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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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lunedì 7 settembre 2015

41. LA DOMANDA DELLE ONDE - Francesco Callegari


E’ dunque questo che chiamano vocazione:
la cosa che fai con gioia, come se avessi il fuoco nel cuore e il diavolo in corpo?
Josephine Baker
Capita, scendendo un fiume in canoa, che per imperizia o troppa corrente l’imbarcazione d’improvviso si capovolga. Non succede spesso, ma quando succede l’unica certezza è che niente intorno a noi si trovi dove dovrebbe essere.
Negli ultimi tempi, la mia canoa si è rovesciata più di una volta. Io non sono un canoista provetto, tutt'altro, ma sfido chiunque a rimanere a galla dopo essere stato sbattuto da onde come quelle che hanno colpito la mia imbarcazione.
L’ultima ondata, per esempio. Nel corso di un incontro tenuto pochi giorni fa, Francisco (Paco) Bermudez Hernandez, fondatore di una scuola libertaria nello Chiapas messicano, di fronte a una platea di insegnanti ha detto chiaro e tondo che ognuno di noi ha una missione da compiere nella vita (e già questo mette i brividi), e che la scuola ha il compito stimolante, ma impegnativo, di accompagnare ciascun ragazzo e ciascuna ragazza a scoprire la propria vocazione. Se non fa questo, la scuola ha fallito, perché solo trovando il posto che è il suo, la persona potrà realizzarsi, e quindi essere felice, all’interno del progetto che guida tutto l’Universo. Per senso della misura, ma anche per la profonda consapevolezza della propria funzione, in quella scuola gli insegnanti sono chiamati “accompagnatori”. Ciascun allievo percorrerà la propria strada con la velocità e i mezzi che ha a disposizione, ma l'obiettivo per tutti sarà quello di dare il proprio contributo al fine di realizzare l'armonia dell'Universo attraverso l'amore e il rispetto. Questo è ciò che si vive nella scuola di Paco, la scuola YirTrak, che significa “girare per trascendere”[1]. Un po’ come succede alla nostra canoa.
La domanda della prima onda è “Verso dove stai camminando?

L’altra onda è venuta da un libro dell’analista americano James Hillman (1926-2011), dove si propone la “teoria della ghianda”, vale a dire l’idea che ciascuna persona è portatrice di una unicità che chiede di essere vissuta e che già è presente prima di poter essere vissuta, come una ghianda contiene in sé la quercia che sarà. Verrebbe semplicisticamente da pensare a una passiva predestinazione, ma ciò che Hillman vuole mettere in risalto è invece l’aspetto attivo della “vocazione”, quel mistero fondamentale che sta al centro di ogni vita umana. Ciascuno di noi è unico, ha un talento: scoprirlo e nutrirlo ogni giorno è ciò che dà un senso al nostro essere nel mondo e ciò da cui dipendono il nostro equilibrio e la nostra felicità. Hillman non cerca tanto la ragione per cui vivere, quanto piuttosto il motivo per cui la mia persona, che è unica e irripetibile, è al mondo[2].
La domanda della seconda onda è: “A cosa sei destinato?

La capovolta più sconcertante è stata però causata da un pensatore francese, René Guénon (1886-1951): difficile da cavalcare l’onda generata da idee che si discostano molto dal tranquillo pensare comune, e insidiosa la corrente sospinta dal vento che proviene dalle altezze di quello che è chiamato pensiero Tradizionale. Guénon ci ricorda come secondo l’attuale concezione occidentale, un uomo possa dedicarsi a una professione qualsiasi, e anche cambiarla a suo piacimento, come se questa professione fosse qualcosa di puramente esteriore a lui, senza alcun reale legame con ciò che egli veramente è, cioè con ciò che lo fa essere se stesso e non un altro. “Nella concezione Tradizionale, al contrario, ciascuno deve normalmente svolgere la funzione cui è destinato dalla sua stessa natura, con le attitudini che questa essenzialmente implica; e non può svolgerne un’altra, senza che ciò rappresenti un grave disordine che avrà una ripercussione su tutta l’organizzazione sociale di cui egli fa parte”. E ancora “Secondo la concezione Tradizionale, sono le qualità essenziali degli esseri a determinare la loro attività; nella concezione profana, invece, queste qualità non contano, e gli individui non sono considerati altro che come «unità» intercambiabili e puramente numeriche”[3].
La domanda della terza onda è “Sei al tuo posto?

Tre onde diverse, ma strettamente legate, pronte a confondere e destabilizzare. Tre domande, che partono da lontano e che ancor oggi interrogano l’essere nel senso più radicale, quello dell’esistenza stessa.
Lo scivolare sulle acque del fiume è messo a dura prova: molte sono le domande che queste e altre onde ci pongono. Quando per esempio affermiamo che è l’allievo a essere posto al centro dell’azione educativa, intendiamo operare per accompagnarlo a scoprire e valorizzare la sua vocazione profonda oppure intendiamo fornirgli gli strumenti per integrarsi efficacemente nella società attuale? Non è la stessa cosa. Se riteniamo prioritaria l’integrazione all’interno di questa società in veloce cambiamento, daremo grande valore alle competenze che gli allievi dovranno dimostrare di avere acquisito al termine dei cicli scolastici. Ma se per centralità della persona intendiamo ciò che le onde ci hanno suggerito, allora ci assale lo sgomento, perché tutto lo sforzo che abbiamo fatto per abituarci a navigare in un oceano di incertezze fra alcuni arcipelaghi di certezze[4], si annulla nella nuova consapevolezza che la salvezza sta nella capacità del singolo di ritrovare quei perduti parametri esistenziali basati su valori che poco hanno a che vedere con tutto ciò che noi chiamiamo “progresso”.  
A questo punto, la domanda delle onde è “Quale educazione?

Buon anno scolastico.
16 settembre 2015                   
Francesco Callegari
dirigente scolastico




[1] Francisco (Paco) Bermudez Hernandez, fondatore del progetto educativo Yirtrak in Chiapas Messico.
[2] James Hillman, Il codice dell’anima, Adelphi, Milano 1997.
[3] René GuénonIl Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, Parigi 1945, ed. it. Adelphi, Milano 1982, p. 61.
[4] Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, 2001.

venerdì 5 dicembre 2014

A SCUOLA CON UN SENSO – Elena Ugolini


Quindici anni fa Tullia, una studentessa di seconda liceo, ragazza vivacissima, molto inquieta e intelligente, arriva in presidenza trafelata e chiede di parlarmi urgentemente: «Preside (ora è ortopedico e mi chiama ancora così!), ho fatto un conto: ogni anno dedichiamo circa 1.500 ore alla scuola, 1.000 vanno per le lezioni e circa 500 per lo studio. Sono ore della mia vita. Se fossero ore di vita perse, ore di "non vita", sarebbe una vera e propria tragedia. Ma perché dobbiamo studiare? Che senso ha quel che studiamo per la nostra vita? La prego, mi risponda».
La radice della parola scuola, le ho detto, è un termine greco (skolè), che significa "tempo libero". Chi poteva, un tempo, permettersi il lusso di studiare senza essere costretto a lavorare per vivere, fin da piccolo? È un privilegio poter studiare, ma è solo il gusto della scoperta che può dare senso a quelle ore contate in modo così minuzioso da Tullia. Moltiplicatele per 8 milioni e mezzo di studenti e per 800.000 insegnanti e arriveremo a cifre astronomiche: un capitale enorme che non può essere sprecato.
Lo scopo della scuola non è studiare dei libri, ma rispondere al desiderio di scoprire il segreto di sé e delle cose. La scuola è un mondo dove si incrociano tanti mondi: la storia, la filosofia, la matematica, la fisica sono strade attraverso cui entrare nella realtà, mettendo a frutto il bagaglio di conoscenza e di esperienza che ci viene dal passato, perché possa essere re-inventato. Per questo può diventare interessante andare a scuola. Ce lo ha ricordato papa Francesco il 10 maggio scorso, davanti a centinaia di migliaia di persone: "amiamo" la scuola per quel che può accadere dentro la scuola, dentro quelle 1.000 ore all'anno di vita che condividiamo con i nostri studenti.
Se il 20% di loro l'abbandona senza neppure aver conseguito una qualifica professionale, se per il 37% di loro la scuola "è un luogo dove non voglio andare", è perché in quelle ore, spesso, invece, non accade nulla di significativo per sé. I ragazzi non hanno paura di far fatica per le cose che desiderano. Odiano la mancanza di senso, la percezione di essere "sommersi" di risposte a domande che non hanno.
Non è vero che i ragazzi amano solo quello di cui vedono un'immediata utilità. In ogni ragazzo esiste quel desiderio di imparare per cui si può essere disposti anche a far la fatica di studiare la grammatica delle cose. Abbiamo uno strumento importantissimo su cui contare: quelle esigenze di vero, di bello e di buono che, seppur nascoste da mille detriti, rimangono indelebili nel cuore di ogni studente e di ogni docente.
È su questo che dobbiamo puntare, è questa la rivoluzione di cui ha bisogno la scuola. Una rivoluzione che nessuna legge potrà mai obbligare a fare, e che può cominciare da subito. È un'impresa che ha bisogno di tutti: genitori, imprenditori, ricercatori, giornalisti, artigiani, poeti, scienziati.

Elena Ugolini, “Avvenire”, 3 dicembre 2014.

lunedì 1 dicembre 2014

ENTRARE NELLA PROPRIA DIMORA – Pierre Durrande

La nostra azione non può essere autenticamente educativa se l’antropologia che la sottende non è corretta. Che cosa significa essere uomini? Oggi sembra quasi impossibile fornire una definizione dell’uomo.
Il mistero dell’uomo deriva dal fatto che non può essere se stesso senza essere presente a se stesso. La propria definizione l’uomo la trova in sé. E’ entrando nella propria dimora che può accogliere l’interrogativo che l’umanità gli pone.
La nostra azione diverrà veramente educativa se invitiamo coloro che ci vengono affidati a osare assumersi la responsabilità di entrare nella propria dimora personale per stabilire a partire da essa una relazione positiva con il mondo, una relazione che porti l’impronta delle loro persone.
C’è un serio lavoro da fare per accordare l’uomo, a partire dalla sua persona, a ciò che è.


Pierre Durrande, L’arte di educare alla vita, p. 41-43 passim
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