Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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martedì 12 settembre 2017

PARTENDO DALLA FINE – Milton H. Erickson (1901-1980)

@ Carte Dixit

Una delle cose che insegno ai miei studenti è questa: prendete un libro appena uscito di un autore che sapete che è bravo. Leggete per primo l’ultimo capitolo. Fate congetture sul contenuto del capitolo precedente. Fate congetture in tutte le direzioni possibili. Vi sbaglierete in molte delle vostre congetture. Poi leggete quel capitolo e fate congetture su quello ancora precedente. Si può leggere un buon libro dall’ultimo al primo capitolo, facendo congetture per tutto il percorso. Così infrangete la rigidità del pensiero. E’ estremamente utile.
Milton H. Erickson, La mia voce ti accompagnerà, Astrolabio, Roma 1983, p. 170.


lunedì 11 settembre 2017

COME SUPERARE I LIMITI ABITUALI - Milton H. Erickson (1901-1980)

@ Carte Dixit

Se desiderate divenire creativi o pensare in modo creativo, dovete esercitarvi in quello che è stato chiamato ‘pensiero divergente’, per contrapporlo al ‘pensiero convergente’ che gli adulti tendono sempre più ad adottare via via che il loro comportamento diviene sempre più restrittivo. Nel pensiero convergente, un certo numero di racconti o un certo numero di temi convergono tutti quanti in uno solo. Nel pensiero divergente, una singola idea si estende in molte direzioni diverse, come le ramificazioni di un albero.
Milton H. Erickson, La mia voce ti accompagnerà, Astrolabio, Roma 1983, p. 77.
Milton Hyland Erickson è stato uno psichiatra e psicoterapeuta statunitense. È riconosciuto come uno dei più importanti psicoterapeuti e ipnoterapeuti del Novecento.

lunedì 12 giugno 2017

SE CREDETE DI CONOSCERVI, PENSATECI BENE – Oliver Burkeman


La psicologa Tasha Eurich scrive che il 95 per cento delle persone sostiene di essere consapevole di sé, cioè di essere cosciente dei motivi per cui si comporta in un certo modo e di essere cosciente di come appare agli altri. Tuttavia questo è vero solo per il 15 per cento di noi. Questa discrepanza non dovrebbe sorprenderci, perché una delle cose che di sicuro manca a chi non ha consapevolezza di sé è la consapevolezza di non averla.
Senza dubbio questo fenomeno vi è familiare: probabilmente il vostro mondo è pieno di persone – amici, colleghi, superiori – che palesemente non hanno idea di come le vedono gli altri. Ma la questione importante è se questo vale anche per voi. O per me. Forse per quanto riguarda la coscienza di sé non siamo meglio dei detenuti di cui parla uno studio del 2013, quasi tutti responsabili di reati violenti, che si giudicavano più gentili e affidabili della maggior parte delle altre persone e, cosa ancora più sconcertante, non meno rispettosi della legge della media dei non detenuti.

Il nuovo libro di Eurich, Insight, cerca quasi affannosamente di dimostrare che la coscienza di sé è la “meta-abilità del ventunesimo secolo, fondamentale per avere successo nel mondo di oggi” (non posso resistere alla tentazione di chiederle se è consapevole di quanto suoni eccessiva).
Nonostante la leggera esagerazione è comunque una lettura affascinante, soprattutto per la conclusione a cui arriva: “L’idea che l’introspezione sia sufficiente per arrivare alla coscienza di sé è un mito”. In altre parole, studiare a fondo noi stessi non è un modo affidabile per capire chi siamo.

Per conoscerci veramente dobbiamo guardarci come se fossimo un estraneo
Tanto per cominciare, è molto probabile che giudichiamo la nostra vita nel suo complesso in base a stati emotivi temporanei (nell’ambito di un esperimento, un’équipe di ricercatori tedeschi aveva chiesto ad alcuni dei partecipanti di cercare una moneta per terra nel tragitto verso il laboratorio e quelli che l’avevano trovata si erano detti più soddisfatti degli altri della loro vita in generale). In secondo luogo, ci impantaniamo nelle nostre storie, vere o false che siano. Per esempio, sostiene Eurich, se il lavoro con la psicoterapia non funziona, di solito finisce per alimentare teorie che sembrano spiegare ogni cosa, del tipo “tutti i miei problemi sono dovuti al fatto che sono stata adottata”, anche se non sono vere.
Che cosa possiamo fare? Tra le numerose strategie, Eurich consiglia di porci domande che cominciano con “che cosa” invece che con “perché”. Quindi non “perché odio il mio lavoro?” o “perché questo rapporto non funziona?”, ma “cosa non mi piace del mio lavoro?” e “cosa non funziona in questo rapporto?”. Chiederci “perché” tende a risucchiarci nelle situazioni e a farci rimuginare a vuoto, mentre il “che cosa” più probabilmente ci aiuta a individuare qualche tratto della nostra personalità o qualche comportamento che possiamo modificare, oppure può aiutarci a decidere di cambiare lavoro, di interrompere una relazione o di fare qualsiasi altra cosa che si concilia di più con quel tratto o quel comportamento.
Come meditare o tenere un diario – altre cose che Eurich consiglia – questo ci consente di vederci come oggetti. Citando Spinoza dice: “Un’emozione è una passione, ma cessa di esserlo nel momento in cui ce ne facciamo un’idea chiara e precisa”. Per conoscerci veramente dobbiamo guardarci dall’esterno, e non con gli occhi di chi già ci ama (o ci odia) tanto da non vedere la verità.

(Internazionale, Traduzione di Bruna Tortorella).

Oliver Burkeman, The Guardian, 30 maggio 2017

martedì 31 gennaio 2017

PERSONAGGI IN UNA STORIA? - Robert H. Hopcke

disegno di Marie Cardouat
E se io, o voi, fossimo personaggi in una storia? E se quella che percepiamo come la nostra esistenza fosse in realtà un’opera di narrativa? Che ne sappiamo? E come potremmo saperlo? Supponendo che la storia sia coerente, e che i personaggi e la loro vita abbiano un senso, come potrebbe un personaggio di una storia sapere di essere in una storia?
Robert H. Hopcke, Nulla succede per caso, Milano 2003, p. 4


lunedì 30 gennaio 2017

NULLA SUCCEDE PER CASO – Robert H. Hopcke


A tutti prima o poi capita di vivere una coincidenza incredibile capace di modificare almeno in parte il corso dell’esistenza: sono quelli che Jung chiama “eventi sincronistici”, fenomeni in grado di cambiare l’immagine che abbiamo di noi stessi, il nostro modo di vedere il mondo, di aprirci nuove prospettive.
Imparando a considerare la nostra vita un racconto dotato di coerenza interna, dove niente succede senza ragione, potremo imparare a sfruttare le coincidenze per comprendere meglio noi stessi e per dare alla nostra esistenza maggiore pienezza.
Robert H. Hopcke, Nulla succede per caso, Milano 2003


martedì 11 agosto 2015

LA CURA SCHOPENHAUER – Irvin Yalom


Julius Hertzfeld si è guardato allo specchio stamattina. Attorno alla bocca poche rughe. Occhi forti e sinceri che possono reggere lo sguardo di chiunque. Labbra piene e cordiali. La testa coperta di riccioli neri e ribelli che si stanno appena ingrigendo sulle basette. Il corpo senza un'oncia di grasso. Insomma, lo specchio gli ha detto che è ancora lui: Julius Hertzfeld, brillante professore di psichiatria presso l'università della California, terapeuta dal caldo sorriso e dalla solida reputazione, uomo prestante che non ha affatto l'aria del sessantacinquenne cui è stato appena comunicato, con fredda e brutale sincerità, che ha poco più di un anno di vita.
Che fare quando la vita spensierata termina di colpo e il nemico, fino a quel momento invisibile, si materializza in tutta la sua terrificante realtà? Julius Hertzfeld non ha dubbi: sa esattamente come trascorrerà il suo anno finale. Continuerà a occuparsi dei suoi pazienti e a cercare di ridestare, nella terapia di gruppo, il sentimento della vita dentro di loro.
Sa, anche, che non si sottrarrà all'ultima sfida rappresentata dal suo paziente più ostico: quel Philip Slate che ha dedicato tutta la propria energia vitale alla fornicazione e che ora sostiene di aver scoperto una terapia Schopenhauer, una cura che proviene dal pensiero stesso del filosofo tedesco.

Irvin Yalom, La cura Schopenhauer, Neri Pozza Editore, Vicenza 2005.

mercoledì 15 aprile 2015

L’ORA DI LEZIONE – Massimo Recalcati


Periferia di Milano, anni Settanta. Gli anni del terrorismo e della droga, dei sogni di Oriente e di liberazione. Una mattina, nella classe di un Istituto Agrario, fa la sua apparizione Giulia, una giovane professoressa di lettere che parla di letteratura e di poesia con una passione sconosciuta.
È quell'incontro a «salvare» Massimo Recalcati che, in questo libro dedicato alla pratica dell'insegnamento, riflette su cosa significa essere insegnanti in una società senza padri e senza maestri, svelandoci come un bravo insegnante sia colui che sa fare esistere nuovi mondi, che sa fare del sapere un oggetto del desiderio in grado di mettere in moto la vita e di allargarne l'orizzonte. È il piccolo miracolo che può avvenire nell'ora di lezione: l'oggetto del sapere si trasforma in un oggetto erotico, il libro in un corpo.
Un elogio dell'insegnamento che non può accontentarsi di essere ridotto a trasmettere informazioni e competenze. Un elogio della stortura della vite che non deve essere raddrizzata, ma coltivata con cura e riconquistata nella sua singolare bellezza.

Massimo Recalcati, L’ora di lezione, Einaudi, Torino 2014.

sabato 20 settembre 2014

CAMBIA-MENTI - Carl Gustav Jung (1875-1961)



Se c'è qualcosa che desideriamo cambiare nel bambino, 
dovremmo prima esaminarlo bene 
e vedere se non è qualcosa che faremmo meglio a cambiare in noi stessi.

Carl Gustav Jung

Fonte: Le più belle frasi della psicologia
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