Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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martedì 1 dicembre 2015

IL GREMBIULE DELLA NONNA – Maurizio Magistri


Ti ricordi del grembiule di tua Nonna ?
Il primo scopo del grembiule delle Nonna era di proteggere i vestiti sotto,
ma, inoltre:
serviva da guanto per ritirare la padella bruciante dal forno;
era meraviglioso per asciugare le lacrime dei bambini ed, in certe occasioni, per pulire le faccine sporche;
dal pollaio, il grembiule serviva a trasportare le uova e, talvolta, i pulcini!;
quando i visitatori arrivavano, il grembiule serviva a proteggere i bambini timidi;
quando faceva freddo, la Nonna se ne imbacuccava le braccia;
questo buon vecchio grembiule faceva da soffietto, agitato sopra il fuoco a legna;
era lui che trasportava le patate e la legna secca in cucina;
dall'orto, esso serviva da paniere per molti ortaggi dopo che i piselli erano stati raccolti era il turno dei cavoli;
a fine stagione, esso era utilizzato per raccogliere le mele cadute dell'albero;
quando dei visitatori arrivavano in modo improvviso, era sorprendente vedere la rapidità con cui questo vecchio grembiule poteva dar giù la polvere;
all'ora di servire i pasti, la Nonna andava sulla scala ad agitare il suo grembiule e gli uomini nei campi sapevano all'istante che dovevano andare a tavola;
la Nonna l'utilizzava anche per posare la torta di mele appena uscita dal forno sul davanzale a raffreddare; ai nostri giorni sua nipote la mette là per scongelarla.

Occorrerà un bel po' d'anni prima che qualche invenzione o qualche oggetto possa rimpiazzare questo vecchio buon grembiule.


Maurizio Magistri

martedì 15 settembre 2015

PARLARE DI IMMIGRAZIONE A SCUOLA – Daniel Pennac


«Diffido dei discorsi di principio, soprattutto in poche parole. Preferisco i comportamenti. Per prima cosa, quindi, non presenterei ai miei allievi l'immigrazione come un "problema". Cercherei di insegnar loro (come fanno d'altronde molti professori) a vivere insieme e a esserne felici. Farei in modo che loro stessi divengano, per il loro contesto familiare e sociale, esempi di curiosità e tolleranza. I giovani non hanno bisogno affatto di discorsi, ma di fervidi esempi».

Intervista di Edoardo Vigna a Daniel Pennac per SETTE del Corriere della Sera, 11 settembre 2015.

venerdì 12 settembre 2014

LA MOTIVAZIONE - Pierre Durrande


Nessuno può essere educato suo malgrado.

Pierre Durrande, L'arte di educare alla vita

domenica 13 aprile 2014

CHI SEMINA RACCOGLIE - Anonimo


Un giorno un'insegnante chiese ai suoi studenti di fare una lista dei nomi dei loro compagni su dei fogli di carta, lasciando un po' di spazio sotto ogni nome. Poi disse loro di pensare la cosa più bella che potevano dire su ciascuno dei loro compagni di classe e scriverla. Ci volle tutto il resto dell'ora per finire il lavoro, ma all'uscita ciascuno degli studenti consegnò il suo foglio.
Quel sabato, l'insegnante scrisse il nome di ognuno su un foglio separato, e vi aggiunse la lista di tutto ciò che gli altri avevano detto su di lui/lei. Il lunedì successivo diede a ogni studente la propria lista. Poco dopo, l'intera classe stava sorridendo. "Davvero ?" sentì sussurrare."Non sapevo di contare così tanto per qualcuno !" e "Non pensavo di piacere tanto agli altri" erano le frasi più pronunciate. Nessuno parlò più di quei fogli in classe, e la prof non seppe se i ragazzi l'avessero discussa dopo le lezioni o con i genitori, ma non aveva importanza: l'esercizio era servito al suo scopo. Gli studenti erano felici di se stessi e divennero sempre più uniti.
Molti anni più tardi, uno degli studenti venne ucciso in Vietnam e la sua insegnante partecipò al funerale. La chiesa era riempita dai suoi amici. Uno ad uno quelli che lo amavano si avvicinarono alla bara, e l'insegnante fu l'ultima a salutare la salma. Mentre stava lì, uno dei soldati presenti le domandò: "Lei era l'insegnante di matematica di Mark?". Lei annuì, dopodiché lui le disse: "Mark parlava di lei spessissimo".
Dopo il funerale, molti degli ex compagni di classe di Mark andarono insieme al rinfresco. I genitori di Mark stavano lì, ovviamente in attesa di parlare con la sua insegnante. " Vogliamo mostrarle una cosa ", disse il padre, estraendo un portafoglio dalla sua tasca. " Lo hanno trovato nella sua giacca quando venne ucciso. Pensiamo che possa riconoscerlo ". Aprendo il portafoglio, estrasse con attenzione due pezzi di carta che erano stati ovviamente piegati, aperti e ripiegati molte volte. L'insegnante seppe ancora prima di guardare che quei fogli erano quelli in cui lei aveva scritto tutti i complimenti che i compagni di classe di Mark avevano scritto su di lui. "Grazie mille per averlo fatto", disse la madre di Mark. " Come può vedere, Mark lo conservò come un tesoro ".
Tutti gli ex compagni di classe di Mark iniziarono ad avvicinarsi. Charlie sorrise timidamente e disse "Io ho ancora la mia lista. E' nel primo cassetto della mia scrivania a casa". La moglie di Chuck disse che il marito le aveva chiesto di metterla nell'album di nozze, e Marilyn aggiunse che la sua era conservata nel suo diario. Poi Vicki, un'altra compagna, aprì la sua agenda e tirò fuori la sua lista un po' consumata, mostrandola al gruppo: "La porto sempre con me, penso che tutti l'abbiamo conservata".
In quel momento l'insegnante si sedette, e pianse.


sabato 29 marzo 2014

37. IL VOLO LEGGERO – Francesco Callegari


Occorre essere leggeri per volare senza sforzo. Gli uccelli sono un buon esempio di volo leggero. Il loro elemento è l’aria e quando stanno sulla terra sembrano sempre un po’ a disagio. Le loro zampe minuscole tengono bene i rami degli alberi o i fili della luce, ma aiutano poco i movimenti terrestri. I loro passi imbarazzati lasciano orme appena accennate, quasi per sbaglio, come di scusa. Il segreto degli uccelli sta nel paradosso dell’assenza, ha molto a che vedere con il vuoto, si spiega togliendo e non riempiendo.
Ho conosciuto persone come uccelli, passate sulla terra in punta di piedi, senza possedere nulla, senza rovinare nulla. Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai. Il loro sguardo sfiora senza desiderio, la loro mano accarezza senza violenza, la loro parola incanta per la disarmante semplicità. Più del cielo che della terra, queste donne e questi uomini ci sono prestati per esempio, per indirizzo: il loro volo ci invita ad alzare lo sguardo.
E rimane lo stupore generato dalla gratuità, rimane lo scompiglio di fronte al silenzio, rimane la difficoltà di capire il perdersi per ritrovarsi. Noi, così pieni, così pesanti.  

Francesco Callegari   

sabato 30 marzo 2013

I DUE AMICI - Bruno Ferrero



Il più vecchio si chiamava Frank e aveva vent'anni. Il più giovane era Ted e ne aveva diciotto. Erano sempre insieme, amicissimi fin dalle elementari. Insieme decisero di arruolarsi nell'esercito. Partendo promisero a se stessi e ai genitori che avrebbero avuto cura l'uno dell'altro. Furono fortunati e finirono nello stesso battaglione.
Quel battaglione fu mandato in guerra. Una guerra terribile tra le sabbie infuocate del deserto. Per qualche tempo Frank e Ted rimasero negli accampamenti protetti dall'aviazione. Poi una sera venne l'ordine di avanzare in territorio nemico. I soldati avanzarono per tutta la notte, sotto la minaccia di un fuoco infernale. Al mattino il battaglione si radunò in un villaggio. Ma Ted non c'era. Frank lo cercò dappertutto, tra i feriti, fra i morti. Trovò il suo nome nell'elenco dei dispersi.
Si presentò al comandante: «Chiedo il permesso di andare a riprendere il mio amico», disse.
«E' troppo pericoloso», rispose il comandante. «Ho già perso il tuo amico. Perderei anche te. Là fuori stanno sparando».
Frank partì ugualmente. Dopo alcune ore trovò Ted ferito mortalmente. Se lo caricò sulle spalle. Ma una scheggia lo colpì. Si trascinò ugualmente fino al campo.
«Valeva la pena morire per salvare un morto?», gli gridò il comandante.
«Sì» sussurrò, «perché prima di morire, Ted mi ha detto: Frank, sapevo che saresti venuto».
Bruno Ferrero, Il canto del grillo

domenica 27 gennaio 2013

PADRE MORAND - Alexandre Jollien



Padre Morand aveva vissuto le due guerre mondiali, e a questo proposito mi raccontava molti aneddoti. Eccone uno che mostra bene la sua personalità. Aveva nascosto nella casa parrocchiale una famiglia di ebrei che fuggiva la Gestapo. Vedendo in lontananza la polvere sollevata dai mezzi delle SS che si avvicinavano, ebbe la presenza di spirito di saccheggiare la sua stessa casa: dopo aver provveduto a nascondere accuratamente la famiglia nel granaio, rovesciò i mobili e fracassò piatti e stoviglie a terra. Non appena la prima SS varcò la soglia della porta, padre Morand indicò il caos che lo circondava ed esclamò: "Guardate qui, i vostri colleghi hanno già perlustrato tutto, non c'è nulla a casa mia".
Grazie alla sua astuzia e audacia, le SS se ne andarono e la famiglia fu salva.
Alexandre Jollien, Elogio della debolezza, Edizioni Qiqaion, Magnano (BI)2001, p. 87-88

sabato 12 gennaio 2013

EMOZIONI POSITIVE - Dalai Lama



Credo che gestire le emozioni negative sia estremamente importante ma di per sé non  è sufficiente per risolvere i problemi. E’ necessario sviluppare e coltivare le emozioni positive. Sebbene queste emozioni positive possano non essere applicate come antidoto immediato, serviranno a preparare il bambino, o chiunque altro, ad affrontare con maggiore capacità le emozioni negative.
Rispetto a tecniche specifiche da mettere a punto, non ho alcuna idea precisa, a parte l’impatto significativo di una esposizione continuata dei bambini a un’atmosfera di amore e di compassione genuini, sia in famiglia con i genitori sia a scuola con gli insegnanti, se sinceramente attenti al benessere degli stessi bambini.
E’ molto difficile tentare di insegnare a parole ai bambini il valore e l’importanza della compassione e dell’amore. Le azioni parlano più forte delle parole.
Dalai Lama, Daniel Goleman, Emozioni distruttive, p. 334

lunedì 19 novembre 2012

LA FUGA DEL CAMMELLO - Arturo Paoli



Andavamo in carovana, guidati da nomadi, buoni conoscitori del deserto, con una truppa di cammelli che portavano gli elementi necessari per innalzare una tenda sotto cui passare la notte, le vettovaglie e l'acqua.
Tutte le mattine - immancabilmente - un cammello a turno fuggiva lontano e si sottraeva al suo lavoro quotidiano. Ci avevano avvisato di non corrergli dietro cercando di acchiapparlo, di non gridare, di lasciarlo partire tra l'indifferenza generale; di considerarlo, insomma, come un turista che si separa dal gruppo organizzato perché vuol vivere una giornata libera da programmi.
Passato il mezzogiorno si scorgeva un punto all'orizzonte che si avvicinava sempre di più: il fuggitivo tornava. Quando, dopo alcune ore dall'apparizione, il fuggitivo era abbastanza vicino al gruppo, un arabo si avvicinava a lui dolcemente, senza grida, senza recriminazioni, senza alzare le mani, e cominciava a camminargli accanto cantando sommessamente. E questo accompagnamento durava fino all'arrivo di tappa.
Il giorno dopo il transfuga di ieri era quello che offriva per primo il suo dorso, e un altro fuggiva.
Arturo Paoli, La pazienza del nulla, Milano 2012, p. 59-60.
Arturo Paoli (Lucca, 30 novembre 1912) è un missionario italiano, appartenente alla congregazione dei Piccoli Fratelli di Gesù. È Giusto tra le Nazioni per il suo impegno a favore degli ebrei perseguitati durante la seconda guerra mondiale.

venerdì 9 novembre 2012

STRADE PULITE - Silvano Agosti



“Ho notato che nelle vie delle vostre città ci sono poche automobili e nessun mezzo pesante o furgone.”
“Qui da noi, le consegne delle merci ai negozi e ai ristoranti, avvengono a notte fonda, quando le strade sono deserte. I veicoli da trasporto sono elettrici e non fanno alcun rumore”.
Il mio accompagnatore d’improvviso si allontana, apre una sorta di piccolo armadio dipinto di arancione, estrae una scopa e un minuscolo raccoglitore e spazza una parte del marciapiede.
Mi rendo conto che all’esterno di ogni palazzo o abitazione c’è questo minuscolo armadio arancione. “Fa parte della ginnastica quotidiana, indispensabile per sciogliere i muscoli. Chiunque noti per terra una qualche sporcizia, apre l’armadio e dà il suo contributo.”
Ecco come si spiega l’incredibile nitore di queste strade e di queste piazze.
Silvano Agosti, Lettere dalla Kirghisia, dalla Quarta lettera

martedì 30 ottobre 2012

BIG BUCK BUNNY - Film d'animazione del Blender Institute (9 min.)



Big Buck Bunny racconta la storia di un coniglio gigante con un cuore più grande di lui. Quando, in un giorno di sole, tre roditori lo vanno malevolmente a molestare, qualcosa scatta, e per i roditori si prospetta... un futuro incerto. 

Film realizzato interamente con software libero, rilasciato sotto la licenza Creative Commons Attribution http://www.bigbuckbunny.org/

martedì 16 ottobre 2012

PROVOCATORI DI DESIDERI - Una docente



Il post ”Il primo giorno che vorrei” di Alessandro D'Avenia ha catturato la mia attenzione perché tratta di un argomento su cui sto riflettendo da un po’ di tempo, non solo in ottica professionale: la motivazione.
In estrema sintesi, potremmo definire la motivazione come la “voglia di fare”, quella scintilla che sempre meno frequentemente la scuola è in grado di accendere nelle menti e nei cuori dei ragazzi che la frequentano.
Mi piace sostituire il termine “motivazione” con un altro che in qualche modo lo contiene, ma che non ne rappresenta necessariamente un sinonimo: mi riferisco alla parola “desiderio”. Non si tratta di una sostituzione campata in aria, ma dettata dal fascino che secondo me possiede la parola desiderio se considerata dal punto di vista etimologico.
“De – siderare” richiama infatti lo stare “sotto le stelle”, l’osservazione del cielo con un atteggiamento di attesa e di ricerca del percorso da intraprendere. Trovo molto significativo quel “de” privativo che precede “sidera” perché implica la difficoltà a seguire la rotta segnalata dalle stelle, rimandando quindi a una situazione di disorientamento e di perdita di riferimenti, ma anche e soprattutto alla spinta positiva di ricerca personale e paziente della propria stella, di un qualcosa che (ci) manca, ma che ha la forza straordinaria di guidare il nostro cammino.
Ciò che risulta davvero importante è la propensione interiore alla ricerca, all’individuazione di un proprio percorso che abbia un significato concreto per se stessi, al tentativo inesauribile di raggiungere ciò che non abbiamo. Come educatori (e non solo) penso che in generale siamo diventati incapaci di orientare il soggetto (noi stessi, ma anche chi ci circonda) verso la passione, verso il proprio desiderio, verso la propria misura della felicità, necessariamente particolare e mai universale.
Penso che le difficoltà che frequentemente si incontrano a scuola con i ragazzi, definiti spesso superficiali, svogliati, disinteressati a tutto e a tutti, risiedano proprio nell’incapacità della generazione adulta di provocare e sostenere nei giovani la ricerca personale della propria stella, del proprio orientamento nella vita: purtroppo questo avviene quasi sempre a causa dell’assenza nell’adulto stesso di un proprio desiderio. Come si può fungere da modello di qualcosa che non si incarna? Com’è possibile pretendere di accendere una scintilla laddove non si è mai vissuto il fuoco in prima persona? Come posso aspettarmi che i miei ragazzi si interessino attivamente allo studio se io per primo vivo l’aggiornamento e la formazione in servizio come un fastidioso e inutile impegno in più in agenda?
Finché non diventeremo “provocatori di desideri” incarnandone concretamente uno nostro, l’esperienza dell’educazione sia come insegnanti che come genitori sarà svuotata di senso in partenza e sarà quindi, conseguentemente e inevitabilmente, del tutto inefficace.
Un’insegnante alla ricerca della propria stella

giovedì 11 ottobre 2012

I POLITICI DELLA KIRGHISIA - Silvano Agosti



La corruzione politica si è azzerata perché in questo Paese, chi appartiene all’apparato governativo, esercita il proprio ruolo in forma di “volontariato”, semplicemente continuando a mantenere per tutta la durata del mandato politico lo stesso stipendio che percepiva nella sua precedente attività.
Quando ho saputo che ogni realtà politica nasce da una forma di volontariato, ho finalmente capito perché, ogni volta che vedo un rappresentante del parlamento italiano parlare alla televisione, c’è qualcosa sul suo volto che rivela un’incolmabile lontananza da ciò che sta dicendo.
Ecco, ora mi è chiaro che chiunque abbia, come i nostri deputati occidentali, uno stipendio minimo di quaranta milioni di lire (circa 20.000 euro) al mese, non può in alcun modo essere convincente, in ciò che dice, pensa o fa.
Qui in Kirghisia, la possibilità di dedicare quotidianamente alla vita almeno mezza giornata ha consentito la realizzazione di rapporti completamente nuovi tra padri e figli, tra colleghi di lavoro e vicini di casa.
Finalmente i genitori hanno il tempo di conoscersi veramente tra loro e di frequentare i propri figli.
I parchi sono ogni giorno ricolmi di persone e il traffico stradale è oltre quattro volte inferiore, dato il variare degli orari di lavoro.
Le fabbriche sono in attività produttiva continua, ma chi fa i turni di notte lavora solo due ore.
Già al terzo anno di questa singolare esperienza è stato rilevato un fenomeno molto importante. Il consumo di droghe, sigarette, alcolici è diminuito in modo quasi totale e i farmaci rimangono in gran parte invenduti.
Certo, tutto ciò può sembrare incredibile a chi, come voi cari amici, è costretto a credere che l’attuale organizzazione dell’esistenza in occidente sia la sola possibile.
In Kirghisia, la gestione dello Stato, oltre a essere una forma di volontariato, si esprime in due governi, uno si occupa della gestione quotidiana della cosa pubblica, l’altro si dedica esclusivamente al miglioramento delle strutture.
Ho incontrato il Ministro per il Miglioramento delle Attività lavorative che ha in progetto, nel prossimo quinquennio, di ridurre ulteriormente per tutti il lavoro obbligatorio a due ore al giorno invece delle attuali tre.
Il Ministro è convinto che solo una umanità liberata dal lavoro possa essere veramente produttiva.
È anche certo che si possa scoprire l’operosità del fare, solo realizzando, nel tempo libero, ciò che si desidera.
Ho fatto bene a decidere di rimanere in Kirghisia, e non me ne andrò finché continuerò ad avere la strana sensazione di vivere, qui, all’interno di un sogno comune.
Un abbraccio a tutti.
Silvano Agosti, Lettere dalla Kirghisia, dalla Prima lettera

sabato 22 settembre 2012

IL PRIMO GIORNO CHE VORREI - Alessandro D’Avenia


Che cosa avrei voluto sentirmi dire il primo giorno di scuola dai miei professori o cosa vorrei che mi dicessero se tornassi studente? Il racconto delle vacanze? No. Quelle dei miei compagni? No. Saprei già tutto. Devi studiare? Sarà difficile? Bisognerà impegnarsi di più? No, no grazie. Lo so. Per questo sto qui, e poi dall’orecchio dei doveri non ci sento. Ditemi qualcosa di diverso, di nuovo, perché io non cominci ad annoiarmi da subito, ma mi venga almeno un po’ voglia di cominciarlo, quest’anno scolastico. Dall’orecchio della passione ci sento benissimo.
Dimostratemi che vale la pena stare qui per un anno intero ad ascoltarvi. Ditemi per favore che tutto questo c’entra con la vita di tutti i giorni, che mi aiuterà a capire meglio il mondo e me stesso, che insomma ne vale la pena di stare qua. Dimostratemi, soprattutto con le vostre vite, che lo sforzo che devo fare potrebbe riempire la mia vita come riempie la vostra. Avete dedicato studi, sforzi e sogni per insegnarmi la vostra materia, adesso dimostratemi che è tutto vero, che voi siete i mediatori di qualcosa di desiderabile e indispensabile, che voi possedete e volete regalarmi. Dimostratemi che perdete il sonno per insegnare quelle cose che – dite – valgono i miei sforzi. Voglio guardarli bene i vostri occhi e se non brillano mi annoierò, ve lo dico prima, e farò altro. Non potete mentirmi. Se non ci credete voi, perché dovrei farlo io?
E non mi parlate dei vostri stipendi, del sindacato, della Gelmini, delle vostre beghe familiari e sentimentali, dei vostri fallimenti e delle vostre ossessioni. No. Parlatemi di quanto amate la forza del sole che brucia da 5 miliardi di anni e trasforma il suo idrogeno in luce, vita, energia. Ditemi come accade questo miracolo che durerà almeno altri 5 miliardi di anni. Ditemi perché la luna mi dà sempre la stessa faccia e insegnatemi a interrogarla come il pastore errante di Leopardi. Ditemi come è possibile che la rosa abbia i petali disposti secondo una proporzione divina infallibile e perché il cuore è un muscolo che batte involontariamente e come fa l’occhio a trasformare la luce in immagini. Ci sono così tante cose in questo mondo che non so e che voi potreste spiegarmi, con gli occhi che vi brillano, perché solo lo stupore conosce.
E ditemi il mistero dell’uomo, ditemi come hanno fatto i Greci a costruire i loro templi che ti sembra di essere a colloquio con gli dei, e come hanno fatto i Romani a unire bellezza e utilità come nessun altro. E ditemi il segreto dell’uomo che crea bellezza e costringe tutti a migliorarsi al solo respirarla. Ditemi come ha fatto Leonardo, come ha fatto Dante, come ha fatto Magellano. Ditemi il segreto di Einstein, di Gaudì e di Mozart. Se lo sapete, ditemelo.
Ditemi come faccio a decidere che farci della mia vita, se non conosco quelle degli altri. Ditemi come fare a trovare la mia storia, se non ho un briciolo di passione per quelle che hanno lasciato il segno. Ditemi per cosa posso giocarmi la mia vita. Anzi no, non me lo dite, voglio deciderlo io, voi fatemi vedere il ventaglio di possibilità. Aiutatemi a scovare i miei talenti, le mie passioni e i miei sogni. E ricordatevi che ci riuscirete solo se li avete anche voi i vostri sogni, progetti, passioni. Altrimenti come farò a credervi? E ricordatemi che la mia vita è una vita irripetibile, fatta per la grandezza, e aiutatemi a non accontentarmi di consumare piccoli piaceri reali e virtuali, che sul momento mi soddisfano, ma sotto sotto sotto mi annoiano.
Sfidatemi, mettete alla prova le mie qualità migliori, segnatevele su un registro, oltre a quei voti che poi rimangono sempre gli stessi. Aiutatemi a non illudermi, a non vivere di sogni campati in aria, ma allo stesso tempo insegnatemi a sognare e ad acquisire la pazienza per realizzarli quei sogni, facendoli diventare progetti.
Insegnatemi a ragionare, perché non prenda le mie idee dai luoghi comuni, dal pensiero dominante, dal pensiero non pensato. Aiutatemi a essere libero. Ricordatemi l’unità del sapere e non mi raccontate solo l’unità d’Italia, ma siate uniti voi dello stesso consiglio di classe: non parlate male l’uno dell’altro, vi prego. E ricordatemelo quanto è bello questo Paese, parlatemene, fatemi venire voglia di scoprire tutto quello che nasconde prima ancora di desiderare una vacanza a Miami. Insegnatemi i luoghi prima dei non luoghi. E per favore, un ultimo favore, tenete ben chiuso il cinismo nel girone dei traditori. Non nascondetemi le battaglie, ma rendetemi forte per poterle affrontare e non avvelenate le mie speranze, prima ancora che io le abbia concepite. Per questo, un giorno, vi ricorderò.

Alessandro D'Avenia, “Avvenire”, 10 settembre 2012

domenica 16 settembre 2012

LA RACCOGLITRICE - Anthony De Mello



Una famiglia di cinque persone si stava godendo una giornata sulla spiaggia. I bambini facevano il bagno nell'oceano e costruivano castelli di sabbia, quando comparve in lontananza una vecchina. I capelli grigi le volavano con il vento e gli abiti erano sporchi e stracciati. Mormorava qualcosa fra sé e sé e intanto raccoglieva oggetti nella sabbia e li metteva in un sacco.
I genitori chiamarono i bambini vicino a sé e raccomandarono loro di stare lontani dalla vecchietta. Quando passò accanto a loro, curvandosi di tanto in tanto per raccogliere roba, ella sorrise alla famiglia. Ma essi non ricambiarono il suo saluto.
Molte settimane dopo vennero a sapere che la vecchina da sempre si era assunta il compito di raccogliere pezzetti di vetro sulla spiaggia per evitare ai bambini di ferirsi i piedi.
Anthony De Mello

sabato 8 settembre 2012

MAESTRI PER SEMPRE - Umberto Folena



Un'aula luminosa è migliore di un'aula tenebrosa. Una classe di venti studenti è preferibile a una classe di trenta. Un istituto con un dirigente tutto per lui è una fortuna, un dirigente diviso tra mezza dozzina di istituti è una mezza sciagura. Un professore che segue la sua classe dal primo all'ultimo anno è decisamente augurabile, malaugurata è quella classe che avrà una grandinata di professori tutti di passaggio. Meglio avere fotocopiatrici funzionanti e dotate di carta; aule specializzate, palestre attrezzate. Meglio, molto meglio. Guai a sottovalutare i problemi strutturali che angustiano la scuola italiana.
Ma all'inizio di un nuovo anno scolastico va ricordato che tutto, assolutamente tutto è vano se a mancare, a vacillare, a fallire è la componente decisiva, la sola che può rendere memorabile, fondamentale, indimenticabile un'esperienza scolastica: gli insegnanti, che d'ora in poi chiameremo semplicemente maestri, in senso proprio e in senso lato. Se il maestro c'è, ed è vivo, anche una scuola fatiscente può diventare una reggia. Ma se il maestro è assente, anche una reggia diventa fredda e vuota, inodore e insapore. La scuola italiana ha bisogno di tantissime cose. Ma la prima, quella assolutamente indispensabile, sono i maestri. È una verità solare, eppure mai abbastanza ricordata. La persona è importante ovunque: in fabbrica, in ufficio, nei servizi... ma nella scuola conta per il novanta per cento a spanne nella riuscita dell'«impresa educativa».

Chi è un «maestro vivo»? Un alunno di 7 anni descrisse così le sue maestre: «Sono degli zombi». L'espressione, che fa sorridere, purtroppo era tanto plastica quanto reale. Maestre senza alcuna passione, senza calore, senza vita. Forse preparatissime, ma del tutto incapaci di trasmettere il gusto di apprendere, il piacere di sapere e di crescere. Maestre a cui mai un bambino avrebbe fatto un confidenza, e che mai ricorderà con gratitudine e affetto.
La grande maggioranza degli studenti, oggi, è disposta a dare molto, perfino tutto. Ma soltanto a chi, a sua volta, dia tutto a loro. A maestri veri, che conoscono la materia ma la sanno anche insegnare; che considerano gli studenti persone, non numeri; persone con cui entrare in comunicazione. Sono esigenti, i ragazzi, almeno quanto i più esigenti tra i professori. I loro giudizi sui professori zombi, i «maestri mancati», sono impietosi. Studenti si alzano in piedi e chiedono, con educata sfrontatezza: «Professore, quando si deciderà a insegnarci qualcosa?». È davvero accaduto in un liceo del Nordest. Una delle tante loro provocazioni che mettono a nudo i maestri. Non si finge, in classe. Se non hai passione, se dai il minimo, se tiri a campare, se ne accorgono tutti, e ti giudicano, e ti liquidano. Non dai niente? Per me non sei niente. E nessuna traccia lascerai nella mia memoria.
Ai maestri piaccia loro o no bisogna dire: niente alibi, la scuola siete innanzitutto voi: esigete molto dai vostri studenti, ma solo se siete disposti a dare loro tutto. E agli studenti va detto: esigete moltissimo dai vostri maestri, ma solo se siete disposti a dare altrettanto. Una scuola memorabile nasce e vive e cresce su questo patto. E per tutti gli adulti, infine, valga quanto un maestro professore, genitore, artista come Roberto Vecchioni canta nella sua canzone-invettiva Comici spaventati guerrieri: «I ragazzi nascondono lacrime sospese / come gatte gelose dei tigli / hanno un bagaglio di speranze deluse / come onde che s'infrangono sugli scogli». Quelle lacrime vanno fatte affiorare, perché possano asciugarsi; e quelle speranze vanno alimentate e fatte fiorire. «E vorrebbero amare / domani come ieri», conclude Vecchioni. 
La scuola dei veri maestri e dei ragazzi «guerrieri» è un atto d'amore: amore per se stessi, amore per il sapere, amore per gli altri.

Umberto Folena, Avvenire, 6 settembre 2012

giovedì 28 giugno 2012

L'ISTRUZIONE E' COSA AMMIREVOLE - Oscar Wilde



L’istruzione è cosa ammirevole, ma ogni tanto ci farebbe bene ricordare che spesso non si può insegnare quel che veramente vale la pena di conoscere.

Oscar Wilde, Il critico come artista

martedì 29 maggio 2012

I GIOVANI E LA SPERANZA - Ernesto Olivero



«Chi punta solo sui giovani senza mettere in discussione il sistema che noi adulti ci siamo dati, sbaglia. I giovani sono il frutto di questo mondo di adulti che non è stato capace di dire che la droga è sbagliata, che rubare è sbagliato, che passare sul cadavere di un altro per fare carriera è sbagliato…
Quindi abbiamo una generazione dei giovani che, negli anni a venire, rischia di essere peggiore degli adulti di oggi. A meno che questi facciano autocritica e chiedano scusa. Allora i giovani avranno ancora la voglia di rimettersi in gioco.
Io dico loro: “Entrate nel partito che volete, ma portate la vostra etica e i vostri sogni… Non abbandonate i sogni”. Ma oggi i giovani non sognano più, e sono gli adulti che li hanno rovinati. Dunque è questa riconciliazione che dobbiamo operare”.
Ernesto Olivero, Intervista al Festival biblico 2012
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