Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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martedì 18 ottobre 2016

PARLARE DEL PASSATO NON AIUTA LA GUARIGIONE- Marshall B. Rosenberg (1934-2015)

Dopo la laurea in psicologia, mi hanno insegnato ad aiutare le persone facendole parlare molto del loro passato, della loro infanzia e dell’educazione ricevuta. Negli ultimi anni riesco a contribuire di più alla guarigione di una persona in un’ora rispetto a quanto facessi prima, quando ascoltavo per ore e ore le persone parlare del loro passato. Credo che ascoltare quello che è successo a una persona nel passato non contribuisca alla guarigione; più una persona parla di quello che le è successo nel passato, più profondo sembra diventare il suo dolore. Parlare del dolore con un altro ci fa sentire bene, ma non credo porti alla guarigione.
Marshall B. Rosenberg, Comunicazione e potere, Edizioni Esserci, Reggio Emilia 2010, p. 89


lunedì 12 settembre 2016

46. I NUMERI PRIMI – Francesco Callegari


“Tutti i numeri primi sono dispari, ma non tutti i numeri dispari sono primi!”, acclamavano a gran voce le due prof di matematica mentre correggevano - non senza qualche sana controversia - le prove Invalsi dell’esame di terza media.
Al sentirle, mi è venuto in mente il famoso sillogismo di Socrate e mi sono perso nelle analogie con il nostro lavoro. Come funziona? Vediamo. “Tutti gli insegnanti sono bravi, Teresina è un’insegnante, dunque è brava”. Mmmmm… No, così non va, e non funziona nemmeno l’inverso, perché non tutti i bravi diventano insegnanti. Ma, sicuramente ce ne sono tanti di insegnanti bravi. Chissà se esiste una regola per trovarli, come per i numeri primi.
Provo a cercarla, passando in rassegna tutti i “numeri primi” che ho incontrato come studente, quelli che ho avuto come colleghi mentre insegnavo e quelli che incrocio ogni giorno come dirigente scolastico. Quali sono le caratteristiche degli insegnanti che rammento con gioia? Hanno qualcosa in comune? 
Al momento, non mi è chiaro. Provo allora a prendere la questione da lontano. Sono le lauree con 110 e lode, i master, i corsi, le specializzazioni o i libri pubblicati che mi convincono? Se ripenso alla maestra Antonietta, il primo “numero primo” che ho incontrato nella mia vita scolastica, più mamma che docente, devo certamente rispondere no.  E in prima media, il giovanissimo Alberto Abati, molto probabilmente ancora supplente, che arrivava in classe sempre in abito grigio e cravatta, con la sua cartella povera di carte, ma ricolma di tanta passione. E la professoressa Cristante di latino, donna minuta di fisico, ma grande di cuore. Questi, che ricordo ancor oggi dopo tanti anni, sono stati per me dei bravi insegnanti, anche se non erano dei luminari nella loro disciplina.
Sicuramente però erano delle belle persone. Spiegare cosa significhi esattamente essere una “bella persona” non mi è facile, ma sarebbe importante in quanto ci avvicinerebbe alla scoperta della regola dei “numeri primi” e avremmo un sillogismo che funziona così: “Tutti i bravi insegnanti sono belle persone, ma non tutte le belle persone sono insegnanti”. Se riusciamo a individuare le caratteristiche generali delle belle persone, questi caratteri apparterranno necessariamente anche a coloro che fanno parte del gruppo dei bravi insegnanti.
Carl Rogers, uno psicoterapeuta americano vissuto nel secolo scorso, scriveva:
 “Quando qualcuno ti ascolta davvero senza giudicarti, senza cercare di prendersi la responsabilità per te, senza cercare di plasmarti, ti senti tremendamente bene. Quando sei stato ascoltato e udito, sei in grado di percepire il tuo mondo in modo nuovo e andare avanti. E’ sorprendente il modo in cui problemi che sembravano insolubili diventano risolvibili quando qualcuno ti ascolta. Quando si viene ascoltati e intesi, situazioni confuse che sembravano irrimediabili si trasformano in ruscelli che scorrono relativamente limpidi”.
Ecco, questo è, più o meno, ciò che io ho provato, e provo tuttora, di fronte a persone che definisco “belle”. Sono persone che sanno ascoltare senza giudicare, che sanno mettersi nei panni degli altri, che sanno vedere le cose dal mio punto di vista e che, per questo, mi rispettano. Anche gli insegnanti che considero bravi, hanno tutti questa caratteristica comune: la capacità di ascoltare i propri allievi, mettersi nei loro panni, vedere le cose dal loro punto di vista. Ecco, cosa scriveva Jacob Levi Moreno, un importante psicologo di origine rumena:
E quando tu sarai vicino:
io prenderò i tuoi occhi,
e li metterò al posto dei miei,
e tu prenderai i miei occhi
e li metterai al posto dei tuoi.
Così io guarderò te con i tuoi occhi
e tu guarderai me con i miei.

La maestra Antonietta mi guardava attraverso i miei occhi. E io stavo bene con lei. E imparavo. Forse è questa la caratteristica di tutti gli insegnanti che hanno lasciato un segno in me.  
Auguro a tutti gli insegnanti di essere dei “numeri primi” per gli allievi che incontreranno quest’anno e in tutta la loro carriera.

Francesco Callegari
12 settembre 2016, inizio d’anno scolastico

mercoledì 25 maggio 2016

ASCOLTARE DAVVERO – Marshall B. Rosenberg (1934-2015)


Quando siamo completamente presenti con ciò che accade nell’altro, con ciò che è vivo in lui o in lei, la nostra espressione è diversa rispetto a quella che abbiamo quando stiamo analizzando mentalmente le sue parole o stiamo pensando a quello che diremo dopo.
In qualsiasi modo venga espressa, l’empatia tocca un bisogno molto profondo di noi esseri umani, quello di sentire che qualcuno ci sta davvero ascoltando, senza giudicarci.

Marshall B. Rosenberg, Educazione che arricchisce la vita, Edizioni Esserci, Reggio Emilia 2005, p. 83

mercoledì 4 maggio 2016

ASCOLTA CON TUTTO IL TUO ESSERE - Jiddu Krishnamurti (1895-1986)


Ho l'impressione che tanto l'atto di imparare, quanto l'atto di ascoltare ci risultino straordinariamente difficili. Noi non ascoltiamo mai veramente, perché la nostra mente non è libera; le nostre orecchie sono imbottite di tutta la conoscenza che portiamo sempre con noi, così ascoltare diventa straordinariamente difficile.
Penso - anzi, è un fatto - che se potessimo ascoltare con tutto il nostro essere, con una vigorosa vitalità, allora l'atto di ascoltare diverrebbe un fattore di liberazione. Ma sfortunatamente voi non ascoltate, perché non avete mai imparato a farlo.
In fondo, potete imparare qualcosa solo quando vi impegnate con tutto il vostro essere. Imparate la matematica solo quando vi ci dedicate totalmente; ma se vivete in uno stato di contraddizione, cioè se venite forzati ad imparare mentre non avete alcuna intenzione di farlo, allora l'imparare si riduce ad un vuoto processo di accumulazione.
Jiddu Krishnamurti


martedì 3 maggio 2016

IL VERO ASCOLTO PORTA CON SE’ LA LIBERTA’ - Jiddu Krishnamurti (1895-1986)


L'atto di ascoltare è completo in se stesso; il semplice atto di ascoltare porta con sé la libertà. Ma a voi interessa veramente ascoltare? Oppure quello che vi importa è intervenire per tentare di modificare la confusione che vi portate dentro?
Se ascoltaste... cioè se vi rendeste conto delle vostre contraddizioni, dei vostri conflitti, senza preoccuparvi di costringerli a entrare in un particolare schema di pensiero, forse questi finirebbero.
Vedete, noi stiamo sempre cercando di essere qualcosa, di raggiungere uno stato particolare; vorremmo fare determinate esperienze ed evitarne accuratamente altre. Ma in questo modo la nostra mente rimane sempre occupata, non è mai tranquilla, non è mai in grado di ascoltare il rumore delle sue lotte e delle sue pene.
Siate semplici... non cercate di diventare qualcosa o di aggrapparvi a qualche esperienza.
Jiddu Krishnamurti


lunedì 2 maggio 2016

QUANDO CI SI SFORZA DI ASCOLTARE - Jiddu Krishnamurti (1895-1986)



State davvero ascoltando quando vi sforzate di farlo? E il vostro sforzo non è forse una distrazione che impedisce l'ascolto? Dovete forse sforzarvi per ascoltare qualcosa che vi rallegra?
Finché la vostra mente sarà impegnata a fare sforzi, a confrontare, a giustificare, a condannare, non potrete rendervi conto della verità, non potrete vedere il falso per quello che è...
Jiddu Krishnamurti


sabato 30 aprile 2016

LA MELODIA DELLE PAROLE - Jiddu Krishnamurti (1895-1986)


Ascoltare è un'arte che non è facile acquisire, ma che porta con sé bellezza e comprensione profonda.
Ascoltiamo dalle profondità del nostro essere, ma il nostro ascolto è sempre alterato da preconcetti o dai nostri particolari punti di vista. Non siamo capaci di ascoltare direttamente, con semplicità; in noi l'ascolto avviene sempre attraverso lo schermo dei nostri pensieri, delle nostre impressioni, dei nostri pregiudizi...
Per poter ascoltare ci deve essere calma dentro di noi, un'attenzione distesa, e non deve esserci il minimo sforzo tendente ad acquisire qualcosa. Questo stato vigile e tuttavia passivo è in grado di ascoltare quello che è al di là dei significati delle parole.
Le parole portano confusione; sono solo un mezzo di comunicazione esteriore, ma per trovarsi al di là del rumore delle parole è necessario ascoltare in uno stato di vigile passività.
Coloro che amano sono capaci di ascoltare, ma è estremamente raro trovare chi sia capace di farlo. La maggior parte di noi è troppo occupata a raggiungere degli obiettivi, a ottenere dei risultati; stiamo sempre cercando di andare oltre, di conquistare qualcosa, così non siamo in grado di ascoltare.
Solo chi ascolta veramente può cogliere la melodia delle parole.
Jiddu Krishnamurti


venerdì 29 aprile 2016

ASCOLTARE SENZA SCHERMI - Jiddu Krishnamurti (1895-1986)


Come ascoltate? Ascoltate attraverso le vostre proiezioni, le vostre ambizioni, i desideri, le paure, le angosce? Ascoltate solo quello che volete sentire, solo quello che vi soddisfa o che vi lusinga? Ascoltate solo quello che vi conforta e che attenua momentaneamente la vostra sofferenza?
Se ascoltate attraverso lo schermo dei vostri desideri è ovvio che state ascoltando solo la vostra voce: state ascoltando solo i vostri desideri.
Ma esiste un altro modo di ascoltare? Non è forse importante scoprire come si possa ascoltare, non solo quello che dicono gli altri, ma qualunque cosa: il rumore della strada, il cinguettio degli uccelli, lo sferragliare del tram, il fragore delle onde, la voce di vostro marito o di vostra moglie o quella dei vostri amici, il pianto di un bambino?
Ascoltare diventa importante quando smettiamo di proiettare i nostri desideri. Possiamo mettere da parte tutti gli schermi che ci impediscono di ascoltare veramente?
Jiddu Krishnamurti


giovedì 28 aprile 2016

SAPER ASCOLTARE - Jiddu Krishnamurti (1895-1986)


Vi siete mai seduti in silenzio senza fermare l'attenzione su una cosa qualsiasi, senza fare il minimo sforzo per concentrarvi, con una mente davvero calma? Se lo fate, potete ascoltare i rumori lontani e quelli vicinissimi a voi: siete in contatto coi suoni.
Allora state veramente ascoltando. La vostra mente non si limita a funzionare attraverso un solo insufficiente canale. Quando ascoltate in questo modo, con grande tranquillità, senza sforzo, scoprite che dentro di voi avviene un cambiamento straordinario, un cambiamento che non dipende dalla vostra volontà e che si produce senza che voi lo chiediate; è un cambiamento che porta con sé l'immensa bellezza di una percezione profonda.
Jiddu Krishnamurti


mercoledì 27 aprile 2016

IL MODO IN CUI ASCOLTIAMO – Jiddu Krishnamurti (1895-1986)


Non so se avete mai preso in esame il modo in cui ascoltate, non importa che cosa, se il canto di un uccello, il vento tra le foglie, lo scorrere dell’acqua impetuosa o come ascoltate un dialogo con voi stessi, o nelle conversazioni con gli amici intimi, con vostra moglie o vostro marito.
Quando tentiamo di ascoltare, lo troviamo estremamente difficile, perché proiettiamo sempre le nostre opinioni e idee, i nostri pregiudizi, i contesti da cui proveniamo, le nostre inclinazioni, i nostri impulsi; quando sono questi elementi a dominare, ascoltiamo a mala pena quello che viene detto.
Questa condizione non ha alcun valore.
E’ solo ascoltando che uno impara, solo in uno stato di attenzione, in uno stato di silenzio in cui tutto questo contesto è sospeso, è quieto.
Solo allora, credo, è possibile comunicare...
La vera comunicazione... può avvenire solo quando c'è silenzio.

Jiddu Krishnamurti

martedì 15 marzo 2016

QUAL E’ IL SEGRETO DEL TEAM PERFETTO? 2/2 – Elena Dusi


Al "progetto Aristotele" portato a termine da Google dopo cinque anni di lavoro dedica un ampio reportage il New York Times.
Se tanti sforzi il gigante di Mountain View ha profuso nel cercare di catturare la chimica del team perfetto è perché, come rivela una ricerca della Harvard Business Review citata dal quotidiano americano, «il tempo trascorso da manager e impiegati in attività che prevedono una collaborazione con i colleghi è cresciuto del 50% negli ultimi vent'anni». E «ciascun lavoratore, in molte aziende, passa più di tre quarti della sua giornata comunicando con i colleghi ».
Una squadra efficiente, però, in cui ogni collega interviene al momento giusto di una riunione, dice solo cose appropriate, si ferma nel momento in cui sta per andare fuori tema e torna alla propria scrivania quando l'ultimo punto all'ordine del giorno è stato dipanato, è ben lungi, secondo il "Progetto Aristotele", dal potersi definire un team perfetto. Solo quando l'atmosfera di un luogo di lavoro è impregnata di empatia, riporta il quotidiano americano, nel gruppo di lavoro ideale si crea quel clima di «sicurezza psicologica» in cui nessuno teme di essere criticato dagli altri per quello che dice o si affretta a saltare sulle debolezze altrui.
In un'atmosfera così, come per magia, gli interventi di tutti i colleghi si equilibrano per lunghezza, le aggressioni più o meno esplicite vengono scoraggiate e le riunioni si riempiono di idee all'apparenza strampalate, ma che nessuno ha il timore di esporre. E che, soprattutto in un ambiente rivoluzionario come quello della Silicon Valley, fanno il successo di un gruppo di uomini e donne chiamati a trascorrere una sostanziosa fetta di vita insieme per portare al successo la propria azienda.
Elena Dusi, “la Repubblica”, 29 febbraio 2016


lunedì 14 marzo 2016

QUAL E’ IL SEGRETO DEL TEAM PERFETTO? 1/2 – Elena Dusi


Ben  vengano le divagazioni durante una riunione. Le chiacchiere sul luogo di lavoro, perfino i pettegolezzi, le confessioni dei propri problemi ai colleghi alla macchinetta del caffè e le reazioni istintive, quando qualcuno urta la nostra suscettibilità. Il team perfetto, quello che all'occorrenza scatta come un sol uomo e che ha una "intelligenza collettiva" più alta della somma delle intelligenze individuali, non è un orologio dai meccanismi perfetti. Piuttosto, è un organismo in cui i colleghi alzano gli occhi dalla scrivania, incrociano quelli del collega che lavora accanto e si accorgono di cosa gli passa per la testa.
Ci sono voluti decenni di studi sulla sociologia del "team perfetto" per arrivare a non comprendere tutto questo. Fino a quando un progetto avviato da Google tra i propri dipendenti non si è accorto che nessuno degli algoritmi numerici sull'efficienza dei gruppi di lavoro è in grado di prevedere alcunché. Quello che fa funzionare bene una comunità di umani, ha concluso, dopo tanto analizzare, il più grande motore di ricerca del mondo, è in fondo proprio il senso di umanità: empatia, rispetto, consolazione di un collega se necessario.
Elena Dusi, “la Repubblica”, 29 febbraio 2016


venerdì 19 febbraio 2016

SE SI GRIDA IN DUE - Dale Carnegie (1888-1955)

Il tenore Jan Peerce, sposato da circa cinquant'anni, ebbe a dire:
"Molto tempo fa mia moglie e io abbiamo fatto un patto e l'abbiamo mantenuto anche nei momenti di maggior tensione fra di noi. Quando uno urla, l'altro lo deve stare a sentire, perché se si grida in due non esiste comunicazione, ma solo rumore e travaso di bile."
Dale Carnegie, Come trattare gli altri e farseli amici, 1936, ed. it. Bompiani, Milano 2001, p. 137.


mercoledì 3 febbraio 2016

ASCOLTARE NON E’ CONDIVIDERE 2/2 – Roberto Cotroneo

L’ascolto è un karma, in un certo senso; parola sanscrita delle Upanisad vediche che ormai è utilizzata nel linguaggio corrente per indicare all’incirca il destino, la predisposizione a qualcosa.
Il karma è un agire nel mondo che porta al ciclo di morte e di rinascita del samsāra. Da come si agisce, come sanno ormai in molti, si avranno delle conseguenze, e il ciclo di morte e rinascita non è uguale per tutti, dipende da come si agisce, dalla capacità di sentire e di essere nel mondo; dal modo di ascoltarlo, in un certo senso, se intendiamo l’ascolto una delle modalità dell’agire, una modalità più evoluta.
Ma la modernità alle volte è fatalmente invasiva. Semplificare è molto bello, quando si riescono a spiegare concetti complessi con linearità, rendendoli fruibili a molti. Ma banalizzare non è semplificare, e soprattutto ci sono forme di banalizzazione pericolose. Da poco tempo esiste un nuovo social network, si chiama: Maadly. Non sarebbe una notizia se non avesse un aspetto particolare. Non mette in comunicazione persone che si conoscono, o addirittura amici, ma soltanto ed esclusivamente non conoscenti. Questi sconosciuti della rete leggono i tuoi post e i tuoi contenuti e possono mettere un “Like” o un “Dislike”. A ogni like sale il karma dell’utente (proprio così, è utilizzato questo concetto). A ogni dislike il karma scende.
Invenzione carina e persino originale quella di farsi giudicare da una massa di sconosciuti che possono determinare il tuo Karma. Se hai successo salirà e tu non ti reincarnerai in un insetto o in un verme, ma in un altro essere umano. Se invece non riesci a essere popolare la ruota del samsāra girerà malissimo per te.
È difficile prevedere il successo, tra i ragazzi soprattutto, di questa applicazione che è già scaricabile sui dispositivi mobili. La banalizzazione del Karma non sarebbe un grande problema. Da anni lo fanno le dottrine New Age e ci siamo abituati. La cosa invece piuttosto grave è che si mette assieme il piacere, il successo, l’essere approvati, come fosse un percorso spirituale e di crescita. Il successo, per intenderci, l’esser popolari, l’avere molti like non è un cammino spirituale, non dovrebbe essere considerato un punto di arrivo. L’ambizione non è qualcosa di auspicabile in sé. La ragione e l’approvazione del mondo non sono valori, anzi alle volte sono dei disvalori.
Bertold Brecht scriveva: «ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati». Insegnare il coraggio di raccogliere molti dislike, farsi ascoltare per quello che si è veramente, e non per riscuotere assenso e successo è il modo migliore per prendersi cura del proprio karma.

Roberto Cotroneo, “Corriere della Sera”, 24 luglio 2015

martedì 2 febbraio 2016

ASCOLTARE NON E’ CONDIVIDERE 1/2 – Roberto Cotroneo

In tutte le culture millenarie, e soprattutto nella maggior parte delle religioni, l’ascolto è un elemento fondante. L’ascolto è saggezza, l’ascolto è comprensione, alle volte è assoluzione o condanna, ma è sempre un punto di condivisione tra due persone singole, o tra un singolo e la collettività. Si ascoltano i figli, le persone che si amano, si ascoltano le comunità, i cittadini.
Si chiede, si valuta, si decide dopo aver ascoltato, e non soltanto le ragioni o delle tesi ma anche qualcosa che viene prima di tutto questo: l’essenza del vivere.
Mettersi in ascolto è mettersi in cammino, regalare un luogo dove rifugiarsi, trovare conforto: ascoltano i confessori, gli psicoanalisti, i saggi.
Ascoltare non è necessariamente condividere, non è un modo per farsi approvare, per avere successo, per vincere con le proprie ragioni. Nell’ascolto non si vince e non si perde, non è un combattimento, non è consenso o dissenso, non è adesione o indifferenza.
Nell’ascolto e nel farsi ascoltare il voler avere ragione, il voler colpire, impressionare, risultare popolari agli altri, serve a poco. Perché mettersi in ascolto è percorrere una strada di solitudine e di diversità che ci può isolare, renderci eccentrici.
Roberto Cotroneo, “Corriere della Sera”, 24 luglio 2015


lunedì 1 febbraio 2016

RAGIONI CONTRO – Robert James

La maggior parte delle interazioni e dei confronti verbali ancora oggi continua a sostenersi su un meccanismo fallimentare: la contrapposizione di argomenti e ragioni e il tentativo di persuadere l’altro convincendolo del valore delle nostre ragioni rispetto alle sue.
È una strategia faticosissima e in gran parte controproducente: per quelle strane alchimie di cui è composto l’animo umano, qualunque opposizione suona come un divieto, qualunque divieto suona come un’offesa, qualunque offesa genera risentimento, e l’effetto del risentimento è sempre rabbia e ostilità verso l’altro.
Risultato: più cerchi di convincere l’altro con le tue ragioni, di scardinare le sue con i tuoi argomenti e di forzarlo a cambiare idea, più l’altro si arroccherà sulle sue posizioni e si chiuderà a guscio sulle sue idee. È una legge naturale: chi si sente attaccato si difende chiudendosi.

Robert James, Come ascoltare gli altri e farseli amici, 2015

venerdì 27 novembre 2015

UNA VITTORIA DI PIRRO - Dale Carnegie (1888-1955)


Come diceva il vecchio Benjamin Franklin:
"Discutendo, polemizzando e contraddicendo, a volte si può anche vincere; ma è una vittoria di Pirro perché non si otterrà mai la simpatia dell'avversario".
Che cos’è preferibile: una vittoria finta, accademica, o la simpatia di qualcuno? E’ raro che si ottengano entrambe.
Dale Carnegie, Come trattare gli altri e farseli amici, 1936, ed. it. Bompiani, Milano 2001, p. 134.


giovedì 26 novembre 2015

COSTRUITE PONTI DI COMPRENSIONE - Dale Carnegie (1888-1955)


Se volete proprio che la gente si faccia beffe di voi, vi rida dietro, vi disprezzi e vi sfugga, questa è la ricetta: non state mai ad ascoltare nessuno. Parlate sempre e solo di voi stessi. Se avete un’idea mentre l’altra persona sta parlando, non aspettate che finisca, tirate dritto e interrompetela nel bel mezzo del discorso.
Dare sempre all'avversario la possibilità di parlare. Non opporre resistenza, difese o discussioni: creano solo delle barriere. Costruire ponti di comprensione, non muri di incomprensione.
Dale Carnegie, Come trattare gli altri e farseli amici, 1936, ed. it. Bompiani, Milano 2001, p. 110, 136.


mercoledì 25 novembre 2015

IL FORUNCOLO SUL COLLO - Dale Carnegie (1888-1955)


La gente che parla solo di se stessa pensa solo a se stessa. “E la gente che pensa solo a se stessa,” come dice il dottor Nicholas Murray Butler, per lungo tempo rettore della Columbia University, “rimane ignorante senza speranza.” “Non c’è modo di toglierli dalla loro stupidità,” prosegue Butler, “non c’è modo di istruirli.”
Così se volete diventare un buon conversatore, siate prima di tutto un ascoltatore attento. Per interessare, mostratevi interessati. Fate domande che sapete fanno piacere al vostro interlocutore. Incoraggiatelo a parlare di sé e dei propri successi.
Ricordatevi che la gente alla quale state parlando si interessa molto di più ai suoi problemi che ai vostri. Il proprio banale e personalissimo mal di denti preoccupa assai di più della grande carestia che in Cina miete milioni di vittime. Un foruncolo sul collo è più inquietante di cinquanta terremoti in Africa. Pensateci, la prossima volta che vi mettete a parlare con qualcuno.
Dale Carnegie, Come trattare gli altri e farseli amici, 1936, ed. it. Bompiani, Milano 2001, p. 111.


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