Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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lunedì 12 luglio 2021

GRANDE ITALIA, ITALIA GRANDE







Grande nella solidarietà, nell’accoglienza, nella buona educazione, nel rispetto degli altri, nella sobrietà, nel sentirsi parte di un tutto che non può essere solo un fazzoletto di terra.

Grande nell’ascolto, nel parlare sottovoce, nel porre attenzione, nel maneggiare le cose con cura, nell’inventare.
 
Grande nel  far ammirare alle persone del mondo la terra che abitiamo, i nostri mari e le montagne, i piccoli borghi e le grandi città. Grandi nel condividere con loro queste meraviglie. 

Grande nel preparare i cibi con cura, nell’assaporarne i sapori con la lentezza che il piacere richiede, nel godere degli odori che erbe e fiori spandono in dono sotto il calore del sole mediterraneo. 

Grande nel saper cogliere nello sguardo del vicino una richiesta di aiuto, o anche solo una carezza, una parola d’amore o di amicizia. 

Questo farebbe grande l’Italia e questo farebbe l’Italia grande. 

Questo.


sabato 12 settembre 2015

A SCUOLA DI OSPITALITA’ 3/3 – Lizanne Foster


Con occhi nuovi
Confesso che mi è piaciuto parecchio essere un’insegnante popolare. Mi sono divertita a essere l’anticonformista che in classe fa cose fichissime. Ero così abituata a sentirmi dire che gli studenti amavano le mie lezioni, che è stato uno shock quando, la scorsa primavera, ho scoperto che ad alcuni studenti stare nella mia classe non piaceva affatto. Poiché prendevo la loro critica sul piano personale, mi sono sentita un fallimento completo.
Ammetto che, quando gli studenti non si entusiasmano per il contenuto delle lezioni, lo considero un affronto, come se fossi stata io in persona l’autore delle conoscenze che provo a diffondere. Ma se voglio educare in modo ospitale, devo accettare che la conoscenza che condivido con i miei studenti non è mia. L’ho ereditata dai milioni di persone che nel corso della storia umana hanno fatto delle scoperte. In quanto insegnante, sono solo una delle tante custodi temporanee della nostra conoscenza collettiva.
Il mio lavoro come insegnante è fornire alcune delle chiavi di accesso a questa conoscenza, “aprire la serratura del mondo” per i miei studenti. Anni fa ho avuto uno studente, D., che mi ha riportato con i piedi per terra. Ricordo perfettamente quando mi ha detto: “Signora Foster, ha presente quel punto dell’universo attorno al quale gira tutto? Non è lei!”.
Sono scoppiata a ridere. Era la migliore delle obiezioni possibili a qualunque tronfia posizione di “grande educatrice” avessi assunto allora.
Quando faccio i conti con il mio ego sulla porta dell’aula, devo anche aspettarmi che i miei studenti non saranno affascinati quanto me dal programma, e che ne contesteranno i contenuti. Educare nell’ottica di un’etica dell’ospitalità significa non solo permettere che queste contestazioni avvengano, ma anche incoraggiarle. In fondo, è così che ha progredito la conoscenza umana nel corso dei millenni: con occhi nuovi che guardano vecchie verità e vedono qualcosa di più, qualcosa di diverso.
Come potete vedere, questo tipo di preparazione implica un cambio di paradigma rispetto al mio ruolo in classe. Anche se ho la responsabilità di creare per i miei studenti uno spazio in cui auspicabilmente siano a loro agio e coinvolti, non posso aspettarmi che apprezzino tutto quello che ho preparato per loro o che apprezzino il programma che posso offrire. In vista di questo nuovo anno scolastico, non devo dimenticare che ciò che porto nella mia classe è meno importante di quello che lascio sulla porta. Non c’è posto per il mio ego in un’aula ospitale.

venerdì 11 settembre 2015

A SCUOLA DI OSPITALITA’ 2/3 – Lizanne Foster


Sulla porta
Ho cercato anche altri modi per mettere gli studenti più a loro agio. Fin dall’inizio della mia carriera d’insegnante, ho cercato di democratizzare la mia classe. Spesso discuto con gli studenti le finalità dei compiti e contrattiamo regolarmente le date di consegna.
Ogni anno incontro alcuni di loro per discutere le questioni di fondo della nostra comunità di classe. Abbiamo anche una procedura per gestire i conflitti. Ma nonostante tutte le iniziative che ho preso e tutti i tentativi che ho fatto, per alcuni studenti la mia classe è accogliente solo a volte.
Il mio proposito per il nuovo anno scolastico è di farmene una ragione e fare i conti con il mio ego sulla porta dell’aula.
Non fraintendetemi. Questo non significa che smetterò di lavorare per rendere la classe un luogo in cui gli studenti possano imparare e in cui stiano volentieri. Significa che, a decenni di distanza dalla prima volta che sono entrata in aula come insegnante, oggi accetto di avere un compito impossibile: rendere l’ambiente ospitale per tutti i miei studenti, sempre.
Sono certa che non c’è bisogno di elencare tutti i motivi per cui le scuole possono essere dei luoghi inospitali per molti studenti. I disagi dei ragazzi che devono sopportare omofobia e razzismo sono ben noti, ma forse è meno riconosciuto il disagio di tutti gli studenti che ogni giorno devono stare sei ore seduti ad ascoltare qualcuno. Ogni anno mi scuso con i miei studenti per ciò che stoicamente sopportano nelle scuole.
Quest’anno continuerò a porgere queste scuse con una più chiara comprensione del perché siano necessarie. Quest’anno cercherò di educare i miei studenti in modo ospitale. Come ho imparato leggendo il libro di Claudia Ruitenberg Unlocking the world: education in an ethic of hospitality, educare gli studenti in modo ospitale va ben oltre l’offerta di divani, cuscini e biscotti.
Un insegnante-padrone di casa che educhi in modo ospitale ha molte più incombenze di quelle che ha avuto la mia amica Stephanie quando, recentemente, ha dato una festa a casa sua. Tutto ciò che Stephanie ha dovuto fare per accogliere i suoi ospiti è stato pulire la casa, comprare da bere e da magiare e fare gli inviti. Durante la festa ha fatto in modo che cibo e bevande non mancassero mai ed è andata in giro a chiacchierare con i vari gruppetti. La maggior parte degli ospiti ha detto di essersi divertita molto. Stephanie si è divertita sicuramente.
Ma il genere di ospitalità che ho in mente richiede una preparazione diversa rispetto a ciò che normalmente fanno gli insegnanti durante le vacanze estive. D’estate, se non facciamo corsi di aggiornamento, di solito frequentiamo conferenze o seminari, leggiamo su internet articoli sulla formazione e rivediamo i moduli didattici. Anche se tutto questo lavoro preparatorio assume forme diverse, essenzialmente punta ad aumentare la nostra conoscenza e la nostra professionalità.
Ma, per cominciare a educare nell’ottica di un’etica dell’ospitalità, devo interrogare la mia identità in quanto insegnante.

continua...


giovedì 10 settembre 2015

A SCUOLA DI OSPITALITA’ 1/3 – Lizanne Foster


All’epoca in cui l’Europa stava passando da un’economia basata sull’agricoltura a una industriale, le scuole erano i magazzini del nuovo sapere che serviva per affermarsi nel nuovo mondo. Gli insegnanti fornivano i contenuti e le conoscenze ritenute necessarie per il successo della classe media.
Ma quale ruolo hanno gli insegnanti oggi, nel ventunesimo secolo, quando gli studenti si portano in tasca un dispositivo che dà loro un accesso istantaneo a tutta la conoscenza umana? A che serve l’insegnante ora che la sua funzione di “fornitore di contenuti” è tramontata?
Secondo me l’insegnante dovrebbe essere una sorta di padrone di casa che organizza uno spazio per l’apprendimento socialmente accogliente, emotivamente sicuro e intellettualmente stimolante.
Così, visto che le vacanze estive stanno finendo, sono andata a controllare la mia aula. Volevo vedere quanto lavoro avevo da fare prima di dare il benvenuto agli studenti il primo giorno di scuola. Il pavimento era lucido e la lavagna perfettamente pulita: una superficie scintillante in attesa delle prime lezioni del nuovo anno scolastico.
Per me l’inizio dell’anno scolastico è sempre stato una sorta di secondo Capodanno e, come per il 1 gennaio, faccio dei buoni propositi. In passato, i miei buoni propositi si concentravano su come rendere la mia aula un luogo più accogliente, uno spazio in cui gli studenti avrebbero voluto trovarsi. All’inizio ho cercato di rendere lo spazio più caldo, aggiungendo tende e altre macchie di colore agli spazi spenti e grigi. Nel corso degli anni ho portato divani e cuscini, e anche una piccola cucina. Ho anche cercato di rendere la classe più accogliente dal punto di vista psicologico, inserendo delle pause durante le lezioni: danza, stretching, yoga della risata. A volte gli studenti meditano, a volte fanno un pisolino prima di riprendere la lezione.

continua...


giovedì 18 giugno 2015

AL VIANDANTE – Antoine de Saint Exupery


Per quale ragione lo ritieni indegno del tuo sorriso? Che cosa credi di dargli se non gli dai l’essenziale, l’ospitalità, quella stessa ospitalità che rende così nobili i tuoi rapporti, perfino col tuo più mortale nemico? Quale riconoscenza prevedi di avere da lui attraverso il fardello dei tuoi doni? Egli non potrà che odiarti: se ne va da casa tua carico di debiti. 

Perciò ho deciso di accoglierti in casa mia e nel mio regno, o viandante caduto dal cielo. Non ti chiederò nulla se non di camminare con noi e di bere il nostro latte in pace. 


Antoine de Saint Exupery, Cittadella, Borla, Roma 1978

mercoledì 17 giugno 2015

L’OSPITALITA’ – Antoine de Saint Exupery


Ti parlerò perciò dell’ospitalità. Se apri la porta della tua casa al viandante e lui si siede accanto al fuoco, non rimproverargli di essere diverso. Non giudicarlo. Perché ciò di cui aveva fame era soprattutto di trovarsi là in qualche luogo, presso qualcuno col suo carico, il suo bagaglio di ricordi, il suo respiro affannoso e il suo bastone posato in un canto. Era di stare là nel calore e nella pace del tuo volto, con tutto il suo passato oramai inutile, con tutte le pecche messe a nudo. La sua stampella egli non la sente più, perché non gli chiedi di danzare. Allora si rinfranca e beve il latte che gli versi, mangia il pane che gli spezzi, e il sorriso che gli rivolgi è un manto tiepido come il sole per un cieco.


Antoine de Saint Exupery, Cittadella, Borla, Roma 1978

mercoledì 28 maggio 2014

L’OSPITALITA’ VERA - Antoine de Saint-Exupéry (1900-1944)


Chi sa veramente ospitare qualcuno, non lo giudica, ma lo accoglie per quello che è e non pretende ringraziamenti che creerebbero doveri nell’ospite.
Ti parlerò perciò dell’ospitalità. Se apri la porta della tua casa al viandante e lui si siede accanto al fuoco, non rimproverargli di essere diverso. Non giudicarlo. Perché ciò di cui aveva fame era soprattutto di trovarsi là in qualche luogo, presso qualcuno col suo carico, il suo bagaglio di ricordi, il suo respiro affannoso e il suo bastone posato in un canto. Era di stare là nel calore e nella pace del tuo volto, con tutto il suo passato oramai inutile, con tutte le pecche messe a nudo. La sua stampella egli non la sente più, perché non gli chiedi di danzare. Allora si rinfranca e beve il latte che gli versi, mangia il pane che gli spezzi, e il sorriso che gli rivolgi è un manto tiepido come il sole per un cieco.
Antoine de Saint-Exupéry, Citadelle, 1948
tr. Enzo L.Gaya,Cittadella [edizione ridotta], Borla, Roma, 1978


lunedì 7 ottobre 2013

SONO LORO IL NOSTRO PROSSIMO – Adriano Sofri


Ci si può commuovere tutti i giorni, o c’è bisogno di una pausa, di una tregua – non so, una settimana, almeno un paio di giorni – fra una tragedia e l’altra? O commuoversi comunque quando la cifra dei morti è così esorbitante? Quando ci sono i bambini (le donne incinte ci sono sempre), e c’è ogni volta un dettaglio nuovo. Questa volta è il fuoco acceso dentro una carretta con 500 persone, come accendere un falò in un autobus all’ora di punta, con le porte che non si aprono. Riescono sempre a procurarsi un dettaglio nuovo, queste disgrazie. A Catania è in rianimazione il migrante eritreo scampato a tutto, anche alla spiaggia di Sampieri coi cadaveri allineati dei suoi compagni, e investito da un’auto. I dettagli di ieri saranno troppi per raccoglierli, i soccorritori pensano a soccorrere, magari piangendo, e i superstiti, una volta rifocillati e sbattuti in qualche Centro di Indifferenza ed Espulsione, non saranno più interessanti, coi confini spinati e i deserti e i mari che hanno attraversato, i cadaveri che hanno urtato, le preghiere che hanno pregato. Non avranno voglia di raccontarlo, e non troveranno chi abbia voglia di starli a sentire. Guarderanno l’Isola dei famosi, la sera, e capiranno tutto.

domenica 25 agosto 2013

IL CIELO - Paulo Coelho


Un uomo, il suo cavallo ed il suo cane camminavano lungo una strada.
Mentre passavano vicino ad un albero gigantesco, un fulmine li colpì, uccidendoli all'istante.
Ma il viandante non si accorse di aver lasciato questo mondo e continuò a camminare, accompagnato dai suoi animali. A volte, i morti impiegano qualche tempo per rendersi conto della loro nuova condizione...
Il cammino era molto lungo; dovevano salire una collina, il sole picchiava forte ed erano sudati e assetati. A una curva della strada, videro un portone magnifico, di marmo, che conduceva a una piazza pavimentata con blocchi d'oro, al centro della quale s'innalzava una fontana da cui sgorgava dell'acqua cristallina.
Il viandante si rivolse all'uomo che sorvegliava l'entrata.
"Buongiorno"
"Buongiorno" rispose il guardiano.
"Che luogo è mai questo, tanto bello?"
"E' il cielo"
"Che bello essere arrivati in cielo, abbiamo tanta sete!"
"Puoi entrare e bere a volontà".
Il guardiano indicò la fontana.
"Anche il mio cavallo ed il mio cane hanno sete"
"Mi dispiace molto", disse il guardiano, "ma qui non è permesso l'entrata agli animali".
L'uomo fu molto deluso: la sua sete era grande, ma non avrebbe mai bevuto da solo.
Ringraziò il guardiano e proseguì.
Dopo avere camminato a lungo su per la collina, il viandante e gli animali giunsero in un luogo il cui ingresso era costituito da una vecchia porta, che si apriva su un sentiero di terra battuta, fiancheggiato da alberi.
All'ombra di uno di essi era sdraiato un uomo che portava un cappello; probabilmente era addormentato.
"Buongiorno" disse il viandante.
L'uomo fece un cenno con il capo.
"Io, il mio cavallo ed il mio cane abbiamo molta sete".
"C'è una fonte fra quei massi", disse l'uomo, indicando il luogo, e aggiunse: "Potete bere a volontà". L'uomo, il cavallo ed il cane si avvicinarono alla fonte e si dissetarono.
Il viandante andò a ringraziare.
"Tornate quando volete", rispose l'uomo.
"A proposito, come si chiama questo posto?"
"Cielo"
"Cielo? Ma il guardiano del portone di marmo ha detto che il cielo era quello là!"
"Quello non è il cielo, è l'inferno".
Il viandante rimase perplesso.
"Dovreste proibire loro di utilizzare il vostro nome! Di certo, questa falsa informazione causa grandi confusioni!"
"Assolutamente no. In realtà, ci fanno un grande favore. Perché là si fermano tutti quelli che non esitano ad abbandonare i loro migliori amici..."

Paulo Coelho, Il diavolo e la signorina Prym

lunedì 11 febbraio 2013

L'UOMO PERFETTO - Lucio Anneo Seneca (4 a.C. - 65)



L'uomo perfetto che ha raggiunto la virtù non si è mai scagliato contro la fortuna, non si è lasciato affliggere dalle disgrazie: le ha subite come fatiche impostegli, sentendosi cittadino dell'universo e soldato. Le avversità di ogni tipo non le ha rifiutate come un male assegnatogli dalla sorte, ma le ha accolte come un impegno: "Comunque sia la situazione, è affar mio; è dura, è difficile, devo impegnarmi a fondo."
Non poteva, perciò, non apparire grande l'uomo che non ha mai pianto sui suoi mali e non si è lamentato mai del suo destino; si è fatto comprendere da molti, ha brillato come una fiaccola nelle tenebre e si è attirato la benevolenza generale col suo carattere mite e moderato, ugualmente giusto con gli uomini e con gli dèi.
Aveva un animo perfetto e giunto al massimo livello, oltre il quale c'è solo lo spirito divino, di cui una parte è discesa anche nell'anima mortale; e proprio quando medita sulla sua mortalità e si rende conto che l'uomo è nato per morire, l'anima rivela di essere divina: questo corpo non è la sua casa, ma solo un albergo, e per un breve soggiorno, e bisogna lasciarlo quando ci si accorge di essere sgraditi all'ospite.
Lucio Anneo Seneca (4 a.C. – 65), Lettere a Lucilio

domenica 10 febbraio 2013

L'ALBERGO - Rumi



Questo essere umano è un albergo:
ogni mattina un nuovo arrivato.
Gioia, depressione, meschinità,
momentanee consapevolezze giungono
come ospiti inattesi.
Accoglili ed intrattienili tutti!
Fosse anche una folla di dispiaceri,
che con violenza ti svuota la casa
di tutti i suoi mobili.
Malgrado tutto, onora ogni tuo ospite,
forse sta cercando spazio
per nuovi piaceri.
Pensieri neri, vergogna, malizia,
accogli sulla porta con un sorriso,
e invitali ad entrare.
Sii grato di qualunque visitatore,
perché ognuno è stato mandato
come una guida dall’aldilà.

Jalal al-Din Rumi (1207-1273)

domenica 27 gennaio 2013

PADRE MORAND - Alexandre Jollien



Padre Morand aveva vissuto le due guerre mondiali, e a questo proposito mi raccontava molti aneddoti. Eccone uno che mostra bene la sua personalità. Aveva nascosto nella casa parrocchiale una famiglia di ebrei che fuggiva la Gestapo. Vedendo in lontananza la polvere sollevata dai mezzi delle SS che si avvicinavano, ebbe la presenza di spirito di saccheggiare la sua stessa casa: dopo aver provveduto a nascondere accuratamente la famiglia nel granaio, rovesciò i mobili e fracassò piatti e stoviglie a terra. Non appena la prima SS varcò la soglia della porta, padre Morand indicò il caos che lo circondava ed esclamò: "Guardate qui, i vostri colleghi hanno già perlustrato tutto, non c'è nulla a casa mia".
Grazie alla sua astuzia e audacia, le SS se ne andarono e la famiglia fu salva.
Alexandre Jollien, Elogio della debolezza, Edizioni Qiqaion, Magnano (BI)2001, p. 87-88

giovedì 20 dicembre 2012

33. IN PUNTA DI PIEDI - Francesco Callegari


Un caro amico mi ha fatto conoscere questa stupenda poesia di Enzo Bianchi, priore di Bose:
Da Forestiero
Il forestiero
è colui che viene da altrove:
è uno sconosciuto.
Il forestiero
è colui che passa e poi va:
è un pellegrino.
Il forestiero
è colui che può essere accolto o respinto:
è un ospite.
Il forestiero
è colui che non possiede casa né terra:
è un povero.
Il forestiero
è colui che non ha bagagli ingombranti:
è libero per camminare.

Un anno fa abbiamo parlato del nostro sacco pieno di piume d’uccello; ora ci viene chiesto di viaggiare addirittura anche senza quel sacco.
In effetti, è vero, chi si propone di fare tanta strada a piedi sa bene quanto importante sia il viaggiare leggeri: uno zaino pesante tiene incollati al terreno e ogni passo costa un’immensa fatica.
Ma addirittura senza zaino! Cosa vorrà mai significare?
Il forestiero è uno sconosciuto che porta con sé idee criticate, usi e costumi strani e non accettati; è un pellegrino che passa di terra in terra senza mai sapere quale sarà quella che lo accoglierà; è un ospite che entra in casa solo se gli si apre la porta; è un povero che non possiede nulla. Ma proprio perché niente lo trattiene, il forestiero è libero di camminare leggero (e forse anche di volare).
A ben vedere, il forestiero cammina quasi “in punta di piedi”, accarezzando le cose per non rovinarle, sfiorando le persone per non calpestarle. Ci viene proposto di passare sulla terra così, “da forestieri”.
Se ci pensiamo, i bambini appena nati rappresentano dei forestieri su questa terra e sono certamente le persone più leggere che vi siano. Il Bambino che nasce a Natale porta di solito tante belle emozioni, pensieri ricchi e profondi. A me basterebbe riuscire a seguire almeno un poco il suo esempio di leggerezza. Sarebbe già tanto.

Me lo auguro, e lo auguro a tutti voi.

Francesco Callegari
20 dicembre 2012  

domenica 16 dicembre 2012

DA FORESTIERO - Enzo Bianchi



Il forestiero
è colui che viene da altrove:
è uno sconosciuto.

Il forestiero
è colui che passa e poi va:
è un pellegrino.

Il forestiero
è colui che può essere accolto o respinto:
è un ospite.

Il forestiero
è colui che non possiede casa né terra:
è un povero.

Il forestiero
è colui che non ha bagagli ingombranti:
è libero per camminare.

Enzo. Bianchi, Nella compagnia degli uomini, Casale Monferrato 1995, 5.  

sabato 25 agosto 2012

3. LA PROMESSA DI GREG - Greg Mortenson


Un villaggio ospitale
Lasciato il pericolo alle spalle, Mortenson si rese conto di quanto fosse stata in pericolo la sua stessa sopravvivenza e di quanto fosse indebolito. Riuscì solo con grande fatica a scendere lungo il sentiero tortuoso che conduceva al fiume e una volta lì, nell’acqua gelida, quando si tolse la maglietta per lavarsi, rimase scioccato dal proprio aspetto. “Le braccia sembravano ridotte a stecchi, quasi appartenessero a qualcun altro” racconta.
Giorno dopo giorno, il nurmadhar osservava le condizioni di Mortenson con attenzione, così ordinò la macellazione di uno dei preziosi chogo rabak, o grandi arieti, del villaggio.
Quaranta persone strapparono dalle ossa del magro animale tutta la carne arrostita, fino all’ultimo brandello, poi spaccarono le ossa con le pietre per affondare i denti nel midollo. Osservando la bramosia con cui la carne veniva divorata, Mortenson si rese conto di quanto fosse rara per la gente di Korphe, che era prossima alla fame.
Greg Mortenson, David Oliver Relin, Tre tazze di tè, Milano 2008, p. 46-47

venerdì 24 agosto 2012

2. LA PROMESSA DI GREG - Greg Mortenson



Uno straniero a Korphe
Haji Ali accompagnò Mortenson in una capanna simile alle altre. Battè una pila di coperte fino a che la sua polvere si distribuì per tutta l’ampia stanza centrale, sistemò dei cuscini al posto d’onore vicino a un caminetto e vi fece accomodare Mortenson.
Il tè venne preparato in un silenzio infranto solamente dallo strusciare dei piedi e dalla sistemazione dei cuscini, mentre venti membri maschi della famiglia allargata di Haji Ali si disponevano in fila indiana e prendevano posto intorno al caminetto. Buona parte dell’acre fumo che si sollevava dal fuoco di escrementi di yak acceso sotto la teiera si dileguava, fortunatamente, attraverso un’apertura quadrata nel soffitto. Quando Mortenson sollevò la testa, vide gli occhi dei cinquanta bambini che lo avevano seguito (e che ora erano sdraiati sul tetto) disposti in cerchio intorno all’apertura. Nessuno straniero era mai stato prima a Korphe.
Greg Mortenson, David Oliver Relin, Tre tazze di tè, Milano 2008, p. 42
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