che hanno un piccolo gesto gentile, un sorriso, quell’umanità “normale” che sorregge tutti.
Sono tante piccole stelle anonime del firmamento e ti accorgi di loro solo quando si spengono, ma nella mappa del creato rimangono intorno a te.
E poi un caloroso Buon Natale agli amici che spesso non si vedono ma si sentono, stendi una mano di fianco e li tocchi, anche se non sono lì.
Buon Natale, Leonardo (o, come nei sogni di bambino, Nano).

Leonardo Lucco

martedì 20 dicembre 2016

47. PASSO DI DANZA - Francesco Callegari


“Adesso sono lieve, adesso io volo,
adesso vedo al di sotto di me,
adesso è un dio a danzare
se io danzo"

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra


Il nostro destino di viaggiatori conosce il peso del bagaglio che sempre ci accompagna. Brandelli di rimpianti o rimorsi per ciò che è stato, o non è stato. Panni stesi ad asciugare lungo il filo della vita e più ritirati. E il filo è diventato tanto pesante e lasco da sfiorare la terra e imbrattare pure l'orlo delle vesti di oggi. Come chi se l'appende all'orecchio o se la lega al dito trascinando code che intralciano e rallentano il cammino di chi le porta e di chi le incrocia. Il passato è corpo di sale, ne sa qualcosa la moglie di Lot, statua ormai bloccata dal peso di ciò che non ha potuto, o voluto, lasciare andare.

Dio è amore perché non ha memoria. È il dio che danza. E del movimento andato rimane solo scia che si perde nell'aria, e il gesto che verrà è già presenza. È fluire senza frenare, andare libero e giocoso, è incontrare con occhi sempre nuovi, spalancati di fame e meraviglia. 

Il presente è il passo di oggi, passo di danza, passo di fatica in passo di speranza.

Buon Natale, buona Danza.
Francesco Callegari


Natale 2016

mercoledì 30 dicembre 2015

FINALMENTE, HO VISTO IL NATALE – Leonardo Lucco


Oggi sono andato in centro a fare compere e cercare regali, non c’era quell’atmosfera di buio, luci, freddo, nebbia che tempo fa tanto mi piaceva. Tanti negozi chiusi, di quelli che conoscevo quando anch’io lavoravo in centro. Al loro posto tanti bar, gelaterie,  negozi di cose inutili a scelta, abbigliamento di ogni genere. L’importante è mangiare e bere, perché pensare ad altro?
Anche le luminarie non sono più quelle, adesso sono geometriche, a led, sfavillanti ma senza segni di Natale, senza anima, una sorte di arte astratta, non mi piacciono.
Le bancarelle poi hanno un sacco di cose senza senso, portafortuna indiani, acchiappasogni pellerossa, saponi artigianali, cianfrusaglie che negli altri giorni dell’anno farebbero schifo a chiunque.
Dopo un po’ ho preso i miei regali, libri, perché la mia fantasia non va oltre e perché così regalo tanti momenti di evasione da questo tempo, poi ho ripreso l’autobus verso casa.
Vicino a me era seduto un uomo alto e robusto, con un vestiario tipico di chi lavora nei cantieri, con due borse per utensili, uno zaino e una piccola valigia. Aveva l’aspetto da slavo, proveniente da qualche paese dell’est e mi sono chiesto se anche lui festeggia il Natale o se ha altro credo religioso.
Alla fermata dove è sceso lo aspettava un bambino di dieci anni circa, in bicicletta, che appena sceso ha abbracciato il suo papà, gli ha preso le due borse di attrezzi e le ha agganciate al manubrio. Poi sotto braccio al papà, spingendo la bici a mano, gli faceva delle carezze tenere sulla schiena quasi a lenire i dolori di un lavoro duro, ma adesso il suo eroe era a casa e la famiglia si riuniva.
Finalmente è arrivato il Natale e io, fortunato, l’ho visto.
Leonardo Lucco, amico padovano che lavorava alla Ricordi, quando ancora quel negozio era la meta di tanti tra noi, amanti della musica.


lunedì 28 dicembre 2015

E' PASSATO FACENDO SOLO IL BENE – Enzo Bianchi


Al centro di tutto il nostro vivere c’è il Signore Gesù, quest’uomo che ci ha insegnato a vivere in questo mondo, quest’uomo che è passato facendo solo il bene, quest’uomo che era straordinario perché “umanissimo”, quest’uomo che raccontava Dio con la sua carne, la sua vita, la sua parola. Egli era ed è Dio, parola in verità ambigua, ma che per noi significa la verità, l’eternità, ciò che ci precede, ci accompagna, ci segue, qui e al di là della nostra morte. Sì, noi lo amiamo senza averlo visto e senza vederlo crediamo in lui che dà senso alle nostre vite, sempre inadeguate in ogni relazione vissuta: con gli uomini e le donne che incontriamo e con lui, nel quale c’è tutta l’umanità e tutta la divinità.

Fr. Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose

sabato 26 dicembre 2015

CANTO DI NATALE – Mariapia Veladiano


È la vigilia di Natale, c’è la nebbia, è buio, fa freddo nel negozio, fa freddo nella strada ma il vero freddo è «il freddo che aveva dentro». «Gli gelava il viso, gli affilava il naso appuntito, gli raggrinziva le gote, ne induriva l’andatura, gli arrossava gli occhi, gli illividiva le labbra, si rivelava nella voce gracchiante. Una brina ghiacciata gli copriva il capo, sopracciglia e mento legnoso; ed egli portava sempre in giro con sé quella sua bassa temperatura, che gelava il suo ufficio anche nei giorni di canicola, e non saliva, sia pure di un grado, neanche al tempo di Natale».
Ebenezer Scrooge è il protagonista del Canto di Natale di Charles Dickens e trascorre i giorni della sua vita scalpellato in un suo egoismo così compatto che il freddo dell’inverno nemmeno lo sente perché lo emana in proprio lungo tutto l’arco dei mesi e insieme ostinatamente s’impegna a credere che scelta non ci sia, a credere che la vita sia così, questo furioso difendere il proprio tangibile bene, fatto di cose che non si usano per risparmiarle a se stesse, di case che non si riscaldano per accumulare in banca titoli che non si godono perché hanno la missione di aumentare, sempre di più, sempre di più.
Difendere le cose e insieme difendersi dai sentimenti, sia mai che costino un regalo o anche solo una gratitudine, spiffero di vita che ci invade. Per cui l’affetto del nipote ostinatamente cordiale è solo molesto. Ma bisogna difendersi soprattutto dai sensi, «perché un nonnulla basta a turbarli. Un piccolo imbarazzo di stomaco può renderli ingannevoli». Benevolenza da buona digestione, sia mai che dopo ci si debba pentire. E in questo generale totale assoluto viaggiare solo e diffidente, la visita del socio Marley, peraltro del tutto defunto da sette anni, cade inizialmente sotto l’accetta del sospetto, come tutte le relazioni della sua vita circoscritta, serrata, inchiavistellata.
Triste lui, rattristati quelli che gli stanno intorno, come si fa a non vedere? Come facciamo tutti a non vedere la nostra infelicità?
Il socio Jacob Marley che arriva dall’oltretomba carico di una catena da lui stesso costruita in vita, fatta di «chiavi, lucchetti e libri mastri», spiega a Scrooge come a un bambino che non vuol capire. È la vita circoscritta la colpa e la condanna insieme, il non essersi mai allontanato dall’ufficio, mai «oltre gli stretti limiti del nostro minuscolo banco di cambio», gli occhi incollati a terra e ai beni e mai mai alla «stella benedetta che condusse i magi a una capanna».
Al di là del vortice di buoni sentimenti, di un mondo povero ma felice in cui Scrooge viene trasportato dallo spirito del Natale passato e dallo spirito del Natale presente, e anche al di là dell’orrore ormai scontato in cui lo precipita la visione del Natale futuro, che lo immerge nella realtà della sua morte e dello sciacallaggio da cui è circondata, il viaggio natalizio di Scrooge è sostanzialmente un vedere. «Vieni e vedi». Non sono le parole a trasformarlo ma il lineare vedere come ciò che si è scelto ha avuto conseguenze su di noi e sul mondo e come quel che faremo da ora in poi è ancora tutto nelle nostre mani, non è scritto.
Ciò che Scrooge impara è qualcosa che in fondo sappiamo ma dimentichiamo, e cioè che è la solitudine a disseccare la nostra umanità. Non è bene che l’uomo sia solo. Ed è la cecità lo strumento che ci permette di vivere così. Di non vivere così. Caino dov’è tuo fratello? Scrooge che esce dalla notte di Natale vivo dopo aver attraversato il suo funerale è un uomo che vede, improvvisamente vede: il tacchino da regalare, i gentiluomini che aveva cacciato senza fissarli negli occhi il giorno prima, e sente improvvisamente il freddo del negozio e la gioia della festa e la felicità di rendere felici, felice della felicità degli altri.
Chissà se il terribile peccato contro lo Spirito non è semplicemente questo negarsi alla vita, alla ricerca della propria piccola arruffata sgangherata felicità. Movimento rischioso, si può amare e perdere, partire e cadere. «Sono solo un mortale, potrei anche cadere», dice Scrooge al fantasma dei natali passati. La condizione di tutti è questo poter cadere ma permettere alla paura di inchiodarci a un destino che vogliamo credere scolpito è negarsi il bene che la vita disperde lungo gli anni che ci sono consegnati.
Questo movimento può sembrare forse sul principio e anche dopo, a tratti, più difficile e molesto del quieto restare al banco del cambio, che diventa poi faticoso difendere una posizione, arginare la forza del mondo di affetti e relazioni che naturalmente e senza pretese arriva, entra dalla porta nella forma del suono di mani che sbattono l’una contro l’altra per vincere il freddo, o piedi che scivolano sul ghiaccio mescolati alla voce di un bambino che canta canzoni di Natale.
Aprire gli occhi alla vita è realtà prima che metafora e se non cambierà il mondo intero cambierà il nostro mondo e quello di un bel po’ di persone che ci stanno intorno. Non è poco, proprio no.
Mariapia Veladiano, “Il Regno”, 10 (2015)


venerdì 25 dicembre 2015

IL NATALE SEI TU - P. Dennis Doren



Natale sei tu, quando decidi di nascere di nuovo ogni giorno e lasciare entrare Dio nella tua anima.
L'albero di Natale sei tu quando resisti vigoroso ai venti e alle difficoltà della vita.
Gli addobbi di Natale sei tu quando le tue virtù sono i colori che adornano la tua vita.
La campana di Natale sei tu quando chiami, congreghi e cerchi di unire.
Sei anche luce di Natale quando illumini con la tua vita il cammino degli altri con la bontà, la pazienza, l'allegria e la generosità.
Gli angeli di Natale sei tu quando canti al mondo un messaggio di pace di giustizia e di amore.
La stella di Natale sei tu quando conduci qualcuno all'incontro con il Signore.
Sei anche i re magi quando dai il meglio che hai senza tenere conto a chi lo dai.
La musica di Natale sei tu quando conquisti l'armonia dentro di te.
Il regalo di Natale sei tu quando sei un vero amico e fratello di tutti gli esseri umani.
Gli auguri di Natale sei tu quando perdoni e ristabilisci la pace anche quando soffri.
Il cenone di Natale sei tu quando sazi di pane e di speranza il povero che ti sta a fianco.
Tu sei la notte di Natale quando umile e cosciente ricevi nel silenzio della notte il Salvatore del mondo senza rumori né grandi celebrazioni; tu sei sorriso di confidenza e tenerezza nella pace interiore di un Natale perenne che stabilisce il regno dentro di te.
Un buon Natale a tutti coloro che assomigliano al Natale.

P. Dennis Doren L.C.Sembrando Esperanza II, 2012

sabato 5 dicembre 2015

SOLO UNA SCUOLA DAVVERO LIBERA – Mariapia Veladiano


Solo una scuola davvero libera può educare alla convivenza
Proibire d'autorità i presepi a scuola è insensato tanto quanto imporli e infatti non c'è circolare, programma ministeriale o linea guida del Miur che lo faccia.
Questo vuol dire che le scuole, sulle scelte didattiche che toccano situazioni sensibili in cui sono in gioco le identità, le appartenenze, il mobile confine fra discriminazione e accoglienza, sono, grazie alla nostra splendida Costituzione, libere. Proprio libere. Libere di proporre e trovare insieme a tutte le componenti della scuola, cioè i ragazzi, i genitori, i docenti, il modo più adatto a costruire la convivenza nelle scuole. Di fare il presepe oppure no.
Quel che capita oggi nelle scuole è un miracolo perché malgrado i tagli di organico, per cui da anni sono state annientate le compresenze necessarie non solo all'integrazione degli alunni immigrati, ma anche al recupero degli italianissimi nostri studenti che arrivano da situazione di svantaggio culturale e sociale, malgrado questo la scuola riesce ad essere quell'ormai unico laboratorio di convivenza che impedisce alla società presente e futura di esplodere.
Chi si è riconosciuto amico sui banchi di scuola non si fa la guerra a vent'anni o trent'anni.
Bene, questo lavoro richiede sapienza, lettura della realtà concreta delle classi, dei genitori, alleanza con il territorio (Comuni, sindaci e servizi). Questo lavoro la scuola lo fa ogni giorno, un miracolo di intrecci e alleanze che non sono buonismo ma sapienza e anche buon senso. È un volare altissimo con mezzi limitati e professionalità infinita.
Nel mentre che un preside o due finiscono a luccicare per un momento sui blog, loro malgrado o forse anche no, a combattere o sostenere il presepio a volte con motivazioni sorprendentemente extrascolastiche, l'acrobatico miracolo di tenuta della scuola va avanti, nella discrezione necessaria al dialogo.
È insensato pensare che un preside vada assunto o licenziato in funzione del suo essere obbediente agli interessi politici di un assessore regionale di turno, o di un sindaco che minaccia controlli sulle attività natalizie delle scuole. Un delirio che confonde competenze, nasconde opportunismi politici tanto malinconici quanto pericolosi perché insabbiano lo spirito critico, la paziente fatica di comprendere i fenomeni.
I presidi buoni sono quelli nelle cui scuole l'integrazione funziona attraverso scelte pedagogiche nate dalle condizioni oggettive della realtà scolastica. Un quarto di quanti cercano rifugio in Europa sono bambini, il 9% dei nostri studenti ha cittadinanza non italiana, ma in molte scuole sono il 50%, e più. Non ci sono due classi uguali, due studenti uguali, due situazioni uguali.
È sbagliato non permettere il presepio a scuola quando il presepio è parte integrante di un percorso scolastico riconosciuto da genitori e bambini, fatto proprio grazie ad appuntamenti negli anni attesi, con il corredo di canzoni e di doni scambiati con le famiglie, il concerto organizzato dopo aver scelto canti e poesie con la prudenza di chi conosce ambiente, persone, storia dei luoghi. E la prudenza non è debolezza, è forza che sa tenere insieme quel che siamo e si apre a quel che riconosciamo diverso ma parte della nostra comune umanità.
Di sicuro però sono altrettanto sbagliate e indecenti le maleparole pelose con cui ci si appropria della profondità di una tradizione cristiana per usarla come una clava demagogica con cui nutrire i propri interessi politici e tentare di stordire la nostra intelligenza.
Mariapia Veladiano, “la Repubblica” del 30 novembre 2015


venerdì 4 dicembre 2015

NATIVITA' E BUON SENSO – Stefano Allievi


Sgombriamo il campo dalla prima questione, assai d’attualità: l’islam non c’entra nulla. Le richieste di non fare recita o presepe non vengono dai musulmani, tanto meno dalle loro organizzazioni: ma da docenti che non sanno come gestire la pluralità culturale, da laici che con la scusa delle minoranze religiose non vedono l’ora di dare un colpo alla confessione maggioritaria cattolica (dimenticando che il Natale è festa anche delle minoranze protestanti e ortodosse, oltre che civile), o da insegnanti di ampie e democratiche idee, ma di troppo astratte vedute. Non è cioè un conflitto tra noi e loro, ma tra di noi a proposito di loro, che ne sono le pedine e le vittime, non gli attori. La colpa infatti finisce per ricadere sui musulmani, che pagano il prezzo dell’astio popolare, adeguatamente montato da legioni di ciarlatani di partito o di giornale.
Seconda questione: festeggiare il Natale non offende nessuno. E rinunciare al presepe o alla recita natalizia, sostituire ‘Gesù’ con ‘virtù’ nella canzoncina di Natale, non fare l’albero, non mettere decorazioni, sottrarsi persino agli auguri (magari introducendo i pessimi “season’s greetings” britannici), non ha nessun senso. Così come nessuno di noi si stupirebbe, viaggiando in Israele, di vedere festeggiata Chanukkah, nei paesi musulmani l’Aid al-Fitr, e in India il Navaratri hindu o il Vaisakhi sikh, così non ha nessun senso che in Italia non si celebri il Natale. E così come non ci sentiamo a disagio noi quando ci troviamo in paesi in cui si celebrano altre festività, così non si sentono a disagio gli immigrati in Italia: per loro è un’ovvietà, normale, e dunque anche norma (festività anche legale). E i bambini musulmani farebbero volentieri anche la parte di Gesù (peraltro un venerato profeta dell’islam, di cui il Corano riconosce la nascita verginale da Maria e il compimento di miracoli) pur di partecipare alla recita natalizia da cui magari vengono incautamente esclusi senza neanche chiedere la loro opinione.
Il multiculturalismo – o meglio la gestione della pluralità religiosa, il rispetto per l’altro e l’invenzione di modalità di convivenza tra culture diverse – si può costruire in molti modi. Per addizione: aggiungendo conoscenze, simboli, momenti e luoghi di incontro. Per interpenetrazione: facendo lo sforzo di pensare modalità diverse di confronto e di comparazione. Quello che non ha nessun senso fare è procedere per sottrazione: negando la propria cultura, o nascondendone i simboli.
Il mondo della scuola, con la sua forte presenza di immigrati (ma anche di autoctoni) di culture e religioni diverse, è in questo ambito un laboratorio d’eccezione. Ma proprio per questo, dato che si procede per tentativi ed errori, è anche il luogo dove più spesso si fanno passi falsi grossolani, magari con ottime intenzioni: che, come noto, lastricano le vie della perdizione, o semplicemente del perdersi. Diventando così anche il luogo di battaglie ideologiche sostenute da improvvisati sostenitori di una civiltà cristiana di cui ignorano i fondamenti, che usano statuette del presepe e crocifissi non per il loro significato, ma come arma impropria contro presunti nemici della civitas cristiana, strumentalizzando la religione per le proprie misere battaglie politico-ideologiche: il che suona assai stridente proprio con lo spirito del Natale, e l’esempio di quella famigliola di Nazareth il cui figlio è nato in viaggio, lontano da casa, a Betlemme, e fu riconosciuto tra i primi proprio da dei saggi di altra cultura e religione, i Magi, venuti da oriente seguendo una stella.
Il buon senso forse aiuterebbe. Quello che ci fa dire che questo paese ha una storia di cui fa parte l’identità religiosa cristiana, e un presente e un futuro di cui fanno parte anche altre tradizioni, che non debbono (né, del resto, vogliono) cancellare il passato, ma chiedono solo una progressiva presa in considerazione della loro esistenza. Ciò che si può fare senza traumi o proclami belligeranti: né per cancellare né per imporre alcunché.

Stefano Allievi, Natività e buon senso, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 29 novembre 2015, editoriale, p.1.


lunedì 30 novembre 2015

UN PICCOLO PRESEPE IN OGNI CLASSE – Giovanni Zen


Fra un mese è Natale. Sapendo il significato di questa “festa”, nella nostra storia occidentale, al di là dello scivolamento consumistico degli ultimi decenni, cioè di una “festa” nata da un valore fortemente religioso che ha fatto crescere in tutti, al di là delle stesse convinzioni religiose, valori universali di fratellanza e solidarietà, credo sarebbe bello che in tutte le classi, per vostra iniziativa, ci fosse un piccolo presepe, magari con un piccolo albero di Natale. Un presepe ed un albero in ogni classe, piccoli segni-simboli.
Sappiamo tutti del momento difficile che stiamo vivendo, per gli attentati e la minaccia terroristica. Riaffermare dunque i valori-base attraverso questi piccoli segni-simboli, valori che sono il cuore della nostra cultura, religiosa e civile, (una cultura “nostra” nel suo valore universale), specialmente in questo momento, penso sia il modo migliore per aiutarci a non rassegnarci alle logiche della paura, del terrore, del sospetto, della prevaricazione. In tutti i sensi.
Qual è il valore del Natale, anche in senso civile? Quello cantato in una vecchia canzone di Renato Zero: “La vita è un dono”. Non ci sono economicismo ed utilitaristico che tengano, di fronte al dono della vita.
Un verso, poi, di una canzone di Biagio Antonacci (“Ti dedico tutto”) ci dice anche come reagire di fronte a questo momento storico: “Il mestiere si impara, il coraggio ti viene, il dolore guarisce, la tempesta ha una fine, ma diverso è sapere la cosa più giusta, siamo naufraghi vivi in un mare d’amore”.
Credo sia sempre utile, infine, quanto ricordato tempo fa da Maurizio Crozza: nel presepe c’è una coppia di immigrati, senza documenti, senza casa, quindi clandestini, con Maria che aspetta il figlio di un altro, che vanno ad occupare una capanna abusivamente...
Sappiamo che la convivenza richiede regole, reciprocità, rispetto, tolleranza, libertà responsabile, solidarietà, ecc.. Ma, forse, dovremmo tutti imparare, oltre tutto e tutti, che “la cosa suprema, che si può conquistare nella vita, è non voler possedere nulla. Neppure in amore” (Ernst Wiechert). Il vero senso universale del Natale.

Giovanni Zen, dirigente scolastico

mercoledì 31 dicembre 2014

CAROL OF THE BELLS - Libera



Carol of the Bells, conosciuta anche come Ukrainian Bell Carol, è una celebre canzone natalizia, scritta nel 1936 dal compositore statunitense Peter Wilhousky (1902 – 1978) la quale è basata su un rifacimento melodico di un canto natalizio del compositore ucraino Mykola Leontovyč (Микола Леонтович; 1877 – 1921), intitolato Ščedryk (ščedrykvka, che in lingua ucraina significa "Canto di Capodanno") e originalmente pensata per un'opera corale che fu rappresentata per la prima volta a Kiev nel 1916. Si tratta di un brano che in Ucraina è tradizionalmente intonato la sera del 13 gennaio, vigilia del Capodanno secondo il Calendario giuliano. (Da Wikipedia)

giovedì 25 dicembre 2014

HAPPY CHRISTMAS - John Lennon



War is over

UN BUON NATALE - Papa Francesco


Il Natale di solito è una festa rumorosa: ci farebbe bene un po’ di silenzio per ascoltare la voce dell’Amore.
Natale sei tu, quando decidi di nascere di nuovo ogni giorno e lasciare entrare Dio nella tua anima.
L’albero di Natale sei tu quando resisti vigoroso ai venti e alle difficoltà della vita.
Gli addobbi di Natale sei tu quando le tue virtù sono i colori che adornano la tua vita.
La campana di Natale sei tu quando chiami, congreghi e cerchi di unire.
Sei anche luce di Natale quando illumini con la tua vita il cammino degli altri con la bontà la pazienza l’allegria e la generosità.
Gli angeli di Natale sei tu quando canti al mondo un messaggio di pace di giustizia e di amore.
La stella di Natale sei tu quando conduci qualcuno all’incontro con il Signore.
Sei anche i re magi quando dai il meglio che hai senza tenere conto a chi lo dai.
La musica di Natale sei tu quando conquisti l’armonia dentro di te.
Il regalo di Natale sei tu quando sei un vero amico e fratello di tutti gli esseri umani.
Gli auguri di Natale sei tu quando perdoni e ristabilisci la pace anche quando soffri.
Il cenone di Natale sei tu quando sazi di pane e di speranza il povero che ti sta di fianco.
Tu sei la notte di Natale quando umile e cosciente ricevi nel silenzio della notte il Salvatore del mondo senza rumori né grandi celebrazioni; tu sei sorriso di confidenza e tenerezza nella pace interiore di un Natale perenne che stabilisce il regno dentro di te.
Un buon Natale a tutti coloro che assomigliano al Natale.

Papa Francesco
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