Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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venerdì 27 maggio 2016

OBIETTIVI CHE ARRICCHISCONO LA VITA – Marshall B. Rosenberg (1934-2015)


Se si vogliono definire gli obiettivi in modo reciproco, è importante che gli insegnanti sappiano comunicare con chiarezza in quali modi le vite degli studenti saranno arricchite dal conseguimento di determinati obiettivi. Questo è un punto fondamentale.
L’educazione che arricchisce la vita richiede che le scelte di insegnanti e studenti siano motivate dall’intenzione di arricchire la vita, non dalla paura di ricevere punizioni, né dalla speranza di ottenere premi (voti o borse di studio, ad esempio), né dal fatto che qualche documento afferma che le persone che occupano posizioni di autorità sanno che cosa è meglio per noi.
Allora, sto forse suggerendo che la scuola ideale dovrebbe essere fondata su un totale permissivismo, dove gli studenti studiano quando e come vogliono? Niente affatto.
Secondo me, il modo più chiaro per illustrare la differenza tra educazione volta alla dominazione, educazione permissiva ed educazione che arricchisce la vita è il seguente. Notate come sono definiti gli obiettivi di apprendimento:
·         Nell’educazione volta alla dominazione, gli obiettivi dell’insegnante vengono perseguiti senza che sia necessaria la partecipazione dello studente;
·         Nell’educazione permissiva, gli obiettivi dello studente sono perseguiti senza che sia necessaria la partecipazione dell’insegnante;
·         Nell’educazione che arricchisce la vita, vengono perseguiti soltanto quegli obiettivi che vengono decisi in modo reciproco da insegnante e studente.
Questo processo di definizione reciproca degli obiettivi può cominciare con una raccomandazione dell’insegnante, che suggerisce una materia di studio e descrive quali bisogni pensa che lo studente soddisferà se sceglierà di studiarla. Se lo studente vede il valore di questa proposta ed è d’accordo, gli obiettivi reciproci sono stati definiti. In alternativa, lo studente può suggerire un’area di studio che l’insegnante condivide.
Marshall B. Rosenberg, Educazione che arricchisce la vita, Edizioni Esserci, Reggio Emilia 2005, p. 100-101


mercoledì 18 novembre 2015

LE STESSE LACRIME - Francesco Callegari


Lo stesso piombo di Beirut e di Parigi ha lacerato la nostra mente 
e il nostro cuore.

Mogli e fratelli, figlie e mariti sono pianti da lacrime 
dello stesso colore.


giovedì 4 dicembre 2014

SCUOLA E PERIFERIE – Luca Doninelli


Finora le periferie avevano retto molto meglio da noi che in altri paesi. Se la situazione è precipitata, è necessario ricordare che per tanto tempo le nostre periferie hanno permesso alla maggior parte dei loro abitanti di condurre una vita dignitosa e tranquilla.
La mia prima osservazione è che la crisi ha minacciato la stabilità delle famiglie. I motivi di tensione, ovviamente già presenti, hanno incontrato resistenze sempre più deboli. I fattori di tenuta dell'istituto familiare hanno avuto minor presa sulle persone (pensiamo solo all'importanza delle parrocchie, anche solo 20 anni fa, in molte situazioni a rischio), e tante famiglie si sfasciano quando i figli sono ancora piccoli.
In aree sempre più popolate (non dimentichiamo che al mondo siamo in 7 miliardi, in un assetto urbano pensato quando non eravamo in 2 miliardi) i fattori educativi e temo il valore stesso della persona si sono indeboliti: spesso la scuola, per troppo tempo vituperata, ha costituito e continua a costituire l'avamposto solitario e insufficiente in difesa di una serie di valori umani e civili che non i poveracci, ma gli intellettuali e i giornalisti, gli editorialisti e i maitres-à-penser hanno attaccato e messo in ridicolo per decenni. Ora la scuola non ha quasi più il sostegno delle famiglie, della cui devastazione rimane spesso solo l'isterica difesa dei figli (non come persone, ma come membri del clan) senza più nessun richiamo a quella «comunità educante», fondata sulla collaborazione tra scuola e famiglia, che era il cemento della trasmissione del sapere e dei valori da una generazione all'altra.
Se un giovane non conosce la differenza tra un conducente di autobus e, poniamo, un distributore di bibite, e prende a calci l'uno e l'altro allo stesso modo se non fanno quello che lui vuole, la ragione è ahimè semplice: nessuno gliel'ha mai spiegata. Ed è proprio così. Ho conosciuto tanti ragazzi migliori di me cadere nella deriva della violenza non per cattiveria ma per solitudine e ignoranza. Sono molti i sociologi che sanno cosa piace a un giovane oggi, ma spesso un giovane non sa quello che gli piace, e conduce una vita senza vero piacere, povera di bellezza.
C'è infine un altro tema di cui tener conto: la tendenza ad avere la casa di proprietà ha caratterizzato per decenni il costume degli italiani. Questo, oltre a permettere una base finanziaria, ha determinato i comportamenti sociali anche di moltissimi extracomunitari, i quali hanno fatto proprio, dove possibile, questo costume. Chiunque può comprendere che il possesso della casa porta ad atteggiamenti diversi nei confronti del quartiere dove si vive, e che il sentirsi sul collo il fiato della precarietà, dell'instabilità e dell'abbandono genera nuove tensioni, nuova sofferenza.
lo non credo però che qualche provvedimento avveduto da parte di politici o pubblici amministratori possa cambiare le cose. Abbiamo visto ciò che questa gente sa fare, e ho anzi il sospetto che nessuno di questi abbia la possibilità di fare altrimenti: un amministratore onesto e preoccupato del bene comune è ormai una persona sospetta. Dobbiamo contare molto di più su noi stessi. Il mio, il tuo atteggiamento possono cambiare la vita del pianerottolo, del palazzo, del quartiere. Ciascuno di noi dovrebbe dire: si ricomincia da me. L'io è il solo fattore di cambiamento nella difficoltà di oggi. Spesso basta un prete, una piccola associazione, o qualche privato che si dà da fare. La prima volta ti bucheranno le gomme, la seconda idem, alla terza cominceranno ad ascoltarti.
Di fronte a tanto sfacelo, è in questo che credo.
Luca Doninelli, insegnante e scrittore, Panorama 3 dicembre 2014

mercoledì 19 novembre 2014

PARLARE – Mariapia Veladiano


Dire solo parole che fanno la differenza.
Prima qualcuno era fuori, e noi lo abbiamo invitato ad entrare. Anche se non aveva le parole per chiederlo.
Lui non conosceva il suo nome, e noi lo abbiamo chiamato mentre ancora era lontano. Pentecoste quotidiana di chi si riconosce.
C'è anche chi non sa proprio le parole, straniero al paese in cui ha trovato rifugio e anche a se stesso in questa terra, e allora noi gliele insegniamo, una a una, festoni di suoni colorati appesi alle pareti d'aula, raggruppate in famiglie composte e perbene: casa, casina, casetta, casona, casata. Anche caserma per movimentare un po'. E a volte capita di consegnare una parola per noi indifferente e facile facile, come mare, ad esempio e quando loro, i bambini, ce la restituiscono e appendono il festone, scopriamo che non hanno potuto far famiglia, perché forse l'hanno persa per sempre la loro famiglia. E le parole ci ritornano raggruppate per desideri e dolori: mare, mamma, casa. E anche porto, buio, onde, paura. E felici allora se troviamo parole che accolgano le loro, che adesso oscillano lievi ogni volta che le sfioriamo sospese, disposte a diventare racconti non ancora scritti ma già pronti quasi a disperdersi nel mondo quando il vento entra dalle finestre aperte dell'aula e le solleva come la coda di un aquilone.
Mariapia Veladiano, Ma come tu resisti, vita, p. 51.


lunedì 3 febbraio 2014

17. GENITORI DELL’ALTRO MONDO – Anna Chiara Fontana


San Cristobal de las Casas - Chiapas
Il fatto è che questa scuola dà più responsabilità anche ai genitori, che al pomeriggio accompagnano in qualche modo i loro figli nello studio e che sono invitati a partecipare alle attività scolastiche proponendo un laboratorio o un’attività, soprattutto se pagano una quota ridotta per motivi economici. Anche ai volontari è richiesto un laboratorio e, tra l’entusiasmo generale, ho proposto un laboratorio di esperimenti che scivolerà anche in cucina, per vendere poi i manicaretti che prepareremo allo scopo di autofinanziarci un po’ le gite.
Genitori e accompagnanti formano un collettivo che si riunisce in assemblee mensili nelle quali vengono prese decisioni riguardanti la scuola che proprio per rispondere alle esigenze dei partecipanti, alunni compresi, è in continuo mutamento.
La scelta, mi dice Gaby, genitore e accompagnante, è tra crescere persone che si integrino nell’attuale sistema economico che non funziona più o formare persone.

Poi c’è anche il retro della medaglia: gli accompagnanti sono sottopagati per cui devono fare un altro lavoro per integrare; siccome in Messico l’istruzione non è obbligatoria (e ci sono molti bambini lavoratori), questa scuola, che è ovviamente privata, può liberamente esistere in questa forma, ma non rilascia un certificato d’istruzione, che del resto in Messico non conta molto. 

giovedì 19 settembre 2013

NESSUN UOMO E' UN'ISOLA - Paulo Coelho


Il guerriero sa che nessun uomo è un'isola. Non può lottare da solo. Quale che sia il suo piano, dipende da altri uomini. Ha bisogno di discutere la sua strategia, di chiedere aiuto e, nei momenti di riposo, di avere qualcuno a cui raccontare le storie di battaglia intorno al fuoco.
Ma egli non permette che gli altri confondano il suo cameratismo con insicurezza. E' trasparente nelle sue azioni, e segreto nei suoi piani.
Un guerriero della luce danza con i compagni, ma non attribuisce a nessuno la responsabilità dei propri passi.
Paulo Coelho, Manuale del guerriero della luce, p. 71


domenica 27 gennaio 2013

PADRE MORAND - Alexandre Jollien



Padre Morand aveva vissuto le due guerre mondiali, e a questo proposito mi raccontava molti aneddoti. Eccone uno che mostra bene la sua personalità. Aveva nascosto nella casa parrocchiale una famiglia di ebrei che fuggiva la Gestapo. Vedendo in lontananza la polvere sollevata dai mezzi delle SS che si avvicinavano, ebbe la presenza di spirito di saccheggiare la sua stessa casa: dopo aver provveduto a nascondere accuratamente la famiglia nel granaio, rovesciò i mobili e fracassò piatti e stoviglie a terra. Non appena la prima SS varcò la soglia della porta, padre Morand indicò il caos che lo circondava ed esclamò: "Guardate qui, i vostri colleghi hanno già perlustrato tutto, non c'è nulla a casa mia".
Grazie alla sua astuzia e audacia, le SS se ne andarono e la famiglia fu salva.
Alexandre Jollien, Elogio della debolezza, Edizioni Qiqaion, Magnano (BI)2001, p. 87-88

venerdì 9 novembre 2012

STRADE PULITE - Silvano Agosti



“Ho notato che nelle vie delle vostre città ci sono poche automobili e nessun mezzo pesante o furgone.”
“Qui da noi, le consegne delle merci ai negozi e ai ristoranti, avvengono a notte fonda, quando le strade sono deserte. I veicoli da trasporto sono elettrici e non fanno alcun rumore”.
Il mio accompagnatore d’improvviso si allontana, apre una sorta di piccolo armadio dipinto di arancione, estrae una scopa e un minuscolo raccoglitore e spazza una parte del marciapiede.
Mi rendo conto che all’esterno di ogni palazzo o abitazione c’è questo minuscolo armadio arancione. “Fa parte della ginnastica quotidiana, indispensabile per sciogliere i muscoli. Chiunque noti per terra una qualche sporcizia, apre l’armadio e dà il suo contributo.”
Ecco come si spiega l’incredibile nitore di queste strade e di queste piazze.
Silvano Agosti, Lettere dalla Kirghisia, dalla Quarta lettera

martedì 6 novembre 2012

VI PUO' ESSERE QUALITA' NELLA SCUOLA DELL'EQUITA'? - Luigi Berlinguer



L’autonomia soffre della discriminazione sociale nella scuola, ma anche della caduta di qualità; soffre se non si realizza l’equità, ma anche se i risultati scolastici non sono buoni. In tal caso i ceti più deboli possono conseguire vantaggi formali, l’illusione di inclusione, ma poi riemergono gli svantaggi; sono ammessi a scuola ma non imparano.
Il segreto sta nel coltivare, assicurare la qualità nella scuola per tutti. Tutti hanno diritto di imparare al massimo delle proprie potenzialità e non al minimo. L’inclusione non è un’elemosina, non è la carità.
Come può realizzarsi questo?
  1. Ponendo al centro l’apprendimento.
  2. Rispettando le diversità degli allievi: vocazioni, attitudini, stili cognitivi, interessi culturali, propensioni professionali. E quindi individualizzando insegnamento e apprendimento.
  3. Moltiplicando la motivazione, e quindi l’impegno e il gradimento studentesco, aumentando così anche la responsabilizzazione.
  4. Modellando gli strumenti didattici su queste diversità e stimolando la partecipazione.

Luigi Berlinguer, L’autonomia incompiuta, “Dirigere la scuola”, XXI (2012), n. 4-5-6 

lunedì 5 novembre 2012

LA CRESCITA NEL RIGORE - Luigi Berlinguer



La grande forza dell’autonomia scolastica sta nell’orientare il corpo docente e dirigente a misurarsi continuativamente con la ricerca didattica e l’innovazione nelle pratiche educative, e non con la pura trasmissione del sapere.
Valutare, verificare il risultato educativo significa non limitarsi al voto, alla promozione o alla bocciatura. Significa affermare la cultura del risultato, e con essa rafforzare la motivazione studentesca, e la disciplina. Il binomio rigore/crescita è un principio universale della società dei liberi e della democrazia partecipativa. Lo studente non è solo chi studia, ma – come diceva la Montessori – chi impara a fare da solo. Questa è l’autonomia.
Le regole di comportamento sono indispensabili. Ma è la partecipazione educativa che le rende più condivise e quindi più accette. La disciplina è innanzitutto responsabilizzazione e corresponsabilizzazione. Ciò non esclude la sanzione, ma la reinserisce in un contesto che le assicura maggiore efficacia, oltre che prevenzione. E la responsabilizzazione diviene effetto di una nuova concezione e pratica gestione della comunità educante, che dà fiducia e sa pretendere.
Luigi Berlinguer, L’autonomia incompiuta, “Dirigere la scuola”, XXI (2012), n. 4-5-6 

lunedì 22 ottobre 2012

ANZIANI SENZA CONFINI - Silvano Agosti



“Cosa significa dunque essere anziani qui in Kirghisia?” Chiedo a una coppia, che all’apparenza non sembra superare i cinquant’anni.
“Per noi che ne abbiamo quasi settanta e abbiamo vissuto gran parte della nostra esistenza prima di tutte queste riforme, significa poter godere della vita nella sua massima estensione e pienezza.
Ogni nostra giornata ha ritrovato il sapore dell’infanzia, con tempi e spazi privi di confini. Ce ne andiamo a visitare le case dell’Arte dove vengono custoditi non soltanto i capolavori, ma anche i disegni dei bambini e in questa festa di colori perdiamo i nostri sguardi, poi incontriamo altri anziani venuti da lontano e ci scambiamo i ricordi.
In ogni piazza ci sono i gruppi di lettura, dove i nostri attori, a turno, leggono brani di letteratura.
Non c’è angolo della Kirghisia dove qualcuno non stia giocando e lo spettacolo della vita si svolge incessantemente sotto gli occhi di tutti.
Silvano Agosti, Lettere dalla Kirghisia, dalla Quarta lettera

venerdì 19 ottobre 2012

UNA SOCIETA' A MISURA D'UOMO - Silvano Agosti



Oggi, durante il pranzo, che abbiamo consumato insieme a un migliaio di giovani nel parco principale della Capitale, il mio accompagnatore si è lasciato andare a una serie di riflessioni.
“Ognuno di noi è un capo di Stato, se non altro dello Stato che confina con se stessi. In fondo, la vera cultura sono i comportamenti e di questi ognuno di noi è autore, garante e responsabile. Ogni essere che viene al mondo cresce nella libertà e si atrofizza nella dipendenza.
La Kirghisia è soprattutto il territorio in cui il cuore umano può battere senza paure, perché qui si è cercato e si cerca di eliminare ogni forma di dipendenza. In questo piccolo paese, sperduto nel cuore dell’Asia, si tenta di portare al primo posto i desideri e le necessità degli esseri umani. Ogni settore del sociale viene organizzato a misura d’uomo, nella consapevolezza che il soggiorno sul pianeta sia, per ognuno, un’occasione unica e irripetibile nell’arco intero dell’eternità, e che quindi debba essere concepito nel modo più favorevole alla vita. Così, oltre a limitare il tempo di lavoro e ad offrire un’esperienza formativa basata sul gioco e sull’informazione certa, qui si va disegnando un percorso esistenziale, dalla nascita fino al termine dell’energia vitale, capace di offrire a ognuno una serenità quotidiana priva di turbamenti”.
Ho trascritto per voi, cari amici, il senso del discorso che mi ha avvinto nel profondo del cuore, tanto che alla fine siamo rimasti a lungo in silenzio e abbiamo comunicato solo con qualche sorriso.
Amici cari, vi abbraccio.
Silvano Agosti, Lettere dalla Kirghisia, dalla Terza lettera

mercoledì 10 ottobre 2012

ARRIVO IN KIRGHISIA - Silvano Agosti



Cari amici,
non sono venuto in Kirghisia per mia volontà o per trascorrere le ferie, ma per caso.
Improvvisamente ho assistito al miracolo di una società nascente, a misura d’uomo, dove ognuno sembra poter gestire il proprio destino e la serenità permanente non è utopia, ma un bene reale e comune.
Qui sembra essere accaduto tutto ciò che negli altri Paesi del mondo, da secoli, non riesce ad accadere.
Arrivando in Kirghisia ho avuto la sensazione di “tornare” in un luogo nel quale in realtà non ero mai stato. Forse perché da sempre sognavo che esistesse.
Il mio strano “ritorno” in questo meraviglioso Paese, è accaduto dunque casualmente.
Per ragioni tecniche, l’aereo sul quale viaggiavo ha dovuto fare scalo due giorni nella capitale.
Qui in Kirghisia, in ogni settore pubblico e privato non si lavora più di tre ore al giorno, a pieno stipendio, con la riserva di un’eventuale ora di straordinario. Le rimanenti 20 o 21 ore della giornata vengono dedicate al sonno, al cibo, alla creatività, all’amore, alla vita, a se stessi, ai propri figli e ai propri simili.
La produttività si è così triplicata, dato che una persona felice sembra essere in grado di produrre, in un giorno, più di quanto un essere sottomesso e frustrato riesce a produrre in una settimana.
In questo contesto, il concetto di “ferie” appare goffo e perfino insensato, qui dove tutto sembra organizzato per festeggiare ogni giorno la vita.
L’attuale concetto occidentale di ferie, invece, risulta feroce, quanto la concezione stessa del lavoro, non soltanto perché interferisce in modo profondo con il senso della libertà, ma perché ne trasforma e deforma il significato. Nel periodo di ferie, milioni di persone sono obbligate a divertirsi, così come nel resto dell’anno sono obbligate a lavorare senza tregua, a sognare di trovare un lavoro o a guarire dai guasti e dalle malattie, causate da un’attività lavorativa coatta e quotidiana.
Questo meccanismo delle otto ore di lavoro ogni giorno, produce da sempre tensioni sociali, nevrosi, depressioni, malattie e soprattutto la sensazione precisa di perdere per sempre l’occasione della vita.
La proposta risanatrice di questi invisibili orrori, si è risolta nello Stato della Kirghisia, dove sono state realizzate una serie di riforme che in pochi anni hanno modificato le abitudini e i comportamenti dei suoi cittadini.
Silvano Agosti, Lettere dalla Kirghisia, dalla Prima lettera

domenica 23 settembre 2012

IL CAPPELLINO - Bruno Ferrero



"Se non me lo lasci fare non potrò andare a scuola! Mi vergognerei troppo... È terribilmente importante, mamma!". Elena scoppiò a piangere. Era la sua arma più efficace. "Uffa', fa' come vuoi..." brontolò la madre, sbattendo il cucchiaino nel lavello. "Sembrerai un mostro. Peggio per te!".
In altre 23 famiglie stava avvenendo una scenetta più o meno simile. Erano i ragazzi della Seconda B della Scuola Media "Carlo Alberto di Savoia". Per quel giorno avevano preso una decisione importante.
Ma gli allievi della Seconda B erano 25. In effetti, solo nella venticinquesima famiglia, le cose stavano andando in un modo diverso. Elisabetta era un concentrato di apprensione, la mamma e il papà cercavano di incoraggiarla. Era la quindicesima volta che la ragazzina correva a guardarsi allo specchio. "Mi prenderanno in giro, lo so. Pensa a Marisa che non mi sopporta o a Paolo che mi chiama canna da pesca! Non aspetteranno altro!". Grossi lacrimoni salati ricominciarono a scorrere sulle guance della ragazzina. Cercò di sistemarsi il cappellino sportivo che le stava un po' largo. Il papà la guardò con la sua aria tranquilla: "Coraggio Elisabetta. Ti ricresceranno presto. Stai reagendo molto bene alla cura e fra qualche mese starai benissimo". "Sì, ma guarda!". Elisabetta indicò con aria affranta la sua testa che si rifletteva nello specchio, lucida e rosea. La cura contro il tumore che l'aveva colpita due mesi prima le aveva fatto cadere tutti i capelli. La mamma la abbracciò: "Forza Elisabetta! Si abitueranno presto, vedrai...". Elisabetta tirò su con il naso, si infilò il cappellino, prese lo zainetto e si avviò.
Davanti alla porta della Seconda B, il cuore le martellava forte. Chiuse gli occhi ed entrò. Quando riaprì gli occhi per cercare il suo banco, vide qualcosa di strano. Tutti, ma proprio tutti, i suoi compagni avevano un cappellino in testa! Si voltarono verso di lei e sorridendo si tolsero il cappello esclamando: "Bentornata Elisabetta! ". Erano tutti rasati a zero, anche Marisa così fiera dei suoi riccioli, anche Paolo, anche Elena e Giangi e Francesca... Tutti! Ma proprio tutti! Si alzarono e abbracciarono Elisabetta che non sapeva se piangere o ridere e mormorava soltanto: "Grazie...".
Dalla cattedra, sorrideva anche il professor Donati, che non si era rasato i capelli, semplicemente perché era pelato di suo e aveva la testa come una palla da biliardo.

Bruno Ferrero, Ma noi abbiamo le ali

sabato 22 settembre 2012

IL PRIMO GIORNO CHE VORREI - Alessandro D’Avenia


Che cosa avrei voluto sentirmi dire il primo giorno di scuola dai miei professori o cosa vorrei che mi dicessero se tornassi studente? Il racconto delle vacanze? No. Quelle dei miei compagni? No. Saprei già tutto. Devi studiare? Sarà difficile? Bisognerà impegnarsi di più? No, no grazie. Lo so. Per questo sto qui, e poi dall’orecchio dei doveri non ci sento. Ditemi qualcosa di diverso, di nuovo, perché io non cominci ad annoiarmi da subito, ma mi venga almeno un po’ voglia di cominciarlo, quest’anno scolastico. Dall’orecchio della passione ci sento benissimo.
Dimostratemi che vale la pena stare qui per un anno intero ad ascoltarvi. Ditemi per favore che tutto questo c’entra con la vita di tutti i giorni, che mi aiuterà a capire meglio il mondo e me stesso, che insomma ne vale la pena di stare qua. Dimostratemi, soprattutto con le vostre vite, che lo sforzo che devo fare potrebbe riempire la mia vita come riempie la vostra. Avete dedicato studi, sforzi e sogni per insegnarmi la vostra materia, adesso dimostratemi che è tutto vero, che voi siete i mediatori di qualcosa di desiderabile e indispensabile, che voi possedete e volete regalarmi. Dimostratemi che perdete il sonno per insegnare quelle cose che – dite – valgono i miei sforzi. Voglio guardarli bene i vostri occhi e se non brillano mi annoierò, ve lo dico prima, e farò altro. Non potete mentirmi. Se non ci credete voi, perché dovrei farlo io?
E non mi parlate dei vostri stipendi, del sindacato, della Gelmini, delle vostre beghe familiari e sentimentali, dei vostri fallimenti e delle vostre ossessioni. No. Parlatemi di quanto amate la forza del sole che brucia da 5 miliardi di anni e trasforma il suo idrogeno in luce, vita, energia. Ditemi come accade questo miracolo che durerà almeno altri 5 miliardi di anni. Ditemi perché la luna mi dà sempre la stessa faccia e insegnatemi a interrogarla come il pastore errante di Leopardi. Ditemi come è possibile che la rosa abbia i petali disposti secondo una proporzione divina infallibile e perché il cuore è un muscolo che batte involontariamente e come fa l’occhio a trasformare la luce in immagini. Ci sono così tante cose in questo mondo che non so e che voi potreste spiegarmi, con gli occhi che vi brillano, perché solo lo stupore conosce.
E ditemi il mistero dell’uomo, ditemi come hanno fatto i Greci a costruire i loro templi che ti sembra di essere a colloquio con gli dei, e come hanno fatto i Romani a unire bellezza e utilità come nessun altro. E ditemi il segreto dell’uomo che crea bellezza e costringe tutti a migliorarsi al solo respirarla. Ditemi come ha fatto Leonardo, come ha fatto Dante, come ha fatto Magellano. Ditemi il segreto di Einstein, di Gaudì e di Mozart. Se lo sapete, ditemelo.
Ditemi come faccio a decidere che farci della mia vita, se non conosco quelle degli altri. Ditemi come fare a trovare la mia storia, se non ho un briciolo di passione per quelle che hanno lasciato il segno. Ditemi per cosa posso giocarmi la mia vita. Anzi no, non me lo dite, voglio deciderlo io, voi fatemi vedere il ventaglio di possibilità. Aiutatemi a scovare i miei talenti, le mie passioni e i miei sogni. E ricordatevi che ci riuscirete solo se li avete anche voi i vostri sogni, progetti, passioni. Altrimenti come farò a credervi? E ricordatemi che la mia vita è una vita irripetibile, fatta per la grandezza, e aiutatemi a non accontentarmi di consumare piccoli piaceri reali e virtuali, che sul momento mi soddisfano, ma sotto sotto sotto mi annoiano.
Sfidatemi, mettete alla prova le mie qualità migliori, segnatevele su un registro, oltre a quei voti che poi rimangono sempre gli stessi. Aiutatemi a non illudermi, a non vivere di sogni campati in aria, ma allo stesso tempo insegnatemi a sognare e ad acquisire la pazienza per realizzarli quei sogni, facendoli diventare progetti.
Insegnatemi a ragionare, perché non prenda le mie idee dai luoghi comuni, dal pensiero dominante, dal pensiero non pensato. Aiutatemi a essere libero. Ricordatemi l’unità del sapere e non mi raccontate solo l’unità d’Italia, ma siate uniti voi dello stesso consiglio di classe: non parlate male l’uno dell’altro, vi prego. E ricordatemelo quanto è bello questo Paese, parlatemene, fatemi venire voglia di scoprire tutto quello che nasconde prima ancora di desiderare una vacanza a Miami. Insegnatemi i luoghi prima dei non luoghi. E per favore, un ultimo favore, tenete ben chiuso il cinismo nel girone dei traditori. Non nascondetemi le battaglie, ma rendetemi forte per poterle affrontare e non avvelenate le mie speranze, prima ancora che io le abbia concepite. Per questo, un giorno, vi ricorderò.

Alessandro D'Avenia, “Avvenire”, 10 settembre 2012

mercoledì 12 settembre 2012

32. COME L'ACQUA DEL MARE - Francesco Callegari



Si è soliti paragonare la scuola a una nave. E’ una bella immagine se si pensa a quanto la scuola sia simile a un vascello: come un veliero anche la scuola ha un proprio equipaggio, trasporta dei passeggeri, è dotata di strumenti e attrezzature, viaggia verso una meta.
Docenti, personale amministrativo e collaboratori scolastici rappresentano l’equipaggio del nostro vascello e svolgono in modo preciso e coordinato tutti i compiti necessari alla buona navigazione. I passeggeri sanno di essere in mani esperte e si affidano alla competenza del personale godendo le opportunità dello stare insieme, del vedere cose nuove, del conoscere e dell’imparare. Come una nave, anche la nostra scuola ha i propri armatori: i finanziamenti che provengono dallo Stato, dagli Enti Locali, dalle famiglie e dagli sponsor contribuiscono a rendere più confortevole il nostro viaggio ed efficiente la navigazione.
Il vascello punta a una meta. A determinarla non può però essere la volontà del singolo; a indicare la destinazione è piuttosto il convergere delle volontà di tutti coloro che a vario titolo hanno a che fare con la scuola: le famiglie e gli studenti con le loro richieste e le loro aspettative; i docenti e il personale che a queste richieste danno risposta con un Piano dell’Offerta formativa; i finanziatori che forniscono l’equipaggio, sostengono i progetti, propongono una meta.
Riconoscere che tutte queste volontà particolari hanno pari dignità e che bisogna tenerle presenti nel momento di determinare la rotta, consente di affrontare più serenamente e con maggiore consapevolezza la sfida continua della navigazione. Il compito principale del dirigente scolastico è proprio quello di interpretare le diverse volontà e proporre una rotta lungo una direzione e verso una meta che contemperi i bisogni e le aspettative con le risorse e i vincoli.
Per poter fare questo, il dirigente dovrebbe essere come l’acqua del mare che sostiene il veliero e gli consente di navigare, ed essere come il vento che dà la forza alle vele.
Se riuscissi a essere queste due cose, sarei veramente il vostro “dirigente”. E il mio lavoro avrebbe il senso di colui che consente di viaggiare ogni giorno lungo una rotta, cercando la migliore tra le mille possibili per raggiungere felicemente insieme la nostra Itaca.

Buona navigazione
Francesco Callegari
Dirigente Scolastico 

martedì 5 giugno 2012

PARADISE OR OBLIVION - The Venus Project



Il documentario analizza l’origine, le cause e i sintomi della distorsione dei valori determinata dal sistema in cui viviamo. La presentazione di questo video mira a promuovere un nuovo sistema socio-economico aggiornato alle conoscenze attuali e basato sul lavoro di una vita dell'ingegnere sociale, futurista, inventore e progettista industriale Jacque Fresco che, lui stesso, definisce Economia Basata sulle Risorse (Resource-Based Economy).

Il film indaga la necessità di superare i metodi datati e inefficienti del sistema politico, legislativo ed economico o qualsiasi altra struttura istituzionalizzata per la gestione della società. Grazie all’utilizzo del metodo scientifico, associato all’applicazione della tecnologia odierna, è possibile provvedere non solo ai bisogni di ogni essere umano sulla Terra, ma anche offrire abbondanza a tutti. Il film non si basa sulle opinioni di élite politico-finanziarie o su illusorie democrazie, ma su studi scientifici per il mantenimento di un equilibrio dinamico con il pianeta.
“Paradiso o Autodistruzione” introduce lo spettatore a un sistema di valori più adeguati, per attuare un approccio olistico e razionale che sia a beneficio della civiltà umana. Vuole essere un’alternativa alla realtà sociale odierna basata sul denaro, controllata e orientata verso la scarsità fittizia.


Tutti i contenuti del documentario sono di proprietà del The Venus Project
Traduzione testi: Linguistic Team
Doppiaggio a cura del Movimento Zeitgeist italia
Direzione doppiaggio: Ezio Coriglione
Le Voci
Narratore: Sisco
Jacque Fresco: Francesco Gobbi
Roxanne Meadows: Ester Parulli
Giornalista tv: Missione Zeitgeist

martedì 29 maggio 2012

I GIOVANI E LA SPERANZA - Ernesto Olivero



«Chi punta solo sui giovani senza mettere in discussione il sistema che noi adulti ci siamo dati, sbaglia. I giovani sono il frutto di questo mondo di adulti che non è stato capace di dire che la droga è sbagliata, che rubare è sbagliato, che passare sul cadavere di un altro per fare carriera è sbagliato…
Quindi abbiamo una generazione dei giovani che, negli anni a venire, rischia di essere peggiore degli adulti di oggi. A meno che questi facciano autocritica e chiedano scusa. Allora i giovani avranno ancora la voglia di rimettersi in gioco.
Io dico loro: “Entrate nel partito che volete, ma portate la vostra etica e i vostri sogni… Non abbandonate i sogni”. Ma oggi i giovani non sognano più, e sono gli adulti che li hanno rovinati. Dunque è questa riconciliazione che dobbiamo operare”.
Ernesto Olivero, Intervista al Festival biblico 2012

sabato 26 maggio 2012

IL TIMONE AI GIOVANI - Carl Gustav Jung (1875-1961)



Nei momenti di grande instabilità e mutamento è logico che siano i giovani a prendere il timone, perché sono i giovani a possedere audacia, energia e spirito di avventura. Oltretutto è il loro futuro che è in gioco. Questo è il loro azzardo, il loro esperimento.
Altrettanto naturalmente la vecchia generazione di schiera contro, anche se l’esperienza di vita dovrebbe averle insegnato che è necessario assecondare questo inevitabile corso di eventi. La vecchia generazione ha già avuto il suo momento. E la spaccatura tra le generazioni è dovuta precisamente al fatto che la vecchia generazione non ha saputo assecondare i tempi e, anziché prevederla, si è lasciata sopraffare dalla tempesta della nuova èra.
Carl Gustav Jung, in Jung parla

sabato 12 maggio 2012

LETTERA APERTA A MARCO ROSSI DORIA "MAESTRO DI STRADA" - Simonetta Salacone



Carissimo collega,
(mi permetto questa confidenza in nome di una professione , quella docente, che anche io ho svolto con passione e che, credo, dia un senso alla tua presenza, oggi, nel Governo dei tecnici) come ben sai, sulla scuola italiana, sempre più investita da tagli agli organici, alle risorse finanziarie, ai servizi di supporto; afflitta per il prossimo anno scolastico da dimensionamenti che produrranno “iperistituti” con numeri mostruosi di plessi e sezioni staccate; sempre più tormentata dalla precarietà dei docenti; oberata da compiti di amministrazione e gestione impropri, in nome di un’autonomia che, senza risorse, si è ridotta ad un “fai da te” dei poveri…su questa scuola umiliata, offesa, accusata di inefficienza anche quando riesce a dare prestazioni di qualità in situazioni di deserti culturali e sociali….si sta per abbattere di nuovo il tormentone delle prove dell‘INVALSI.
Il Ministero si ostina ad ignorare il disagio e la resistenza che gran parte dei docenti, spesso quella più qualificata e motivata, esprime da anni verso un progetto che l’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Scolastico Italiano intende effettuare con prove (per lo più test a risposta chiusa) a cui quest’anno verranno sottoposti, fra il 9 e il 16 maggio, tutti gli alunni delle classi I e V della Primaria, delle classi I della Secondaria di primo grado e delle classi II della Secondaria di secondo grado.
Le prove , come nei precedenti anni scolastici, verranno somministrate con modalità identiche su tutto il territorio nazionale, a prescindere dai contesti socio – culturali, dalla composizione delle classi, dai programmi effettivamente svolti, dai sistemi di valutazione adottati dai Collegi dei docenti e dai Consigli di classe.
La valutazione è tema delicato che non si può affrontare in maniera parziale e senza una interlocuzione continua e approfondita con i docenti che nelle scuole operano . I Collegi sanno ben distinguere la valutazione formativa, che si svolge lungo tutto il percorso annuale, da quella finale o sommativa. Sanno che il “valore aggiunto” di una scuola non si misura solo attraverso i risultati ottenuti in termini di abilità da tutti gli alunni, in un certo momento dell’anno, ma anche attraverso i percorsi realizzati per non perdere i soggetti più fragili e attraverso la capacità che i docenti esprimono di leggere i bisogni educativi dei singoli alunni e di sostenerne lo sviluppo complessivo della personalità.
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