Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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lunedì 27 febbraio 2017

TU NON SEI SOLO - Robert H. Hopcke


Ogni rapporto è una specie di sincronicità: un evento unico in cui un incontro esterno di individui assume rilevanza emotiva, simbolica e trasformativa.
Quasi fossimo personaggi di un intreccio, incontriamo spesso la persona o le persone che dobbiamo incontrare. In momenti di crisi o di grande apertura entra in scena per caso un personaggio che diventa per noi una delle figure principali nella storia della nostra esistenza: un coniuge, il nostro migliore amico, l’amore della nostra vita. In altri momenti, quando siamo soddisfatti di noi e della nostra esistenza, si manifestano dei legami che, quasi si trattasse di una forza della natura, sembravano destinati a emergere. In altri momenti ancora, quando per paura o per egoismo ci estraniamo dal mondo, gli eventi sincronistici attivano rapporti che ci ricordano con insistenza, ossessivamente, l’impossibilità di ignorare del tutto i nostri legami con gli altri.
Quando si verificano eventi simili percepiamo più profondamente la storia che stiamo vivendo, la storia che dice: tu non sei solo.
Robert H. Hopcke, Nulla succede per caso, Milano 2003, p. 101-102.


venerdì 10 febbraio 2017

VERSO UN’ALTRA STORIA - Robert H. Hopcke



                                                                 disegno di Marie Cardouat

Abbiamo riconosciuto nel tentativo di dirigere e controllare la propria esistenza una tendenza tipica degli esseri umani, quasi che decidere consciamente quale storia vivere e fare tutto il possibile, a prescindere dalle conseguenze, perché le cose vadano proprio così, sia il migliore o l’unico modo per ottenere la felicità e sentirsi realizzati.
Evidentemente, parte della meraviglia suscitata dagli eventi sincronistici risiede nella capacità di ribaltare simili aspettative.
Per puro caso, senza l’esercizio della nostra volontà, accadono a volte certi eventi che ci mostrano come le nostre vite possano seguire una traccia narrativa del tutto diversa, come la storia che ci siamo inventati per noi potrebbe benissimo non essere la nostra, e come soltanto la disponibilità a riconsiderare l’intreccio ci consentirà di utilizzare a nostro vantaggio una coincidenza significativa.
Robert H. Hopcke, Nulla succede per caso, Milano 2003, p. 61-62.


giovedì 9 febbraio 2017

LA SORGENTE DELLE NOSTRE STORIE - Robert H. Hopcke

                                                               disegno di Marie Cardouat

La sincronicità richiede che si affermino le proprie sensazioni come modalità cruciale dell’esperienza di vita, che le si consideri importanti quanto i pensieri e in determinate situazioni anche di più.
Le sensazioni che proviamo sono la sorgente delle nostre storie e nel contempo la forza che muove l’intreccio.
Robert H. Hopcke, Nulla succede per caso, Milano 2003, p. 38-39.


martedì 31 gennaio 2017

PERSONAGGI IN UNA STORIA? - Robert H. Hopcke

disegno di Marie Cardouat
E se io, o voi, fossimo personaggi in una storia? E se quella che percepiamo come la nostra esistenza fosse in realtà un’opera di narrativa? Che ne sappiamo? E come potremmo saperlo? Supponendo che la storia sia coerente, e che i personaggi e la loro vita abbiano un senso, come potrebbe un personaggio di una storia sapere di essere in una storia?
Robert H. Hopcke, Nulla succede per caso, Milano 2003, p. 4


lunedì 30 gennaio 2017

NULLA SUCCEDE PER CASO – Robert H. Hopcke


A tutti prima o poi capita di vivere una coincidenza incredibile capace di modificare almeno in parte il corso dell’esistenza: sono quelli che Jung chiama “eventi sincronistici”, fenomeni in grado di cambiare l’immagine che abbiamo di noi stessi, il nostro modo di vedere il mondo, di aprirci nuove prospettive.
Imparando a considerare la nostra vita un racconto dotato di coerenza interna, dove niente succede senza ragione, potremo imparare a sfruttare le coincidenze per comprendere meglio noi stessi e per dare alla nostra esistenza maggiore pienezza.
Robert H. Hopcke, Nulla succede per caso, Milano 2003


sabato 27 febbraio 2016

NOMI – Mariapia Veladiano


Nessun nome nostro è solo nostro.
Alcuni nomi portano naturalmente e con grazia la memoria di un nonno, a volte uno stormo intero di antenati, e insieme l'eredità di un corpo che è stato: gli occhi blu malandrino di un bisavolo, le dita eleganti di una prozia, il ciuffo ostinato di uno zio.
Altri nomi tengono il capo di un filo di storie che non si lasciano dimenticare. Una santa poverella fatta grande dal suo credere e qualcosa di quel mistero sentiamo di portarlo. Oppure un re col suo corteo di guerre, e forse il nostro arco sempre teso è un ricordo del suo combattere. O sono storie di famiglia, un avo impettito nel ritratto della leva, una nonna di cui sappiamo la grafia limpida come la traccia di una cometa, e vien voglia di riordinare il mondo.
Altri nomi ancora portano un dolore dentro e a volte lo curano come un regalo che non si aspetta. Un nostro affetto è partito troppo presto, una vita nuova ci fa rinascere al domani e il nome è il tempo che si mescola all'eterno.
Certo veniamo da lontano e non è strano sentirsi un po' abitati, forse anche accompagnati. Ma quando oggi il nostro nome viene chiamato, siamo noi che rispondiamo.
Ogni nostro nome è solo nostro per quel frammento di eternità nel quale ci appartiene.
Mariapia Veladiano, Ma come tu resisti, vita, p. 98.


martedì 1 dicembre 2015

IL GREMBIULE DELLA NONNA – Maurizio Magistri


Ti ricordi del grembiule di tua Nonna ?
Il primo scopo del grembiule delle Nonna era di proteggere i vestiti sotto,
ma, inoltre:
serviva da guanto per ritirare la padella bruciante dal forno;
era meraviglioso per asciugare le lacrime dei bambini ed, in certe occasioni, per pulire le faccine sporche;
dal pollaio, il grembiule serviva a trasportare le uova e, talvolta, i pulcini!;
quando i visitatori arrivavano, il grembiule serviva a proteggere i bambini timidi;
quando faceva freddo, la Nonna se ne imbacuccava le braccia;
questo buon vecchio grembiule faceva da soffietto, agitato sopra il fuoco a legna;
era lui che trasportava le patate e la legna secca in cucina;
dall'orto, esso serviva da paniere per molti ortaggi dopo che i piselli erano stati raccolti era il turno dei cavoli;
a fine stagione, esso era utilizzato per raccogliere le mele cadute dell'albero;
quando dei visitatori arrivavano in modo improvviso, era sorprendente vedere la rapidità con cui questo vecchio grembiule poteva dar giù la polvere;
all'ora di servire i pasti, la Nonna andava sulla scala ad agitare il suo grembiule e gli uomini nei campi sapevano all'istante che dovevano andare a tavola;
la Nonna l'utilizzava anche per posare la torta di mele appena uscita dal forno sul davanzale a raffreddare; ai nostri giorni sua nipote la mette là per scongelarla.

Occorrerà un bel po' d'anni prima che qualche invenzione o qualche oggetto possa rimpiazzare questo vecchio buon grembiule.


Maurizio Magistri

giovedì 23 ottobre 2014

LA VERA STORIA DEL DILUVIO UNIVERSALE – Nadia Vidale



La vera storia del diluvio è che tutti stavano lavorando all'arca, perché il patto di Dio con Noè era che ci sarebbe stato un grande evento dimostrativo, un prova di potenza dell'Infinitamente Paziente, per dare ai peccatori la seconda possibilità.
E infatti pensa tu se Noè poteva farcela da solo, nonostante figli e nipoti, a costruire un'arca del genere...
Orbene, l'opera era pressoché ultimata, cominciano a cadere i primi goccioloni: chi molla la mazza, chi la pialla, la pece e se ne vanno a testa all'aria, chi a vedere il fiume che ingrossa negli argini, chi a casa a ritirare il bucato steso, gli scienziati sulla montagna, a interrogarsi se l'acqua scenda dal cielo perché pure esso è in pendio e così via.
E Noè a sgolarsi: Venite dentro, che piove! ma niente da fare, annegarono tutti... solo le bestie gli hanno dato retta perché, si sa, gli uomini, quanto a cervello, sta tutto sulla luna, come scoprì de visu il mai abbastanza celebrato Astolfo.

Nadia Vidale

martedì 14 ottobre 2014

PUOI ESSERE – Massimo Gramellini


Puoi essere la storia di un vile o di un eroe, di uno che trema in fondo alla spelonca delle sue paure o che crede nell’amore capace di spostare le montagne. Scegli tu il destino che preferisci. Ma smetti di cercarlo fuori di te.
Ricorda con quanta ironia Gesù si rivolse a Tommaso: “Se qualcuno vi dice che il Regno è nei Cieli, gli uccelli saranno certamente in vantaggio su di voi…” E al giovane monaco che desiderava visitare la città magica di Shambhala, ma si era perso lungo la strada, l’eremita rispose: “Non dovrai andare troppo lontano. Shambhala si trova nel tuo cuore.
Tu ancora non puoi sapere dove approderai. Ma chi incomincia a cercare ciò che ama finirà sempre per amare ciò che trova. ti metti in cammino verso Est e magari raggiungi l’Ovest. Non è importante, adesso. L’importante è mettersi in cammino. Altrimenti non arriverai da nessuna parte. E passerai il resto della tua vita a disprezzarti per ciò che avresti potuto essere e non sei stato. La meta iniziale del viaggio rappresenta solo lo stimolo per partire.
Massimo Gramellini, L’ultima riga delle favole, Longanesi, Milano, 2010, p. 52.


mercoledì 24 settembre 2014

CONTRO LE GUERRE DI RELIGIONE - Papa Francesco


"Nessuno pensi di poter farsi scudo di Dio mentre progetta e compie atti di violenza e di sopraffazione. Nessuno prenda a pretesto la religione per le proprie azioni contrarie alla dignità dell'uomo e ai suoi diritti fondamentali, in primo luogo quello alla vita ed alla libertà religiosa di tutti!".

Papa Francesco a Tirana, 21 settembre 2014

lunedì 18 agosto 2014

NON C’E’ PIU’ PAURA - Paulo Coelho


Abbiamo paura di perdere soltanto ciò che possediamo, sia esso la nostra vita o i nostri poderi. Ma la paura passa quando ci rendiamo conto che la nostra storia e la storia del mondo sono state scritte dalla stessa mano.

Paulo Coelho, L’alchimista, 1988, ed. it. Bompiani, Milano 1995, P. 89.

sabato 21 giugno 2014

CLARICE – Italo Calvino (1923-1985)


Clarice, città gloriosa, ha una storia travagliata. Più volte decadde e rifiorì, sempre tenendo la prima Clarice come modello ineguagliabile d’ogni splendore, al cui confronto lo stato presente della città non manca di suscitare nuovi sospiri a ogni volgere di stelle.
Nei secoli di degradazione, la città, svuotata dalle pestilenze, abbassata di statura dai crolli di travature e cornicioni e dagli smottamenti di terriccio, arrugginita e intasata per incuria o vacanza degli addetti alla manutenzione, si ripopolava lentamente al riemergere da scantinati e tane d’orde di sopravvissuti che come topi brulicavano mossi dalla smania di rovistare e rodere, e pure di racimolare e raffazzonare, come uccelli che nidificano. S’attaccavano a tutto quel che poteva essere tolto di dov’era e messo in un altro posto per servire a un altro uso: i tendaggi di broccato finivano a fare da lenzuola; nelle urne cinerarie di marmo piantavano il basilico; le griglie in ferro battuto sradicate dalle finestre dei ginecei servivano ad arrostire carne di gatto su fuochi di legna intarsiata.
Messa su coi pezzi scompagnati della Clarice inservibile, prendeva forma una Clarice della sopravvivenza, tutta tuguri e catapecchie, rigagnoli infetti, gabbie di conigli. Eppure, dell’antico splendore di Clarice non s’era perso quasi nulla, era tutto lì, disposto solamente in un ordine diverso ma appropriato alle esigenze degli abitanti non meno di prima.
Ai tempi d’indigenza succedevano epoche più giulive: una Clarice farfalla suntuosa sgusciava dalla Clarice crisalide pezzente; la nuova abbondanza faceva traboccare la città di materiali edifici oggetti nuovi; affluiva nuova gente di fuori; niente e nessuno aveva più a che vedere con la Clarice o le Clarici di prima; e più la nuova città s’insediava trionfalmente nel luogo e nel nome della prima Clarice, più s’accorgeva d’allontanarsi da quella, di distruggerla non meno rapidamente dei topi e della muffa: nonostante l’orgoglio del nuovo fasto, in fondo al cuore si sentiva estranea, incongrua, usurpatrice.
Ecco allora i frantumi del primo splendore che si erano salvati adattandosi a bisogne più oscure venivano nuovamente spostati, eccoli custoditi sotto campane di vetro, chiusi in bacheche, posati su cuscini di velluto, e non più perché potevano servire ancora a qualcosa ma perché attraverso di loro si sarebbe voluto ricomporre una città di cui nessuno sapeva più nulla.
Altri deterioramenti, altri rigogli si susseguirono a Clarice. Le popolazioni e le costumanze cambiarono più volte; restano il nome, l’ubicazione, e gli oggetti più difficili da rompere. Ogni nuova Clarice, compatta come un corpo vivente coi suoi odori e il suo respiro, sfoggia come un monile quel che resta delle antiche Clarici frammentarie e morte. Non si sa quando i capitelli corinzi siano stati in cima alle loro colonne: solo si ricorda d’uno d’essi che per molti anni in un pollaio sostenne la cesta dove le galline facevano le uova, e di lì passò al Museo dei Capitelli, in fila con gli altri esemplari della collezione.
L’ordine di successione delle ere s’è perso; che ci sia stata una prima Clarice è credenza diffusa, ma non ci sono prove che lo dimostrino; i capitelli potrebbero essere stati prima nei pollai che nei templi, le urne di marmo essere state seminate prima a basilico che a ossa di defunti. Di sicuro si sa solo questo: un certo numero d’oggetti si sposta in un certo spazio, ora sommerso da una quantità d’oggetti nuovi, ora consumandosi senza ricambio; la regola è mescolarli ogni volta e riprovare a metterli insieme.
Forse Clarice è sempre stata solo un tramestio di carabattole sbrecciate, male assortite, fuori uso.

Italo Calvino, Le città invisibili, p. 112-114

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