Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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venerdì 15 aprile 2016

NON PREOCCUPATEVI PER IL DOMANI – Dale Carnegie (1888-1955)


Quando chiesi a K. T. Keller, che era allora presidente della Chrysler Corporation, come facesse a evitare le ansie, lui replicò: “Quando mi trovo a fronteggiare una situazione scabrosa, se posso farci qualcosa, la faccio. Se non è possibile, la dimentico. Non mi agito per il futuro, perché so che nessun essere vivente può immaginarsi come sarà il domani. Ci sono tante forze e fattori di mezzo. Nessuno è capace di dirne l’origine, o capirli. Quindi, Perché preoccuparsi?”
K. T. Keller non si considera un filosofo. E’ un ottimo uomo d’affari, anche se possiede la stessa filosofia che Epitteto insegnava a Roma diciannove secoli or sono. “C’è un solo modo per essere felici,” sosteneva Epitteto, “ed è di smettere di agitarsi per cose che si trovano al di là del nostro potere d’intervento”.
Dale Carnegie, Come vincere lo stress e cominciare a vivere, 1944, ed. it. Bompiani, Milano 1994/2015, p. 102-103.


domenica 3 gennaio 2016

RESTANO TRE COSE – Fernando Pessoa (1888-1935)


Di tutto restano tre cose:
la certezza
che stiamo sempre iniziando,
la certezza
che abbiamo bisogno di continuare,
la certezza
che saremo interrotti prima di finire.
Pertanto, dobbiamo fare:
dell’interruzione, un nuovo cammino,
della caduta, un passo di danza,
della paura, una scala,
del sogno, un ponte,
del bisogno... un incontro.


"DE TODO, QUEDARON TRES COSAS"

la certeza de que estaba siempre comenzando,
la certeza de que había que seguir
y la certeza de que sería interrumpido 
antes de terminar.

Hacer de la interrupción un camino nuevo,
hacer de la caida, un paso de danza,
del miedo, una escalera,
del sueño, un puente, de la búsqueda,...un encuentro

Fernando Pessoa


mercoledì 26 marzo 2014

OCCORRE VOLARE – Pablo Neruda


Occorre volare in questo tempo, dove?
Senz'ali, senz'aereo, volare indubbiamente:
ormai i passi passarono senza rimedio,
non elevarono i piedi del viandante.

Occorre volare a ogni istante come
le aquile, le mosche e i giorni,
occorre vincere gli occhi di Saturno
e stabilire lì nuove campane.

Ormai non bastan più scarpe né strade,
ormai non serve la terra agli erranti,
ormai attraversaron la notte le radici,

e tu apparisti in altra stella
determinatamente transitoria,

trasformata alla fine in un papavero.


Hay que volar en este tiempo, a dónde?
Sin alas, sin avión, volar sin duda:
ya los pasos pasaron sin remedio,
no elevaron los pies del pasajero.
Hay que volar a cada instante como
las águilas, las moscas y los días,
hay que vencer los ojos de Saturno
y establecer allí nuevas campanas.
Ya no bastan zapatos ni caminos,
ya no sirve la tierra a los errantes,
ya cruzaron la noche las raíces,
y tú aparecerás en otra estrella
determinadamente transitoria
convertida por fin en amapola.

Pablo Neruda

mercoledì 29 gennaio 2014

RIEMPITI GLI OCCHI DI MERAVIGLIE – Ray Bradbury


Riempiti gli occhi di meraviglie, vivi come se dovessi cadere morto fra dieci secondi!
Guarda il mondo: è più fantastico di qualunque sogno studiato e prodotto dalle più grandi fabbriche.
Non chiedere garanzie, non chiedere sicurezza economica, un siffatto animale non è mai esistito; e se ci fosse, sarebbe imparentato col pesante bradipo che se ne sta attaccato alla rovescia al ramo di un albero per tutto il santo giorno, ogni giorno, passando l'intera vita a dormire. Al diavolo - diceva il nonno - squassa l'albero e fa' che il pesante bradipo precipiti al suolo e batta per prima cosa il culo!

Ray Bradbury, Fahreneit 451, p. 186

mercoledì 6 novembre 2013

2/4. LA SCUOLA INSEGNI A VIVERE - Edgar Morin


Il compito della scuola è aiutare a imparare a vivere. Certi insegnamenti non fanno parte delle discipline, ma permettono di integrarle. Che cos'è, essere umani? Oggi, in mancanza di pedagogia, questa domanda rimane completamente scollata dal resto. Essere umani è senz'altro essere un individuo, ma un individuo che fa parte di una società e di cui anche la società fa parte. Da quando si nasce, ci viene inculcato infatti il linguaggio, la cultura, ciò che si deve fare, non fare ecc...
In effetti, il nostro essere è costituito da tre parti in una: membro di una società, membro di una specie e individuo.
Secondo me, conoscere la nostra natura umana è dunque essenziale. E questo passa per forza attraverso l'insegnamento dell'incertezza. Ci si rende conto oggi che ci sono fenomeni che non si possono controllare, così nelle discipline come nella microfisica. Si è certi della morte, ma non si sa quando arriverà. Ci si sposa, si pensa che si sarà felici, ma potrebbe essere un matrimonio orribile. Si cerca il lavoro senza essere sicuri di trovarlo...
L'incertezza fa parte del destino umano, ma nessuno è preparato per affrontarla.
A mio avviso, la riforma dell'insegnamento deve anzitutto andare in questa direzione.

Tratto da Avvenire, 25 ottobre 2013

sabato 19 gennaio 2013

PENTESILEA - Italo Calvino


Per parlarti di Pentesilea dovrei cominciare a descriverti l'ingresso nella città. Tu certo immagini di vedere levarsi dalla pianura polverosa una cinta di mura, d'avvicinarti passo passo alla porta, sorvegliata dai gabellieri che già guatano storto ai tuoi fagotti. Fino a che non l'hai raggiunta ne sei fuori; passi sotto un archivolto e ti ritrovi dentro la città; il suo spessore compatto ti circonda; intagliato nella sua pietra c'è un disegno che ti si rivelerà se ne segui il tracciato tutto spigoli.
Se credi questo, sbagli: a Pentesilea è diverso. Sono ore che avanzi e non ti è chiaro se sei già in mezzo alla città o ancora fuori. Come un lago dalle rive basse che si perde in acquitrini, così Pentesilea si spande per miglia intorno in una zuppa di città diluita nella pianura: casamenti pallidi che si dànno le spalle in prati ispidi, tra steccati di tavole e tettoie di lamiera. Ogni tanto ai margini della strada un infittirsi di costruzioni dalle magre facciate, alte alte o basse basse come in un pettine sdentato, sembra indicare che di là in poi le maglie della città si restringono. Invece tu prosegui e ritrovi altri terreni vaghi, poi un sobborgo arrugginito d'officine e depositi, un cimitero, una fiera con le giostre, un mattatoio, ti inoltri per una via di botteghe macilente che si perde tra chiazze di campagna spelacchiata.
La gente che s'incontra, se gli chiedi: - Per Pentesilea? - fanno un gesto intorno che non sai se voglia dire: "Qui", oppure: "Più in là", o: "Tutt'in giro", o ancora: "Dalla parte opposta".
- La città, - insisti a chiedere.
- Noi veniamo qui a lavorare tutte le mattine, - ti rispondono alcuni, e altri: - Noi torniamo qui a dormire.
- Ma la città dove si vive? - chiedi.
- Dev'essere, - dicono, - per lí, - e alcuni levano il braccio obliquamente verso una concrezione di poliedri opachi, all'orizzonte, mentre altri indicano alle tue spalle lo spettro d'altre cuspidi.
- Allora l'ho oltrepassata senza accorgermene?
- No, prova a andare ancora avanti.
Così prosegui, passando da una periferia all'altra, e viene l'ora di partire da Pentesilea. Chiedi la strada per uscire dalla città; ripercorri la sfilza dei sobborghi sparpagliati come un pigmento lattiginoso; viene notte; s'illuminano le finestre ora più rade ora più dense.
Se nascosta in qualche sacca o ruga di questo slabbrato circondario esista una Pentesilea riconoscibile e ricordabile da chi c'è stato, oppure se Pentesilea è solo periferia di se stessa e ha il suo centro in ogni luogo, hai rinunciato a capirlo. La domanda che adesso comincia a rodere nella tua testa è più angosciosa: fuori da Pentesilea esiste un fuori? O per quanto ti allontani dalla città non fai che passare da un limbo all'altro e non arrivi a uscirne?
Italo Calvino, Le città invisibili, p. 162-163 

sabato 29 settembre 2012

venerdì 17 agosto 2012

3. LA STORIA DI ASLAM - Greg Mortenson



Il fiume in piena
Giunti alla fine del sentiero, sulla riva dello Shyok, Mohammed mise al collo del figlio una tasca di cuoio contenente due monete d’oro. “Quando, Inshallah, arriverai alla città di Khaplu, troverai una scuola. Dai al Sahib che la dirige queste monete per pagare la tua istruzione”.
“Quando tornerò a casa?” chiese Aslam, cercando di controllare il tremito delle labbra.
“Lo saprai più avanti” rispose il padre. Mohammed gonfiò sei vesciche di capra e le legò insieme a formare uno zaks, una specie di gommone usato dai baltì per guadare un fiume troppo profondo per essere attraversato a piedi. “Adesso tieniti forte” disse.
Aslam non sapeva nuotare.
“Quando mio padre mi mise in acqua non riuscii a controllarmi e mi misi a gridare. Era un uomo forte e orgoglioso, ma mentre la corrente dello Shyok mi portava via, vidi che anche i suoi occhi si erano riempiti di lacrime”.
Greg Mortenson, David Oliver Relin, Tre tazze di tè, Milano 2008, p. 298-299

giovedì 16 agosto 2012

2. LA STORIA DI ASLAM - Greg Mortenson




Andrai a scuola!
A fine primavera, quando il cattivo tempo era passato, ma lo Shyok continuava a scorrere rapido e gonfio per il disgelo, Mohammed svegliò suo figlio prima dell’alba e gli disse di prepararsi a lasciare il villaggio. Aslam non riusciva a capire che cosa intendesse. Ma quando vide che suo padre gli aveva preparato una valigia, avvolgendo un blocco di churpa, un formaggio di pecora duro, in un fagotto di vestiti, cominciò a piangere.
“Andrai a scuola” disse suo padre.
Aslam camminò due giorni insieme al padre, scendendo dalle montagne. Come ogni ragazzo di Hushe, aveva già percorso gli stretti sentieri di montagna, aggrappati alle pareti come viticci di edera. Ma non era mai stato così lontano da casa. Laggiù la terra era sabbiosa e senza neve. Ma alle sue spalle il Masherbrum aveva perso la rassicurante grandezza che lo collocava al centro dell’universo conosciuto. Era solo una montagna tra le tante.
Greg Mortenson, David Oliver Relin, Tre tazze di tè, Milano 2008, p. 298

lunedì 28 maggio 2012

GIOVENTU' LIQUIDA, Zygmunt Bauman



«Questa è la preoccupazione  maggiore. I giovani non sono stati preparati, dalla lezione di chi è più vecchio, al mondo in cui entrano. Sono cresciuti attendendosi un mondo in cui il livello raggiunto dai loro genitori dovrebbe essere solo il punto di partenza per i loro sforzi finalizzati a superare e a lasciarsi dietro gli standard di vita già raggiunti; hanno bisogno di affrontare una realtà che li costringe a difendere e ricreare il benessere che i loro genitori hanno raggiunto – un compito che loro considerano schiacciante e fuori dalla loro portata.
I lavori redditizi e la sicurezza della navigazione attraverso la vita, promessi a quanti acquisiscono le giuste credenziali educative, sono in una disponibilità scandalosamente bassa. Hanno lavorato duramente per ottenere quelle credenziali – ma per non servirsene.
Loro si confrontano con un mondo inospitale, noto per il fatto di ritirare le proprie promesse e per minacciarli invece con un futuro che non possono prevedere e tanto meno controllare».
Zygmunt Bauman, Intervista al Festival biblico 2012

sabato 26 maggio 2012

IL TIMONE AI GIOVANI - Carl Gustav Jung (1875-1961)



Nei momenti di grande instabilità e mutamento è logico che siano i giovani a prendere il timone, perché sono i giovani a possedere audacia, energia e spirito di avventura. Oltretutto è il loro futuro che è in gioco. Questo è il loro azzardo, il loro esperimento.
Altrettanto naturalmente la vecchia generazione di schiera contro, anche se l’esperienza di vita dovrebbe averle insegnato che è necessario assecondare questo inevitabile corso di eventi. La vecchia generazione ha già avuto il suo momento. E la spaccatura tra le generazioni è dovuta precisamente al fatto che la vecchia generazione non ha saputo assecondare i tempi e, anziché prevederla, si è lasciata sopraffare dalla tempesta della nuova èra.
Carl Gustav Jung, in Jung parla

mercoledì 16 maggio 2012

SFRUTTATE I MALUMORI - Julie Norem



Sfruttate il pessimismo, propone Julie Norem, professoressa di psicologia al Wellesley College, nel Massachusetts. «I pessimisti stanno sulla difensiva e si aspettano sempre il peggio, sprecando preziose energie mentali a figurarsi come potrebbero andar storte le cose. Ma nel far questo, hanno maggiori probabilità di raggiungere i loro obiettivi. È una tattica utile che raccomando a tutti. Immaginate che cosa possa andar di traverso in una situazione, studiando accuratamente tutti i dettagli. Se vi sentite nervosi all’idea di parlare in pubblico, siate più specifici: che cosa vi spaventa, armeggiare con gli appunti o inciampare sui gradini del podio? Allora cercate immaginare la tappa successiva: se lasciate cadere le carte, temete che qualcuno si metta a ridere? Grazie a questa strategia, sarete in grado di spostare l’attenzione dalle emozioni ai fatti, e rifletterete su come evitare (o affrontare) eventuali esiti negativi».

Hannah Booth

sabato 31 marzo 2012

LA STRADA CHE NON ANDAVA IN NESSUN POSTO - Gianni Rodari

Sentiero a Bassano del Grappa (2009)


All'uscita del paese si dividevano tre strade: una andava verso il mare, la seconda verso la città e la terza non andava in nessun posto.
Martino lo sapeva perché l'aveva chiesto un po' a tutti,e da tutti aveva avuto la stessa risposta:- Quella strada lì? Non va in nessun posto. È inutilecamminarci.
- E fin dove arriva?
- Non arriva da nessuna parte.
- Ma allora perché l'hanno fatta?
- Non l'ha fatta nessuno, è sempre stata lì.
- Ma nessuno è mai andato a vedere?
- Sei una bella testa dura: se ti diciamo che non c'è niente da vedere...
- Non potete saperlo, se non ci siete stati mai.
Era così ostinato che cominciarono a chiamarlo Martino Testadura, ma lui non se la prendeva e continuava a pensare alla strada che non andava in nessun posto.
Quando fu abbastanza grande da attraversare la strada senza dare la mano al nonno, una mattina si alzò per tempo, uscì dal paese e senza esitare imboccò la strada misteriosa e andò sempre avanti. Il fondo era pieno di buche e di erbacce, ma per fortuna non pioveva da un pezzo, così non c'erano pozzanghere. A destra e a sinistra si allungava una siepe, ma ben presto cominciarono i boschi. I rami degli alberi si intrecciavano al di sopra della strada e formavano una galleria oscura e fresca,nella quale penetrava solo qua e là qualche raggio di sole a far da fanale.
Cammina e cammina, la galleria non finiva mai, la strada non finiva mai, a Martino dolevano i piedi, e già cominciava a pensare che avrebbe fatto bene a tornarsene indietro quando vide un cane.
«Dove c'è un cane c'è una casa, - rifletté Martino, - o per lo meno un uomo».
Il cane gli corse incontro scodinzolando e gli leccò le mani, poi si avviò lungo la strada e ad ogni passo si voltava per controllare se Martino lo seguiva ancora.
- Vengo, vengo, - diceva Martino, incuriosito. Finalmente il bosco cominciò a diradarsi, in alto riapparve il cielo e la strada terminò sulla soglia di un grande cancello di ferro.
Attraverso le sbarre Martino vide un castello con tutte le porte e le finestre spalancate, e il fumo usciva da tutti i comignoli, e da un balcone una bellissima signora salutava con la mano e gridava allegramente:
- Avanti, avanti, Martino Testadura!
- Toh, - si rallegrò Martino, - io non sapevo che sarei arrivato, ma lei sì.
Spinse il cancello, attraversò il parco ed entrò nel salone del castello in tempo per fare l'inchino alla bella signora che scendeva dallo scalone. Era bella, e vestita anche meglio delle fate e delle principesse, e in più era proprio allegra e rideva:
- Allora non ci hai creduto.
- A che cosa?
- Alla storia della strada che non andava in nessun posto.
- Era troppo stupida. E secondo me ci sono anche più posti che strade.
- Certo, basta aver voglia di muoversi. Ora vieni, ti farò visitare il castello.
C'erano più di cento saloni, zeppi di tesori d'ogni genere, come quei castelli delle favole dove dormono le belle addormentate o dove gli orchi ammassano le loro ricchezze. C'erano diamanti, pietre preziose, oro, argento,e ogni momento la bella signora diceva: - Prendi, prendi quello che vuoi. Ti presterò un carretto per portare il peso.
Figuratevi se Martino si fece pregare. Il carretto era ben pieno quando egli ripartì. A cassetta sedeva il cane,che era un cane ammaestrato, e sapeva reggere le briglie e abbaiare ai cavalli quando sonnecchiavano e uscivano di strada.
In paese, dove l'avevano già dato per morto, Martino Testadura fu accolto con grande sorpresa. Il cane scaricò in piazza tutti i suoi tesori, dimenò due volte la coda insegno di saluto, rimontò a cassetta e via, in una nuvola di polvere. Martino fece grandi regali a tutti, amici e nemici,e dovette raccontare cento volte la sua avventura, e ogni volta che finiva qualcuno correva a casa a prendere carretto e cavallo e si precipitava giù per la strada che non andava in nessun posto.
Ma quella sera stessa tornarono uno dopo l'altro, con la faccia lunga così per il dispetto: la strada, per loro, finiva in mezzo al bosco, contro un fitto muro d'alberi, in un mare di spine. Non c'era più né cancello, né castello, né bella signora. Perché certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova, e il primo era stato Martino Testadura.

Gianni Rodari, Favole al telefono, Torino 1962, p. 52-54

sabato 10 marzo 2012

SOFRONIA - Italo Calvino

Place de l'Hotel de Ville, Parigi (2012)

La città di Sofronia si compone di due mezze città. In una c'è il grande ottovolante dalle ripide gobbe, la giostra con raggiera di catene, la ruota delle gabbie girevoli, il pozzo della morte coi motociclisti a testa in giù, la cupola del circo col grappolo dei trapezi che pende in mezzo. L'altra mezza città è di pietra e marmo e cemento, con la banca, gli opifici, i palazzi, il mattatoio, la scuola e tutto il resto. Una delle mezze città è fissa, l'altra è provvisoria e quando il tempo della sua sosta è finito la schiodano e la portano via, per trapiantarla nei terreni vaghi d'un'altra mezza città.
Così ogni anno arriva il giorno in cui i manovali staccano i frontoni di marmo, calano i muri di pietra, i piloni di cemento, smontano il ministero, il monumento, i docks, la raffineria di petrolio, l'ospedale, li caricano sui rimorchi, per seguire di piazza in piazza l'itinerario d'ogni anno. Qui resta la mezza Sofronia dei tirassegni e delle giostre, con il grido sospeso dalla navicella dell'ottovolante a capofitto, e comincia a contare quanti mesi, quanti giorni dovrà aspettare prima che ritorni la carovana e la vita intera ricominci.
Italo Calvino, Le città invisibili, p. 69

mercoledì 15 febbraio 2012

LA CRISI E LE IDEE - Albert Einstein


Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose.
La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi.
La creatività nasce dall'angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura.
E' nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie.
Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato.
Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni.
La vera crisi è la crisi dell'incompetenza.
L'inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie d'uscita.
Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia.
Senza crisi non c'è merito.
E' nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono lievi brezze.
Parlare di crisi significa incrementarla e tacere nella crisi è esaltare il conformismo.
Invece, lavoriamo duro.
Finiamola una volta per tutto con l'unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.

ALBERT EINSTEIN

lunedì 6 febbraio 2012

DlSCORSO SUL P.I.L. - Robert Kennedy



"Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto nazionale lordo (PIL).
Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti.
Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese.
Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere Americani."

Discorso di Robert Kennedy, 18 marzo 1968, Università del Kansas

venerdì 3 febbraio 2012

BEN PIU' FORTE DELLA FORTUNA - Seneca


Sbaglia, o Lucilio, chi attribuisce alla fortuna il potere di farci del bene o del male. Essa fornisce solo la materia dei nostri beni e dei nostri mali; ci dà gli elementi di ciò che si svilupperà in noi sotto forma di male o di bene. L’anima è ben più forte della fortuna; è lei a dirigere le cose in un senso o nell’altro; è lei la causa della sua felicità o della sua infelicità. Se è cattiva, volge tutto in male, anche ciò che le era apparso il più gran bene; se è retta e sana, corregge i mali della fortuna, ne raddolcisce e sa tollerarne le asprezze, accettando con gratitudine e con moderazione la prosperità, con fermezza e coraggio le disgrazie. Ma, per quanto essa sia saggia, per quanto agisca sempre dopo maturo esame, per quanto stia attenta a non tentare niente al di sopra delle sue forze, non otterrà quel bene inalterabile e sicuro da ogni minaccia se non avrà da opporre ben salda la sua certezza all’incertezza delle cose.
Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio

giovedì 26 gennaio 2012

ANCORA A BARBIANA - Eugenio Bastianon


Era il 1967 quando usciva “Lettera a una professoressa”, l’entusiasmante narrazione dell’esperienza educativa della scuola di Barbiana, promossa e condotta da don Lorenzo Milani, una “provocazione” radicale e ineludibile per il sistema scolastico italiano. Il libro percorre sostanzialmente due piste di lavoro. La prima è testimoniare l’importanza del promuovere la crescita cognitiva, emotiva, sociale delle bambine e dei bambini di prima media fino ad avere di fronte giovani donne e giovani uomini. Significa aver a che fare ogni giorno con proprietà emergenti, guidare l’elaborazione a 360 gradi delle scoperte più entusiasmanti, e delle delusioni più cocenti, purtroppo anche queste a 360 gradi. La seconda è la denuncia di un sistema scolastico che produceva fallimenti formativi, abbandoni.

LO STATO DELL’ARTE
Poteva essere una denuncia per molti aspetti tardiva visto che nel 1962 era già stata approvata la riforma della scuola media, con la costituzione della scuola media unificata, che “Lettera ad una professoressa” non manca di ricordare. E, invece, è, per molti aspetti, una denuncia ancora attuale. Nel 2005 la percentuale dei “dispersi” del sistema scolastico europeo è stata pari al 14,9%, in Italia al 21,9%. Non ci si può neppure illudere che la scarsa capacità di recuperare i ritardi abbia come corrispettivo la capacità di coltivare le eccellenze. In questo senso sembrano andare i test OCSE-PISA. Su tutto questo mi permetto di rinviare alle mie riflessioni pubblicate nello “Speciale” di Education 2.0 del 2010.

TENTIAMO UN’ANALISI
Vale dunque la pena tentare un’analisi delle criticità attualmente rappresentate dalla scuola media per l’intero sistema scolastico italiano. La scuola media è una scuola che:
• non sa dov’è
• non sa cos’è
• non sa cosa deve fare.

NON SA DOV’È
Fin dalla collocazione nell’architettura complessiva del sistema di istruzione e formazione, la scuola media si trova nel paradosso: è una scuola secondaria che però appartiene al ciclo primario. Non è un problema da poco, perché l’incertezza sulla collocazione significa anche incertezza sui modi e sulle finalità di approccio alle discipline. Cerco di esemplificare: approccio per grandi aree, come nella scuola primaria? O, piuttosto, approccio per saperi specializzati, come nella scuola secondaria e, progressivamente, fino all’università, dove, del resto, la frammentazione finisce spesso per esplodere?

NON SA COS’È
La scuola media è ancora organizzata come scuola di completamento dell’obbligo scolastico/ formativo: questo è il motivo per cui si chiude con un esame.
In realtà, però, non è così: pur in modi diversi l’obbligo scolastico/formativo continua dopo la scuola media. Perché, dunque, continuare a pensarla, e costringerla a pensarsi, come qualcosa che non è più?

NON SA COSA DEVE FARE
Il dato più significativo per spiegare questo nodo mi sembra sia la co-presenza, alla fine della terza media, degli esami tradizionali e dei test di certificazione delle competenze. In realtà, così, si pensa a una scuola “divisa”, a cui non si sa se affidare la formazione di conoscenze, gli esami, o di competenze, tendenzialmente i test INVALSI, come schemi mentali più o meno complessi di interpretazione e di intervento sulla realtà. Da questo punto di vista potrebbe non essere casuale l’emergere di differenze spesso non insignificanti tra i risultati degli esami e i risultati delle prove INVALSI. Il problema è che una scuola che deve insegnare COMPETENZE esige metodi, strumenti, risorse umane, diversi dai metodi, dagli strumenti, dalle risorse umane utili alla scuola finalizzata alla formazione di CONOSCENZE.

LE PROPOSTE ‒ DOV’È?
È in continuità epistemologica e formativa con l’approccio per grandi aree disciplinari, di cui il nostro sistema di istruzione sottovaluta pesantemente il valore fondante, sia formativo sia epistemologico, sia metodologico:
• Il valore formativo: studiare/ricercare per grandi aree di significati permette agli alunni di imparare di più e meglio in quanto li mette in condizioni di attribuire un senso agli apprendimenti;
• Il valore epistemologico: non è forse vero, per esempio, che la ricorsività percorre insieme la matematica, la musica, le arti visive (Hofstadter 1984) e che il governo epistemologico della complessità passa anche attraverso la costruzione del pensiero multidimensionale, capace di ricondurre ad articolata unità le specializzazioni dei saperi (Morin 1985)?
• Il valore metodologico: l’incontrarsi-integrarsi-meticciarsi transdisciplinare (Morin 1999) proprio del lavoro laboratoriale permette lo sviluppo di effettive capacità di ricerca e di fare della scuola un luogo di sintesi “intelligente” dei saperi scolastici e l’esplorazione/approfondimento degli interessi culturali non scolastici, spesso sorprendentemente ricchi e approfonditi dagli alunni.

LE PROPOSTE ‒ COS’È
È una scuola a valenza prevalentemente orientativa più che “certificativa”. A questo devono essere finalizzate anche le sue prove conclusive. Questo, probabilmente, contribuirebbe, ancora una volta, a contenere la dispersione e gli insuccessi successivi alla scuola media stessa.

LE PROPOSTE ‒ COSA DEVE FARE
Una scuola che insegna competenze non può che ridurre drasticamente le ore di lezione frontale, tipica della formazione di conoscenze “chiuse”, e passare decisamente alla didattica laboratoriale (Laporta 1996), alla metacognizione (Cornoldi 1995). Deve integrare il “sapere cosa” con il “sapere come” e il “sapere verso dove” (Gagné 1989, Margiotta 1997). Probabilmente si scoprirebbe che su queste tracce camminano sia il recupero delle fragilità sia la valorizzazione delle eccellenze. In ogni caso, infatti, è essenziale l’imparare a imparare (Novak, Gowin 1984).

SULLE RISORSE UMANE
È evidente che tutto questo significa, non poi ma contestualmente, affrontare il problema della formazione degli insegnanti (Morin 1999). Avere una buona scuola senza avere buoni insegnanti è pretesa assurda, non priva di ottundimento del senso organizzativo. Qualsiasi investimento su risorse non umane che non abbia come premessa e come accompagnamento costante l’investimento sulla qualità delle risorse umane è semplicemente, radicalmente, non un investimento ma un costo. In Italia c’è un problema di valorizzazione degli insegnanti. Sarebbe, però, miope pensare che tale deficit si collochi solo a livello di aumento dello stipendio mensile. È altrettanto essenziale colmare il deficit di valorizzazione culturale e professionale.

Da Education 2.0 del 9/01/2012
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