Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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mercoledì 11 marzo 2020

DIDATTICA... E NON SOLO

 

N

ella difficile situazione attuale, ciascuno di voi sta cercando di fare il meglio possibile per mantenere il contatto con i nostri allievi. Allo stesso tempo, è necessario rendersi conto che le procedure a distanza che stiamo adottando vengono attuate senza un necessario periodo di sperimentazione. Questo ci obbliga a tarare continuamente le modalità e i carichi di lavoro legati alle nostre proposte didattiche.

E sottolineo la parola DIDATTICHE, in quanto desidero evidenziare che il nostro essere docenti si compone di tanto e tanto altro. Mi riferisco a tutto ciò che vivete ogni giorno in classe, soprattutto alla parte relazionale che, in questa situazione, potrebbe essere limitata o addirittura compromessa. Bastasse mandare compiti per mail o creare lezioni su piattaforme o su YouTube, non saremmo più così indispensabili.

Consapevoli di ciò, vi prego di considerare questo periodo anche alla luce delle difficoltà che le famiglie stanno vivendo: tanti genitori vanno al lavoro e i figli sono affidati a nonni, parenti, vicini di casa, amici.... Non possiamo pertanto pretendere che tutti i nostri ragazzi siano accompagnati dai loro genitori con gli strumenti informatici per un tempo lungo e a qualsiasi ora del giorno. Diverse famiglie, oltretutto, sono sprovviste di adeguata attrezzatura.

La situazione è legata a un’emergenza che impedisce o limita fortemente la vita regolare delle famiglie, sconvolgendo quei ritmi che ci servirebbero per garantire un buon rendimento scolastico. E di questo dobbiamo tenere conto.

Vi esorto a non farvi prendere dall'ansia nello svolgimento di quello che, ormai tanti anni fa, era il "programma" e che, adesso più che mai, diventa serena progettazione legata alla contingenza del momento.

Penso sia importante che rassereniate i vostri allievi con la vostra presenza virtuale, supportandoli in tutti i modi che riteniate opportuni in considerazione della profonda conoscenza che avete di loro.

Vi invito a utilizzare gli strumenti informatici a distanza anche e soprattutto per accompagnare i vostri ragazzi in un momento così delicato della loro esperienza di vita: aiutate i vostri allievi a fare tesoro di quanto stanno vivendo, rammentiamo loro il valore della solidarietà, la riscoperta dei semplici gesti e i comportamenti normali. Tutte cose che, speriamo quanto prima, possiamo tornare ad accogliere come un dono di cui essere grati.


martedì 7 giugno 2016

AIUTAMI A IMPARARE DA SOLO - Marshall B. Rosenberg (1934-2015)


Quando gli obiettivi sono misurabili e definiti reciprocamente, gli studenti diventano meno dipendenti dall’insegnante. Infatti, se gli studenti sanno quali sono gli obiettivi e come possono valutare se li hanno raggiunti, è talvolta possibile che li raggiungano senza l’aiuto dell’insegnante. Al contrario, se gli obiettivi rimangono chiusi nella mente dell’insegnante, gli studenti non hanno altra scelta che aspettare passivamente di ricevere indicazioni da lui.
Marshall B. Rosenberg, Educazione che arricchisce la vita, Edizioni Esserci, Reggio Emilia 2005, p. 119


mercoledì 16 luglio 2014

PAROLE DI SCUOLA: I COME INSEGNANTE – Paolo Menallo


Difficile diventare maestri di vita in un'epoca in cui si diventa insegnanti a tutti gli effetti a quarant'anni o più, quindi per cercare questa categoria bisogna andare indietro ai tempi in cui a meno di vent'anni venivi catapultato in una scuola in grande evoluzione, sia nei numeri che nei metodi, cioè agli anni settanta.
Quindi mi viene alla mente una mitica maestra, amata da chi ne comprendeva i metodi, detestata da chi anelava alla "grammatica" e alla ripetitività. Maestra di generazioni, innovatrice sino all'ultimo suo giorno di scuola, autrice di testi di didattica, ma modesta con i colleghi che tuttavia ne temevano il confronto. Disponibile con i genitori, ma mai prona a ogni loro fantasiosa richiesta.
Mi viene in mente poi quell'insegnante di musica, che ha fatto prima conoscere e poi amare la musica a generazioni di studenti, fornendo loro anche qualcosa in più: la capacità di essere leali e l'amore per la vita nonostante le difficoltà.
Chi li conosce non farà fatica a individuarli, altri li identificheranno in altre persone, diverse da quelle che ho in mente io, ma questo sarà un ulteriore segno che nella scuola, in generale, operano persone di grande qualità, mimetizzate nel grande esercito di persone serie, che portano avanti dignitosamente il lavoro di ogni giorno.
Al loro fianco, purtroppo, anche quelli, piccola minoranza, che con la loro sola presenza danneggiano gli alunni, le famiglie e i colleghi stessi che fanno fino in fondo tutto quello che possono fare.
Tutto bene quindi nella scuola? Per niente, perché se guardiamo ai veri "maestri di vita" sembra che si faccia di tutto per zittirli o isolarli, se guardiamo alla grande massa degli ottimi e instancabili lavoratori, sembra che si faccia di tutto per impoverirli sia materialmente che nella considerazione sociale, se guardiamo all'ultima categoria, quella degli inadatti e dei fannulloni, non esiste nessuno strumento serio, in mano ai dirigenti, ai colleghi e ai genitori, in grado di allontanarli o di attenuarne gli effetti deleteri.
Si apre quindi un grande scommessa per la scuola futura: sin qui, da destra e da sinistra, si sono solo operati tagli lineari, adesso si parla di rilancio, ma la partenza è sicuramente sbagliata.
Propagandi (adesso do del tu al presidente, se non lo avete capito) le 36 ore settimanali per gente che nella maggior parte dei casi ne fa anche di più, ma in modo sommerso; bene facciamole emergere, ma dove si trovano i locali, le attrezzature, i fondi? E poi diciamolo pure senza ipocrisie: quante insegnanti madri baratterebbero il loro unico privilegio (quello di poter lavorare a casa, anche nottetempo) con un orario d'ufficio? Quanti doppiolavoristi uomini e donne accetterebbero un piccolo simbolico aumento di stipendio, lasciando palestre e studi professionali ben più remunerativi?
E' vero che siamo nell'era dei grandi proclami, ma questo, caro presidente, si scontrerà con la realtà, prima ancora di quelli contro le politiche della Merckel.

Paolo Menallo, già dirigente scolastico

lunedì 3 marzo 2014

LA SCINTILLA DEI BUONI MAESTRI - Franco Lorenzoni


«Cosa penserebbero dei normali studenti seduti ai banchi se ogni giorno avessero a che fare con una persona che non dimostra un minimo attaccamento a quello che dice? Si chiederebbero senza dubbio perché sono lì. ... Io penso che in cima alla classifica delle caratteristiche necessarie per diventare un bravo insegnante ci sia la passione, capace di far scaturire quella scintilla che, nella maggior parte dei casi, noi ragazzi non cogliamo».

sabato 22 febbraio 2014

IL MAESTRO E IL LIBRO - Marcel Prévost (1862-1941)


A prima vista, queste due forme di insegnamento si somigliano: un maestro è un libro che parla; un libro è un maestro che, per quanto silenzioso, comunica il suo pensiero.
Maestro e libro appaiono al principiante come sostegni permanenti del suo sforzo: l’uno assume la parte di guida, l’altro quello di carta stradale per il viaggiatore.
Maestro e libro suggeriscono, d’altra parte, l’ordine al neofita. Ebbene, un maestro e un libro, si suppone che posseggano in modo essenziale il dono dell’ordine e la facoltà di imporre quest’ordine all’alunno, in maniera quasi insensibile e, in ogni caso, niente affatto penosa.
Scegliendo un libro e prendendo un maestro, noi facciamo un atto di fede nel loro metodo e sacrifichiamo provvisoriamente il nostro ordine (se ne abbiamo) al loro, e se poi non ne abbiamo, li incarichiamo di averne uno per noi. Ancora una volta, il maestro e il libro non sono che agenti per aiutare la nostra volontà, il nostro metodo, la nostra pazienza.
Un esame più approfondito dell’insegnante e del libro ci mostrerà che questi due agenti non possono stare l’uno senza l’altro. Chi non ha mai imparato se non con dei maestri, trascurando i libri, è per solito altrettanto male istruito quanto l’«autodidatta» che conversa di scienza soltanto con delle pagine stampate, perché ciascuno di questi mezzi d’apprendere corrisponde in noi a delle facoltà diverse.
Tutta l’arte dell’imparare si restringerà così a trarre giudiziosamente vantaggio dal maestro e dal libro, senza che il loro intervento sopprima la nostra facoltà d’invenzione.
Marcel Prévost, L’arte dell’imparare, Bari 1931, p. 48-51 passim


sabato 15 febbraio 2014

SCUOLA: IL LUOGO DI TUTTE LE FUNZIONI? – Jacques Piveteau (1982)


Più di trent’anni fa, il pedagogista francese Jacques Piveteau scriveva queste parole:
“La scuola è diventata «il luogo di tutte le funzioni»: ha dovuto educare i giovani a un civismo scomparso, formarli per professioni che non esistevano più, o ancora, custodirli fra le sue quattro mura perché la società non li voleva per le strade, socializzarli perché non c’erano più strutture per accoglierli, ecc. Si è chiesto alla scuola di compensare le deficienze educative della società, ed è appunto qui che sta il punto di rottura: si è preteso troppo dalla scuola, e questa ha perso di vista il proprio obiettivo principale, che è quello di istruire i giovani e non di sostituire le famiglie o altre strutture sociali nella loro missione educativa.”

D. Hameline, J. Piveteau, P. Mayol, La pédagogie à la recherche d’elle-méme. Table ronde, “Esprit”, 1982, n. 11-12. Riportato da Norberto Bottani, La ricreazione è finita, Bologna 1986, p. 146.

mercoledì 8 gennaio 2014

L'ARPA MUTA - Anthony De Mello


Il re Saul, a un certo punto della sua vita, era molto scoraggiato e afflitto. Dietro suggerimento dei suoi consiglieri, decise di dare un banchetto per liberarsi da questa inquietudine. Affinché in tale occasione non mancasse la musica, dispose che i suoi taglialegna fossero mandati nelle foreste reali a tagliare delle querce per farne un’arpa speciale. Mandò poi altri artigiani nei suoi laboratori per fabbricare le corde per l’arpa.
Infine, giunse la sera del banchetto.
Al culmine dei festeggiamenti, la nuova arpa fu trasportata su di un carro fino al palco centrale. Ma non appena il suonatore pizzicò la prima corda dell’arpa, successe il disastro. Nessun suono scaturì dallo strumento. Furono chiamati gli esperti della corte per spiegarne le ragioni, ma nessuno fu in grado di fornire una spiegazione.
Né tanto meno riuscirono a far suonare lo strumento.
Finalmente un esperto suggerì che Davide, il ragazzo , fosse portato a palazzo per vedere se fosse in grado di far luce sulla questione.
Quando Davide arrivò, si sedette, e delicatamente accostò l’orecchio alle corde dell’arpa.
Attese per alcuni minuti in quella posizione e poi cominciò a trarre dallo strumento una stupenda musica.
Quando il re gli chiese in seguito di spiegare che cosa fosse successo, il ragazzo rispose che prima aveva dovuto ascoltare e lasciare che l’arpa raccontasse la sua storia. Quest’ultima gli aveva raccontato di come avesse cominciato la sua vita di piccola ghianda prima di diventare una quercia gigantesca nella foresta.
Gli aveva spiegato di aver sopportato la durezza dell’inverno, di essere stata abbattuta e di come le sue corde fossero state temprate nel calore bianco della fucina.
Solo quando era stata ascoltata e aveva rivelato il dolore della sua nascita e vita, era stata in grado di adempiere al suo destino e al suo potenziale.

Anthony De Mello, Brevetto di volo per aquile e polli, p. 119-120

martedì 12 novembre 2013

DOPO 50 ANNI LA SCUOLA MEDIA VA SVECCHIATA - Antonio Mazzi

 
C'è bisogno di una nuova organizzazione e nuovi stimoli
Finalmente qualcuno si sta accorgendo che la scuola media compie 50 anni ed è in crisi di identità. Quando lo dicevamo noi, che la scuola la conosciamo certamente più dei ministri e più di certi dirigenti scolastici, qualche rara persona intelligente ci dava ragione.
Finalmente escono i dati Ocse sulle competenze scolastiche (disastrosi per gli italiani) e allora tutti spalanchiamo gli occhi. Mentre il mondo economico, bancario, politico si deve rinnovare totalmente quasi ogni anno, il mondo scolastico si declina con due date: la riforma Bottai, anni '40, e la cosiddetta riforma della scuola media unica del 1963.
Cioè, a partire dal 1963 i ragazzi di allora poterono frequentare la scuola dell'obbligo unica in sostituzione del doppio binario: scelta tra avviamento professionale e scuola media con esame di ammissione. Ripeto: correva l'anno 1963, cioè tempi nei quali i nostri figli, fino a quattordici anni, erano ancora veramente bambini. Fior di studiosi, di psicologi, di sociologi hanno prodotto migliaia di ricerche denunciando il disagio dei ragazzi (pensati ancora come bambini), la demotivazione dei docenti e la perdita secca di risultati rispetto all'Europa.
La media è una scuola che ha sconvolto la sua identità, schiacciata tra la primaria e la secondaria. Denuncio, per la millesima volta, che tutta la scuola continua ostinatamente a essere un orto chiuso, illuminato e sacro, lontanissimo dal mondo reale, poco sacro e poco illuminato.
I nostri figli, entrando in quelle porte, devono regredire almeno di cinque anni dalla loro vita reale. Fuori non esistono più i banchi, non esistono i castighi, non esistono i voti, non esistono i compiti per i compiti, non esistono più i bambini di 12 anni.
La divisione in materie e l'insegnamento frontale, con decine di adolescenti schierati, fa ridere (o meglio piangere). Se poi aggiungiamo il docente disarmato, nervoso, "specializzato" spesso in supplenze e che a malapena ricorderà i nomi dei suoi allievi a fine anno, ci portiamo a casa la disfatta totale.
ORARI PIÙ ELASTICI E ARMONICI. L'adolescenza è un periodo sconosciuto negli anni '60 e a quei tempi per i più sviluppati e svegli si parlava di preadolescenza anticipata o di caratterialità. Qui non si tratta di denaro da spendere - perché i soldi sono sempre i primi a essere tirati in ballo - si tratta invece di preparazione universitaria diversa, di organizzazione delle classi e di orari più elastici e armonici.
Rendiamo obbligatoria l'espulsione dei banchi (e non dei ragazzi), sostituiamoli con tavoli a quattro-sei posti, mettiamo insieme alcune classi per lezioni collegiali; facciamo attività musicali, sportive, culturali, artigianali settimanali.
Rischiamo, perché senza rischi non si educa.
Antonio Mazzi, “Famiglia Cristiana”, 3 novembre 2013


venerdì 8 novembre 2013

3/4. LA SCUOLA INSEGNI A VIVERE - Edgar Morin


Effettivamente, essere specialista di tutto è essere specialista di niente. Raymond Aron, mi sembra, diceva che il proprio del lavoro di uno specialista è sapere tutto su un dominio estremamente ridotto, cioè pressoché niente. Delle due cose, l'una: o si ha una mancanza di conoscenze precise, o una conoscenza talmente precisa che alla fine non ha alcun interesse.
In effetti, bisogna partire dal problema della conoscenza. Se si ha un'informazione, ma si è incapaci di situarla nel suo contesto (frammentato attraverso le discipline), si arriverà per forza a un'informazione senza interesse. Si è d'altronde obbligati a contestualizzare senza posa - il proprio della storia è di essere una scienza che contestualizza gli eventi. Come uscirne? Alcune risposte sono già state date, attraverso raggruppamenti scientifici. Prendiamo l'esempio dell'ecologia, scienza fondata sull'idea di ecosistema, ma che riguarda molte discipline. In un dato ambiente, l'insieme degli esseri viventi, vegetali, animali, i microbi ecc... costituisce un'organizzazione spontanea, a sua volta collocata in una data cornice fisica, geografica e meteorologica. pertanto, l'ecologo, che si interessa ai meccanismi della formazione e delle disfunzioni degli ecosistemi, possiede conoscenze varie ma incomplete. Dovrà dunque chiedere l'aiuto del botanico, dello zoologo ecc... Lo stesso per le scienze della terra: la meteorologia, la vulcanologia, la sismologia, la geologia sono state separate fino al momento in cui si è scoperta la tettonica a placche. Avendo dimostrato da allora che la terra è un sistema funzionale molto complesso, ci si è impegnati a riunire queste differenti materie.
Tratto da Avvenire, 25 ottobre 2013


mercoledì 6 novembre 2013

2/4. LA SCUOLA INSEGNI A VIVERE - Edgar Morin


Il compito della scuola è aiutare a imparare a vivere. Certi insegnamenti non fanno parte delle discipline, ma permettono di integrarle. Che cos'è, essere umani? Oggi, in mancanza di pedagogia, questa domanda rimane completamente scollata dal resto. Essere umani è senz'altro essere un individuo, ma un individuo che fa parte di una società e di cui anche la società fa parte. Da quando si nasce, ci viene inculcato infatti il linguaggio, la cultura, ciò che si deve fare, non fare ecc...
In effetti, il nostro essere è costituito da tre parti in una: membro di una società, membro di una specie e individuo.
Secondo me, conoscere la nostra natura umana è dunque essenziale. E questo passa per forza attraverso l'insegnamento dell'incertezza. Ci si rende conto oggi che ci sono fenomeni che non si possono controllare, così nelle discipline come nella microfisica. Si è certi della morte, ma non si sa quando arriverà. Ci si sposa, si pensa che si sarà felici, ma potrebbe essere un matrimonio orribile. Si cerca il lavoro senza essere sicuri di trovarlo...
L'incertezza fa parte del destino umano, ma nessuno è preparato per affrontarla.
A mio avviso, la riforma dell'insegnamento deve anzitutto andare in questa direzione.

Tratto da Avvenire, 25 ottobre 2013

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