Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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domenica 28 giugno 2020

CHIAMATEMI DIRETTORE




“I limiti esistono soltanto nell’anima
di chi è a corto di sogni”
Philippe Petit, Trattato di funambolismo

“T
utto quello mi è capitato di buono non mi è venuto da una vera intenzione, ma come da sé, senza meta prefissa, senza posa della prima pietra e altre solennità d’inaugurazione”. Questo, Erri De Luca confessa nel suo Alzaia, squarciando di verità un’esistenza che solo illusoriamente pensiamo in mano nostra.  E, sempre su Alzaia, continua: “Suo compito a volte è solamente non opporsi, non frenare, insomma farsi suonare senza la pretesa di essere sempre suonatore, compositore”.
Anni di vita e di lavoro che creano un disegno, ma noi siamo troppo bassi, ci siamo dentro, per poterlo vedere tutto intero, e riconoscerlo. Ne sa qualcosa l’uomo descritto da Karen Blixen che, dopo una nottata di corse tribolate in giardino, scopre, il mattino dopo, che le sue orme avevano disegnato sul terreno una cicogna: “Quando il disegno della mia vita sarà compiuto, vedrò, o altri vedranno, una cicogna?”
Così, le lettere che in questi anni ho scritto per voi. A partire da Magiche alchimie del Primo settembre 2007, in tutte e in ciascuna ho lasciato che spirasse il vento della profezia: parola che sbaraglia, soffio di messaggio che ogni volta scompigliava me per primo. Di rado mi sono preoccupato che l’esito fosse poesia o aspra prosa. Di rado ho cercato parole che fossero condivisibili da tutti, anzi. Rileggendole, odo musica che invita a ballare, avverto ali che spingono a volare, odoro profumi che fanno sognare. Ma più di tutto, sento la mano che scuote decisa l’albero, affinché ciascuno possa godere del proprio frutto maturo.
Anche questa, ultima mia lettera come vostro dirigente, non cercherà facile consenso, ma avrà la durezza della terra da arare, sasso gettato nello stagno, uccello che vola controvento, sbattuto e inerme.
Nelle mie intenzioni, questo avrebbe dovuto essere il lascito ideale, il testamento pedagogico, qualcosa con cui farmi ricordare. Carrellata sui tanti anni di scuola, e di vita. Flash di eventi e ripasso di memoria. Pensieri scolpiti. E ringraziamenti per tutti voi che avete reso possibile una scuola con il cuore che batte.


Così si fa alla fine della carriera, questo ci si aspetta dal dirigente che va in pensione: parlarvi del progetto di scuola che fin dall’inizio ha infiammato il mio cuore e che giorno dopo giorno ho condiviso con voi. Ripercorrere i nostri sogni pedagogici, le avventure didattiche, le sperimentazioni organizzative, i nostri corsi di formazione, unici e irripetibili. Individuare ancora una volta assieme a voi la stella polare che indica il nostro oriente, il senso di tutto il nostro lavoro: i ragazzi e il loro seme cui offrire rispetto e nutrimento. La carne sempre prima delle carte. 
Niente di tutto questo. Perché sono mano prestata, idee che mi raggiungono e che ritrasmetto come onde nell’aria, vibrazioni che assumono la forma di chi le riceve, e le accoglie. Melodia su cui ciascuno intona il canto che sa, o che può. 

“La visione della stella polare non dice mai al pescatore in quale direzione debba muovere,
ma egli non avanzerà nella notte se non è in grado di riconoscerla”.
Simone Weil, Scritti londinesi
Per quanto mi riguarda, credo di avere compreso il disegno che tutti questi anni di corse tribolate, questo mio andirivieni di parole e di azioni, alla fine, hanno prodotto: incisa sulla terra del mio giardino riconosco l’immagine di un uomo per una scuola d’altri tempi e d’altri modi.
Chiamatemi direttore. Non prèside, direttore. Come di colui che dà una direzione, vento che soffia sulle vele e le gonfia, acqua che sostiene la nave e la fa navigare. Dito che indica la luna.
Vent’anni fa, per norma di legge, i direttori didattici e i prèsidi sono diventati dirigenti scolastici. Anche i direttori, da allora, hanno preferito farsi chiamare prèside, convinti così di salire di grado. Sbagliavano.
Parrebbe una questione puramente nominale, ma anche il modo in cui ci si riferisce a una persona contribuisce a definirne il ruolo, e la funzione ne assume i colori e le sfumature: mentre prèside è “colui che siede davanti”, il direttore “traccia, alza, costruisce”.
Tredici anni fa, non ne ero pienamente consapevole. E adesso è troppo tardi, per me, ma soprattutto per la scuola. Non servono i direttori. Altre sono le priorità e le urgenze che l’istituzione deve affrontare.
L’appellativo del dirigente è ormai solo questione di lana caprina.

“Se vuoi costruire una nave
non chiamare gente che porti il legno
che procuri gli attrezzi necessari
Non distribuire compiti
Non organizzare il lavoro
Prima sveglia negli uomini la nostalgia
del mare lontano e sconfinato
Appena si sarà svegliata in loro questa sete
gli uomini si metteranno subito al lavoro
per costruire la nave”.
Antoine De Saint-Exupery

In tredici anni, non ho mai scritto un ordine di servizio.
Ho sempre cercato di creare intorno a voi spazi di libertà, universi di fiducia. Intorno, ma più di tutto al di sopra. Ho liberato lo spazio da tutto ciò che poteva ostacolarvi in altezza, me compreso. Per consentirvi di crescere, di alzarvi in volo, senza paura, senza timore di andare a sbattere, di venire ripresi. Non ho mai dovuto infliggere una sanzione disciplinare.
E non mi sono mai arreso. In ogni Collegio, in ogni Consiglio, in ogni occasione, direttore come voce d’onda, costante sciabordio dell’acqua contro la chiglia della nave, megafono di domanda. A ricordare, a tenere alta e viva l’attenzione sul senso della navigazione. 
A ogni ondata, una domanda:
“Verso dove stai andando?”, “A cosa sei destinato?”, “Sei al tuo posto?”
E la domanda radicale per una scuola:
“Quale educazione?”
Cinque anni fa, nella lettera La domanda delle onde scrivevo:
Quando per esempio affermiamo che è l’allievo a essere posto al centro dell’azione educativa, intendiamo operare per accompagnarlo a scoprire e valorizzare la sua vocazione profonda oppure intendiamo fornirgli gli strumenti per integrarsi efficacemente nella società attuale? Non è la stessa cosa. Se riteniamo prioritaria l’integrazione all’interno di questa società in veloce cambiamento, daremo grande valore alle competenze. Ma se per centralità della persona intendiamo ciò che le onde ci hanno suggerito, allora ci assale lo sgomento, perché tutto lo sforzo che abbiamo fatto per abituarci a navigare in un oceano di incertezze fra alcuni arcipelaghi di certezze, si annulla nella nuova consapevolezza che la salvezza sta nella capacità del singolo di ritrovare quei perduti parametri esistenziali basati su valori che poco hanno a che vedere con tutto ciò che noi chiamiamo “progresso”.
Siate allora esempio di saggezza, perché se la competenza è il modo in cui usate la conoscenza, la saggezza ne è il perché, e soprattutto il quando.
“Per insegnare il latino a Giovannino non basta conoscere il latino,
bisogna soprattutto conoscere Giovannino”.
Jean-Jacques Rousseau, Emilio
La scuola ha bisogno di sogni, di respiri ampi, di visione. Ha bisogno di altezze, di andare aldilà, di vedere oltre. Soprattutto, oltre noi stessi. Perché la tentazione del rispecchiamento, anche se inconscia, è sempre dietro l’angolo: più mi assomiglia e più l’allievo è bravo, meglio ripete le mie parole e più ha capito, più si comporta come dico io e più è educato. Il grande fraintendimento sta nell’essere convinti di dovergli spiegare come deve essere, anziché cercare di capire come veramente è. Giovannino è venuto in questo mondo per uno scopo preciso: è una cosa così stupida e inutile prenderlo per mano e aiutarlo a capire quale sia questo scopo? Il Giovannino che è dentro ciascuno di noi è stato aiutato dai suoi insegnanti a scoprire il senso del suo camminare sulle strade di questo mondo? Oppure si sono preoccupati di qualcos’altro?
Sta a noi deciderlo. Certo, ci vuole coraggio. Il coraggio del prof. Keating che strappa le pagine dall’antologia e sale sulla cattedra per ricordare prima di tutto a se stesso che bisogna sempre guardare le cose da angolazioni diverse: “E’ proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva”. E il mondo appare effettivamente diverso.  Anche se è lo stesso. Perché tutto è Uno.
“Non insegnate ai bambini,
ma coltivate voi stessi, il cuore e la mente,
stategli sempre vicini,
date fiducia all’amore, il resto è niente”.
Giorgio Gaber, Non insegnate ai bambini
E il maestro diventa Maestro, che nella bottega artigiana si pone a esempio di fattura, modello di capolavoro. Ciascuno con la propria fatica, il proprio sudore, la propria vocazione. Nel rispetto. Nella fiducia. A un seme, per crescere, bastano acqua e buon terreno. Ed è abbastanza.
Termino questa lettera, facendo mie le parole che una persona speciale, la nostra DSGA Luisa, ci ha scritto la notte tra il 31 agosto e il Primo settembre 2018, al momento di andare in pensione:
“Se nulla succede per caso, voi siete stati il mio caso, e se domani non sono con voi, voi siete sempre con me. Vi voglio bene”.

30 giugno 2020                                              Francesco Callegari

 “E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre alla follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio -
è una barca che anela al mare eppure lo teme”.
Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River

giovedì 19 dicembre 2019

L'ARCOBALENO E LA PENTOLA D'ORO



Natale 2019

Un’antica leggenda irlandese ci racconta di come ai piedi dell’arcobaleno sia posta una pentola colma di monete d’oro, pronta per essere trovata da chi ne sia degno. Un folletto la protegge da occhi indiscreti e confonde con i suoi trucchi coloro che guardano senza vedere.
L’arcobaleno è via da seguire, sentiero senza scorciatoia, cammino da percorrere per intero, viaggio di scoperta e di meraviglia, da fare con i piedi sporchi di luce e di colore.
Il folletto ti vedrà da lontano e saprà che la ricchezza già ti appartiene.

Francesco Callegari


lunedì 25 dicembre 2017

sabato 18 giugno 2016

IL MODO IN CUI GLI ALTRI TI TRATTANO - Mantra Yoga



Il modo in cui gli altri ti trattano
fa parte del loro cammino,
il modo in cui tu reagisci
fa parte del tuo.

mercoledì 27 gennaio 2016

SU “LA CULLA MAI FINITA” 2 – Gabriella Caramore


Anche in questa piccola storia emerge, nascostamente, un elogio della pazienza: il tempo non può essere imposto dall’esteriorità delle cose, ma dal ritmo interno all’essere del mondo.
E’ un tempo che si sottrae alle dinamiche mondane e risponde a un’altra verità. Il cavallo arabo corre veloce, afferma un detto di Saadi di Shiraz. Il cammello procede invece lentamente. Ma è quest’ultimo che avanza notte e giorno.
Gabriella Caramore, Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014, p. 40-41.


domenica 3 gennaio 2016

RESTANO TRE COSE – Fernando Pessoa (1888-1935)


Di tutto restano tre cose:
la certezza
che stiamo sempre iniziando,
la certezza
che abbiamo bisogno di continuare,
la certezza
che saremo interrotti prima di finire.
Pertanto, dobbiamo fare:
dell’interruzione, un nuovo cammino,
della caduta, un passo di danza,
della paura, una scala,
del sogno, un ponte,
del bisogno... un incontro.


"DE TODO, QUEDARON TRES COSAS"

la certeza de que estaba siempre comenzando,
la certeza de que había que seguir
y la certeza de que sería interrumpido 
antes de terminar.

Hacer de la interrupción un camino nuevo,
hacer de la caida, un paso de danza,
del miedo, una escalera,
del sueño, un puente, de la búsqueda,...un encuentro

Fernando Pessoa


venerdì 1 gennaio 2016

NOI PIANTIAMO SEMI - John F. Dearden


Noi piantiamo semi che un giorno nasceranno.
Noi innaffiamo semi già piantati, sapendo che altri li custodiranno.
Mettiamo le basi di qualcosa che si svilupperà.
Mettiamo il lievito che moltiplicherà le nostre capacità.
Non possiamo fare tutto, però dà un senso di liberazione l’iniziarlo.
Ci dà la forza di fare qualcosa e di farlo bene.
Può rimanere incompleto, però è un inizio, il passo di un cammino.
Un’opportunità perché la grazia di Dio entri e faccia il resto.
Può darsi che mai vedremo il suo compimento, ma questa è la differenza tra il capomastro e il manovale. Siamo manovali, non capomastri; servitori, non messia.
Noi siamo profeti di un futuro che non ci appartiene.

Preghiera comunemente attribuita al beato Oscar Romero, ma che fu pronunciata per la prima volta dal cardinale statunitense John Francis Dearden (1907-1988). Dedicata da papa Francesco nel Natale 2015 come augurio al personale della Curia romana.


martedì 26 maggio 2015

UNA STRADA NELLA VITA – Tiziano Terzani


Una strada c’è nella vita, e la cosa buffa è che te ne accorgi solo quando è finita. Ti volti indietro e dici «Oh, ma guarda, c’è un filo!» Quando vivi, non lo vedi, il filo, eppure c’è. Perché tutte le decisioni che prendi, tutte le scelte che fai sono determinate, tu credi, dal tuo libero arbitrio, ma anche questa è una balla. Sono determinate da qualcosa dentro di te che innanzitutto è il tuo istinto, e poi forse da qualcosa che i tuoi amici indiani chiamano il karma e con cui spiegano tutto, anche ciò che a noi è inspiegabile.
Tiziano Terzani, La fine è il mio inizio, Longanesi, Milano 2006.


lunedì 4 maggio 2015

IL DONO PIU’ GRANDE DEL MAESTRO – Massimo Recalcati


Il dono più grande del maestro non è il dono del sapere ma quello di saper «tacere l’amore». Questo dono è il più prezioso perché non vincola l’allievo ad alcuna obbedienza, ma lo lascia sempre libero di andarsene, di separarsi dal maestro.
Se il maestro non sa tacere il proprio amore, rischia di esigere, volontariamente o meno, che l’allievo segua le sue orme, che diventi ciò che lui si attende. Solo saper tacere l’amore può svuotare il luogo dell’Altro di ogni attesa e permettere al soggetto di incamminarsi per la propria via.
Massimo Recalcati, L’ora di lezione, Einaudi, Torino 2014.


domenica 26 aprile 2015

MICHELLE THOMASSON - Intervista di Franco Battiato



Intervista di Franco Battiato a Michelle Thomasson, moglie di Henri Thomasson (1910-1966), scrittore e mistico francese.

giovedì 23 aprile 2015

IL SENTIERO DEL SAPERE – Massimo Recalcati


Il sapere non è affatto un oggetto contenuto nel contenitore dell’Altro, ma l’effetto di un percorso che ogni soggetto è tenuto a compiere in proprio, senza che esista, a garantirlo, un tracciato definito a priori.
Massimo Recalcati, L’ora di lezione, Einaudi, Torino 2014.


venerdì 6 marzo 2015

WALKING THE EARTH - Vasili Tsybulka



“Un uomo deve camminare mille chilometri per capire che tutto quello che cercava era dentro di lui...”

giovedì 5 febbraio 2015

AVRO' CURA DI TE - Massimo Gramellini, Chiara Gamberale


Non posso impedirti di inciampare, però posso medicare il tuo piede ferito.
E prenderti in braccio, fino a quando non sarai in grado di camminare sulle tue gambe.
Avrò cura di te.

Massimo Gramellini, Chiara Gamberale, Avrò cura di te, Milano, Longanesi, 2014

mercoledì 21 gennaio 2015

LA PACE COME CAMMINO - Tonino Bello


A dire il vero non siamo molto abituati a legare il termine PACE a concetti dinamici. Raramente sentiamo dire: "Quell'uomo si affatica in pace", "lotta in pace", "strappa la vita coi denti in pace"...
Più consuete, nel nostro linguaggio, sono invece le espressioni: "Sta seduto in pace", "sta leggendo in pace", "medita in pace" e, ovviamente, "riposa in pace". La pace, insomma, ci richiama più la vestaglia da camera che lo zaino del viandante. Più il comfort del salotto che i pericoli della strada. Più il caminetto che l'officina brulicante di problemi. Più il silenzio del deserto che il traffico della metropoli. Più la penombra raccolta di una chiesa che una riunione di sindacato. Più il mistero della notte che i rumori del meriggio.
Occorre forse una rivoluzione di mentalità per capire che la pace non è un dato, ma una conquista. Non un bene di consumo, ma il prodotto di un impegno. Non un nastro di partenza, ma uno striscione di arrivo.
La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia. Esige alti costi di incomprensione e di sacrificio. Rifiuta la tentazione del godimento. Non tollera atteggiamenti sedentari. Non annulla la conflittualità. Non ha molto da spartire con la banale "vita pacifica". Sì, la pace prima che traguardo, è cammino. E, per giunta, cammino in salita. Vuol dire allora che ha le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi, i suoi percorsi preferenziali ed i suoi tempi tecnici, i suoi rallentamenti e le sue accelerazioni. Forse anche le sue soste.
Se è così, occorrono attese pazienti. E sarà beato, perché operatore di pace, non chi pretende di trovarsi all'arrivo senza essere mai partito, ma chi parte. Col miraggio di una sosta sempre gioiosamente intravista, anche se mai - su questa terra s'intende - pienamente raggiunta.

Tonino Bello

sabato 29 novembre 2014

MAPPE – Mariapia Veladiano


A volte sembra sicuro fin dal nascere quale sarà il nostro andare, per viottoli stretti stretti, già da soli disegnati perché il bisogno o la malattia o il nostro nome o anche la geografia, ci hanno costretti. La nostra sorte sembra un fatto di zanzare, pozzi da scavare e qualche volta, o forse spesso, pazzi al potere. Ci sono anche strade immense, fin troppo piane e proprio per noi, ci assicurano, da altri accomodate. E anche loro non son facili da lasciare.
Capita che non ci venga in mente che si possa fare.
E allora il nostro esistere in esemplare ci dipinge deferenti a un disegno, chissà come assimilato. Figli di chi quaggiù per ventura siamo, solo questo sembra che possiamo. Poi se il cielo vuole, c'è anche un vivere di grazie, ricevute in mille forme, da chi un pozzo l'ha scavato con noi o forse senza di noi, e insieme pane e libertà sono stati conquistati. E viene il tempo in cui non sembra vero di essere stato prigioniero e non aver voluto credere che una nuova strada c'era. Anche se davvero non la si vedeva, perché così capitava, e sempre capita se vogliamo, che la strada si disegna mentre andiamo, sotto i passi che facciamo.
Un far parte della vita che amiamo. Che amiamo.
Mariapia Veladiano, Ma come tu resisti, vita, p. 118.

sabato 22 novembre 2014

LA PROPRIA VIA – Enzo Bianchi


Ognuno ha una sua via e, sceltala, deve perseguirla con risolutezza, abbandonando la concezione della vita come accumulo di esperienze diverse: la decisione deve essere forte e risolutiva, senza tributi pagati al mito delle esperienze diverse e molteplici che produce solo dilettantismo.
Qualunque sia la via scelta, se essa è la propria via e la si persegue con fedeltà e perseveranza, alla fine si conosce la gioia, la bellezza, la pienezza.
Enzo Bianchi, prefazione a M. Buber, Il cammino dell’uomo, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI) 1990, p. 9.


venerdì 21 novembre 2014

IL CAMMINO DELL’UOMO – Martin Buber (1879-1965)


“Dove sei?” 
Dei giorni e degli anni a te assegnati ne sono già trascorsi molti: nel frattempo tu fin dove sei arrivato nel tuo mondo?
Ogni volta che Dio pone una domanda di questo genere non è perché l’uomo gli faccia conoscere qualcosa che lui ancora ignora: vuole invece provocare nell’uomo una reazione suscitabile per l’appunto solo attraverso una simile domanda, a condizione che questa colpisca al cuore l’uomo e che l’uomo da essa si lasci colpire al cuore.
Martin Buber, Il cammino dell’uomo, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI) 1990, p. 18, 21.

lunedì 13 ottobre 2014

L’ULTIMA RIGA DELLE FAVOLE – Massimo Gramellini


Tomàs è una persona come tante. E, come tante, crede poco in se stesso, subisce la vita ed è convinto di non possedere gli strumenti per cambiarla. Ma una sera si ritrova proiettato in un luogo sconosciuto che riaccende in lui quella scintilla di curiosità che langue in ogni essere umano.
Incomincia così un viaggio simbolico che, attraverso una serie di incontri e di prove avventurose, lo condurrà alla scoperta del proprio talento e alla realizzazione dell'amore: prima dentro di sé e poi con gli altri.
Con questa favola moderna che offre un messaggio e un massaggio di speranza, Massimo Gramellini si propone di rispondere alle domande che ci ossessionano fin dall'infanzia. Quale sia il senso del dolore. Se esista, e chi sia davvero, l'anima gemella. E in che modo la nostra vita di ogni giorno sia trasformabile dai sogni.

Massimo Gramellini, L’ultima riga delle favole, Longanesi, Milano, 2010.

mercoledì 27 agosto 2014

DOPO COELHO – Patrizia Malachin


Da quando hai riproposto nel tuo blog alcuni passi di "L'alchimista", ho voluto, a distanza di più di vent'anni, rileggermelo e rivedere tutte le frasi che in quel frangente avevo evidenziato.
A quella giovane età, per me era importante imparare ad ascoltare il mio cuore, non aver paura di desiderare, avere la forza e la volontà di realizzare la mia leggenda Personale.
Perché se è vero che quando si desidera qualcosa, "tutto l'Universo cospira affinché tu realizzi il tuo desiderio", allora dovevo imparare a cambiare le cose nella vita, seguendo i segnali del Linguaggio del Mondo, non cadendo nella tentazione dell'abitudine, non piangendo dinanzi alle delusioni e ingiustizie.
Adesso rileggo questo libro con altri occhi e da esso, riguardando a ritroso il mio cammino, traggo altri messaggi importanti come: "Ricordati di sapere sempre quello che vuoi" (p.69); "Quando si prende una decisione, in realtà si comincia a scivolare in una forte corrente che ti porta verso un luogo mai neppure sognato al momento di decidere". "...Il percorso sarà sempre un mistero" (p.81).
E spesso mi ammonisco dall'evenienza di convivere in periodi di stasi e di apparente tranquillità con l'idea di: "Non voglio cambiare, perchè non so come cambiare. Ormai sono troppo abituata a me stessa" (p.70).
Se prima mi rispecchiavo nei panni del pastore andaluso, ora, dismesse queste vesti, dovrò rivestire il ruolo dell'Alchimista. Il mio orgoglio di genitore sarà, dunque, quello di aiutare i miei figli ad ascoltare il loro cuore, a imparare quel linguaggio universale fatto di segni per vivere nel mondo realizzando se stessi, senza la paura di fallire. Ciò che loro impareranno, diverrà la loro eredità.

Patrizia Malachin
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