Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

NEWS

Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
Visualizzazione post con etichetta FEDE. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta FEDE. Mostra tutti i post

sabato 10 settembre 2016

I PECCATI DEL VESCOVO – Anthony De Mello (1931-1987)


Una donna riteneva che Dio le apparisse in visione. Andò quindi a consigliarsi dal proprio vescovo. Costui le fece la seguente raccomandazione:
Cara signora, lei forse sta credendo a delle illusioni. Deve capire che in qualità di vescovo della diocesi sono io che posso decidere se le sue visioni sono vere o false”.
“Certo, Eccellenza”.
“Questa è una mia responsabilità, un mio dovere”.
“Perfetto, Eccellenza".
“Allora, cara signora, faccia quello che le ordino”.
“Lo farò, Eccellenza”.
“Ascolti: la prossima volta in cui Dio le apparirà, come lei sostiene, lo sottoponga a una prova per sapere se è realmente Dio”.
“D'accordo, Eccellenza. Ma qual è la prova?”.
“Dica a Dio: “Rivelami, per favore, i peccati personali e privati del signor vescovo". Se è davvero Dio ad apparirle, costui le rivelerà i miei peccati. Poi, torni qui e mi racconti cosa avrà risposto; a me, e a nessun altro. D'accordo?”.
Farò proprio così, Eccellenza”.
Un mese dopo, la signora chiese di essere ricevuta dal vescovo, che le domandò: "Le è apparso di nuovo Dio?".
“Credo di sì, Eccellenza”.
“Gli ha chiesto quello che le ho ordinato?”.
“Certo, Eccellenza!”.
“E cosa le ha risposto Dio?”
“Mi ha detto: “Di' al vescovo che mi sono dimenticato tutti i suoi peccati!””.

Anthony De Mello, Istruzioni di volo per aquile e polli, Piemme, Milano 1996, p. 7-8.


sabato 16 aprile 2016

IL BAMBINO IN AEREO


Un uomo stava osservando un bambino che era solo nella sala d’attesa di un aeroporto, aspettando l’annuncio della partenza del volo. All’imbarco, il bambino fu condotto da una hostess al suo posto, vicino al finestrino. Casualmente, l’uomo che lo stava osservando, si trovò a essergli seduto accanto. A un certo punto, durante il volo, il bambino tirò fuori un libro dalla borsa e alcuni pastelli e cominciò a colorare, senza mostrare ansia o preoccupazione per il fatto di essere solo in un aereo.
All’improvviso però l’aereo entrò in una grave turbolenza e tutti i passeggeri si spaventarono molto. Il bambino sembrava invece essere in un altro mondo, ancora concentrato sui suoi dipinti, come se fosse placidamente seduto nel salotto di casa sua. Una signora molto provata dalla situazione e quasi senza voce chiese al bambino: “Non hai paura?”
“No signora, non ho paura”, rispose, sollevando rapidamente gli occhi dal suo libro da colorare.
“Il pilota è mio papà!”
Autore sconosciuto


sabato 19 dicembre 2015

FEDE – Mariapia Veladiano


Come si racconta il sentirsi avvolti da un bene nascosto che non dà spettacolo, non si mostra, si trova a sorpresa dietro l’angolo della solitudine più totale, sa l’arte insolita di ascoltare anche se non ci sono risposte da dare, perché proprio non ci sono, non perché non le si sa dire. E si è appagati, quel che basta per non vivere di tormente e si sente che, anche se non capita a noi ora, si può essere una cosa sola, e così si scioglie la paura in un fare prudente e anche potente perché di questo credere insieme ha bisogno chi è nel bisogno e in nessun caso l’esser scettici li aiuta, ci aiuta, e allora con la schiena dritta in fronte al cielo si è travolti di gratitudine per chi, qui sulla terra, ci ha amato di un amore che ci ha voluto oltre ogni ragionevole contare il bene e il male, ci ha tenuto anche quando era chiaro il nostro errore e inevitabile la sua passione
Ha creduto che una vita screpolata, arroccata sopra strade come gironi, porta una promessa senza misura, così grande che riaffiora e riaffiora malgrado il nostro costruir macerie di cemento e di parole e si può, grazie a questo, dir di sì a tanto, non a tutto, ma a molto: al fallimento, perché so che può non essere finita, alla slavina del tempo e anche alla morte, perché sotto, sopra e intorno ho visto che c’è sempre vita.
Mariapia Veladiano, Ma come tu resisti, vita, p. 27.


martedì 8 dicembre 2015

IL SOGNO DI MARIA - Fabrizio De André



Il sogno di Maria cantato da Guido Maria Grillo
Immagini tratte da "Il vangelo secondo Matteo" di Pier Paolo Pasolini

IL SOGNO DI MARIA

Nel grembo umido, scuro del tempio
l'ombra era fredda, gonfia d'incenso;
l'angelo scese, come ogni sera,
ad insegnarmi una nuova preghiera:
poi, d'improvviso, mi sciolse le mani
e le mie braccia divennero ali ,
quando mi chiese "conosci l’estate"
io, per un giorno, per un momento,
corsi a vedere il colore del vento.

Volammo davvero sopra le case
oltre i cancelli, gli orti le strade:
poi scivolammo tra valli fiorite
dove all'ulivo si abbraccia la vite.

Scendemmo là, dove il giorno si perde
a cercarsi, da solo nascosto tra il verde,
e lui parlò come quando si prega,
ed alla fine d'ogni preghiera
contava una vertebra della mia schiena.

(... e l'angelo disse "Non temere, Maria, infatti hai trovato grazia presso
il Signore e per opera Sua concepirai un figlio…")

Le ombre lunghe dei sacerdoti
costrinsero il sogno in un cerchio di voci.
Con le ali di prima pensai di scappare
ma il braccio era nudo e non seppe volare:
poi vidi l'angelo mutarsi in cometa
e i volti severi divennero pietra,
le loro braccia profili di rami,
nei gesti immobili d'un'altra vita
foglie le mani, spine le dita.

Voci di strada, rumori di gente,
mi rubarono al sogno per ridarmi al presente.
Sbiadì l'immagine, stinse il colore,
ma l'eco lontana di brevi parole
ripeteva d'un angelo la strana preghiera
dove forse era sogno ma sonno non era

"lo chiameranno figlio di Dio"
parole confuse nella mia mente,
svanite in un sogno , ma impresse nel ventre.

E la parola ormai sfinita
si sciolse in pianto,
ma la paura dalle labbra 
si raccolse negli occhi
semichiusi nel gesto
d'una quiete apparente
che si consuma nell'attesa
d'uno sguardo indulgente.

E tu, piano, posasti le dita
all'orlo della sua fronte:
i vecchi quando accarezzano
hanno il timore di far troppo forte.

Fabrizio De André, La buona novella, 1970



lunedì 30 novembre 2015

UN PICCOLO PRESEPE IN OGNI CLASSE – Giovanni Zen


Fra un mese è Natale. Sapendo il significato di questa “festa”, nella nostra storia occidentale, al di là dello scivolamento consumistico degli ultimi decenni, cioè di una “festa” nata da un valore fortemente religioso che ha fatto crescere in tutti, al di là delle stesse convinzioni religiose, valori universali di fratellanza e solidarietà, credo sarebbe bello che in tutte le classi, per vostra iniziativa, ci fosse un piccolo presepe, magari con un piccolo albero di Natale. Un presepe ed un albero in ogni classe, piccoli segni-simboli.
Sappiamo tutti del momento difficile che stiamo vivendo, per gli attentati e la minaccia terroristica. Riaffermare dunque i valori-base attraverso questi piccoli segni-simboli, valori che sono il cuore della nostra cultura, religiosa e civile, (una cultura “nostra” nel suo valore universale), specialmente in questo momento, penso sia il modo migliore per aiutarci a non rassegnarci alle logiche della paura, del terrore, del sospetto, della prevaricazione. In tutti i sensi.
Qual è il valore del Natale, anche in senso civile? Quello cantato in una vecchia canzone di Renato Zero: “La vita è un dono”. Non ci sono economicismo ed utilitaristico che tengano, di fronte al dono della vita.
Un verso, poi, di una canzone di Biagio Antonacci (“Ti dedico tutto”) ci dice anche come reagire di fronte a questo momento storico: “Il mestiere si impara, il coraggio ti viene, il dolore guarisce, la tempesta ha una fine, ma diverso è sapere la cosa più giusta, siamo naufraghi vivi in un mare d’amore”.
Credo sia sempre utile, infine, quanto ricordato tempo fa da Maurizio Crozza: nel presepe c’è una coppia di immigrati, senza documenti, senza casa, quindi clandestini, con Maria che aspetta il figlio di un altro, che vanno ad occupare una capanna abusivamente...
Sappiamo che la convivenza richiede regole, reciprocità, rispetto, tolleranza, libertà responsabile, solidarietà, ecc.. Ma, forse, dovremmo tutti imparare, oltre tutto e tutti, che “la cosa suprema, che si può conquistare nella vita, è non voler possedere nulla. Neppure in amore” (Ernst Wiechert). Il vero senso universale del Natale.

Giovanni Zen, dirigente scolastico

domenica 12 ottobre 2014

HO FATTO DEL MIO CUORE LA TUA DIMORA - David Maria Turoldo


Ho fatto del mio cuore
la tua dimora
scambiando l'abbraccio
con il fratello
di qualsiasi colore.

David Maria Turoldo, Il sesto angelo, Mondadori, Milano 1976.

domenica 24 agosto 2014

LE PAROLE DEL FIGLIO (2) - Paulo Coelho


L'angelo sfiorò la spalla del vecchio e tutti e due furono proiettati in un futuro lontano. Comparve intorno a loro un luogo immenso, gremito di migliaia di persone, che parlavano una strana lingua.
Il vecchio pianse di gioia. “Sapevo che i versi di mio figlio poeta erano belli e immortali,” disse rivolto all'angelo, fra le lacrime. “Vorrei che mi dicessi quale delle sue poesie queste persone stanno recitando.”
L'angelo, allora, si avvicinò al vecchio con affetto: si sedettero entrambi su una delle panchine che si trovavano in quel luogo immenso. “I versi del tuo figliolo poeta sono stati molto popolari a Roma,” disse l'angelo. “Piacevano a tutti, e tutti si divertivano. Ma quando il regno di Tiberio ebbe fine, anche i suoi versi furono dimenticati. Queste parole sono quelle del tuo figliolo che è entrato nell'esercito.”
Il vecchio guardò l'angelo con sorpresa.
“Tuo figlio è andato militare in un luogo distante ed è divenuto centurione. Era anche un uomo giusto e buono. Un pomeriggio, uno dei suoi servi cadde ammalato e stava per morire. Tuo figlio, allora, avendo sentito parlare di un Maestro che guariva gli ammalati, camminò per giorni e giorni in cerca di quell’uomo. Strada facendo, scoprì che l'uomo di cui andava in cerca era il Figlio di Dio. Incontrò altre persone che erano state guarite da lui, apprese i suoi insegnamenti e, pur essendo un centurione romano, si convertì alla sua fede. Finché, una mattina, giunse al cospetto del Maestro. Gli raccontò del servo ammalato. E il Maestro si offrì di riaccompagnarlo fino a casa. Ma il centurione era un uomo di fede e, guardandolo nel profondo degli occhi, capì di trovarsi al cospetto del Figlio di Dio, quando tutti intorno a loro si alzarono. ”
“Queste sono le parole di tuo figlio,” disse l'angelo al vecchio. “Sono le parole che pronunciò davanti al Maestro in quel momento e che non furono mai più dimenticate: Signore, io non sono degno che entri nella mia casa, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà salvo.”

Paulo Coelho, L’alchimista, 1988, ed. it. Bompiani, Milano 1995, P. 173-174.

domenica 9 febbraio 2014

LA FINE DEI RITI – Tiziano Terzani


La fine dei riti l'ho vista realizzarsi nel corso della mia vita e, ora che guardo indietro, mi pesa aver dato, allora entusiasticamente, il mio contributo a questa grande perdita. Quand'ero ragazzo, i neonati - anche quelli dei comunisti come me - venivano ancora battezzati, ai morti si faceva ancora la veglia e un vero funerale, e i matrimoni erano una festa corale officiata non solo dinanzi al divino, ma anche dinanzi a decine di parenti e amici che diventavano così implicitamente garanti di quell'unione.
Ma io ero ribelle. Non volli sposarmi e quando lo feci, soprattutto per ragioni di assicurazione malattia, fu in fretta, quasi di nascosto, alla sola presenza dei testimoni indispensabili e davanti a un sindaco che, non volendolo democristiano, dovetti andare a cercare lontano da Firenze, nel comune di Vinci, dove di buono c'era che vi era nato Leonardo. I figli, poi, non li feci battezzare e non fui presente né alla morte di mio padre, né a quella di mia madre.
Eppure, da piccolo i riti mi piacevano e ancora oggi ricordo come una delle grandi gioie della vita la vera e propria cerimonia con cui a quattordici anni, per marcare il mio «diventare uomo», i miei genitori mi consegnarono il primo paio di pantaloni lunghi che, poveri com'erano, avevano dovuto comprare a rate. Ma il vento dei tempi tirava in un'altra direzione e io semplicemente volai con quello, dando una mano a distruggere qualcosa che non è stato sostituito con nulla, lasciando un miserabile vuoto.

Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra, p. 368-369

giovedì 6 febbraio 2014

IL SUO EQUIPAGGIAMENTO – Paulo Coelho


Un guerriero della luce conosce i propri difetti. Ma conosce anche i propri pregi.
Alcuni compagni si lamentano in continuazione: "Gli altri hanno più opportunità di noi."
Forse hanno ragione. Ma un guerriero non si lascia paralizzare da questo. Cerca di valorizzare al massimo le proprie qualità.
Sa che il potere della gazzella consiste nell'abilità delle sue zampe. E quello del gabbiano è nella precisione con cui afferra il pesce. Ha appreso che una tigre non teme la iena perché è consapevole della propria forza.
Allora cerca di sapere su cosa può contare. E controlla sempre il suo equipaggiamento, composto di tre cose: fede, speranza e amore.
Se queste tre cose sono presenti, egli non ha alcuna esitazione nell'andare avanti.

Paulo Coelho, Manuale del guerriero della luce, p. 39

giovedì 26 dicembre 2013

CARO SAN GIUSEPPE - Tonino Bello


San Giuseppe appartiene alla famiglia di quei piccoli del Vangelo, umili e discreti, che non occupano molto spazio, si muovono con leggerezza, sono creature che, mentre vivono nell'ombra, esprimono una luce interiore che rende meravigliosa la loro presenza.

Caro San Giuseppe, scusami se approfitto della tua ospitalità e, con una audacia al limite della discrezione, mi fermo per una mezz’oretta nella tua bottega di falegname per scambiare quattro chiacchiere con te. Tu continua pure a piallare il tuo legno, mentre io, seduto su una panca, in mezzo ai trucioli che profumano di resine, ti affido le mie confidenze… Mio caro San Giuseppe, sono venuto qui per conoscerti meglio come sposo di Maria, come padre di Gesù e come capo di una famiglia per la quale hai consacrato tutta la tua vita. E ti dico che la formula di condivisione espressa da te come marito di una vergine, la trama di gratuità realizzata come padre del Cristo e lo stile di servizio messo in atto come responsabile della tua casa, mi hanno da sempre incuriosito, e mi piacerebbe capire in che misura questi paradigmi comportamentali siano trasferibili nella nostra “civiltà”.

giovedì 10 ottobre 2013

LA SCOPERTA DI UNA VITA FELICE


Chiara si sentiva del tutto parte della comunità francescana e visse con grande semplicità rapporti informali con i frati. Anche fra le sue compagne non c’era alcuna struttura gerarchica; chi assumeva le responsabilità le considerava un servizio per il bene di tutte.
Quei primi anni ebbero l’incanto della scoperta di una vita felice nella fede.

Chiara Frugoni, Storia di Chiara e Francesco, p. 105-106

lunedì 30 settembre 2013

STORIA DI CHIARA E FRANCESCO - Chiara Frugoni


Due ragazzi benestanti, colti, imbevuti di letture - soprattutto lui - di nobili cavalieri e amori cortesi. Ma quando un giorno questi due giovani, destinati a ereditare gli onori del loro stato sociale, volsero lo sguardo sulle cose degli uomini, videro un mondo che tradiva il messaggio del Vangelo e lo rifiutarono. Decisero, in momenti diversi, di spogliarsi delle loro ricchezze e, nudi, di abbracciare una nuova vita per gli ultimi.
Quelle di Chiara e Francesco furono due esistenze che si intrecciarono strettamente pur percorrendo, ciascuno dei due santi, cammini differenti. Lo scopriamo direttamente dalle loro voci, dai loro scritti, a cui Chiara Frugoni dedica in questo libro uno spazio del tutto nuovo. Facendo parlare direttamente i protagonisti, la Frugoni fa del lettore un compagno di strada di Chiara e Francesco, permettendogli di accostarsi al loro generoso progetto e alle resistenze, ai tradimenti, ai compromessi con cui i due dovettero fare i conti per rendere reale la loro utopia.
Del resto è una storia, quella di Chiara e Francesco, che col passare dei secoli nulla ha perso della sua travolgente novità. Al contrario, è come se il tempo trascorso non smettesse di sottolinearne la radicale modernità: il rapporto con i poveri, e quindi col denaro e il potere; il ruolo non subalterno della donna; la funzione dei laici nell'istituzione religiosa; l'importanza del lavoro manuale in servizio del prossimo e come garanzia di libertà; la relazione con fedi diverse.
Poche altre figure storiche sono riuscite a forgiare un modello di comportamento capace di contrapporsi all'esistente con una radicalità pari alla loro mitezza.

Chiara Frugoni, Storia di Chiara e Francesco, Torino 2011

lunedì 26 agosto 2013

E DISSE - Erri De Luca


La forza profonda della scrittura di Erri De Luca esplode terragna anche in questo libro:
"La terra è la nostra altezza calpestabile. Dal bordo del mare alla cima più alta è tutto quello che ci spetta. Tu sei andato molte volte lassù a cercarti il confine dove la terra smette e io sono venuto con te. Abbiamo la stessa esperienza, la cima è un vicolo cieco dal quale si deve semplicemente ritornare indietro. Lassù la terra non ha altro da aggiungere. Si deve sempre scendere, dare le dimissioni dall'altezza raggiunta" (p. 21-22).
E la sfida lanciata dalla "Parola" diventa agire quotidiano consapevole e responsabile:
"E' grandiosa, sì, la spinta a scalare montagne, cavalcare altezze, ma l'impresa maggiore sta nell'essere all'altezza della terra, del compito assegnato di abitarla" (p. 22).
Un libro piccolo, ma robusto, fatto di parole battute sulla pietra.

F.C.

giovedì 16 maggio 2013

FIDARSI - Patrizia M.



Mariapia Veladiano spiega la fede e la interpreta come una storia, una relazione, con Lui. Credere o non credere, avere fede o perderla.
Per me, fede è sinonimo di fiducia. Dunque, avere fede significa fidarsi di qualcuno. Ci si può fidare di una persona cara, di un amico o anche di Dio stesso. In ogni caso, si ripone la propria fiducia solo in chi infonde sicurezza, non tradisce i nostri segreti, risponde ai nostri dubbi, ci sostiene nelle avversità, non ci abbandona, rispetta le nostre scelte. Quando ci fidiamo di quella persona, qualsiasi cosa accada, siamo certi che in quel momento ci è vicina e ci fa percepire la sua presenza. Non ci si fida di uno chiunque, ma di uno che conosciamo bene, che frequentiamo, che restiamo in contatto, che incontriamo con regolarità e di cui ci si scruta a vicenda nell'anima e ci si confronta nei pensieri. Ci si fida solo di uno che si conosce in profondità.
Tutti noi conosciamo Dio fin da piccoli, perché i nostri genitori ci hanno insegnato a pregare e a seguire i Suoi insegnamenti con i riti religiosi. Poi, crescendo, ci domandiamo se quella sia la vera fede o un'abitudine spirituale improntata a lungo andare da altri. Qualunque sia la risposta, sono convinta che la fede nasce solo da un rapporto sincero, assiduo e reciproco con l'Altro.

P.S.: Bellissima la riflessione "Le nuvole". L'altro giorno mio figlio ammirava estasiato il cielo e le nuvole erano così belle che gli sembravano disegnate dalla mano di un bambino.

Patrizia M.

mercoledì 15 maggio 2013

L'AMORE NON CONOSCE IL TEMPO - Mariapia Veladiano



Cos’è il tempo? Pensiamo che sia qualcosa di ovvio perché ci permette la nostra logica rassicurante: prima e dopo, causa effetto. L’amore non conosce il tempo altrimenti la croce sarebbe un’assurdità che esclude chi è venuto prima. Che amore sarebbe quello che salva solo da oggi in poi?
Queste sono cose che abitano l’eternità. Mettiamo ordine. Adesso siamo qui, con questa realtà che come ogni realtà troverà un compimento in Dio. Anche se non l’ha creata così, lo so. Tutto questo dolore. Tutto questo dolore. Ma in un modo che non so, Dio la salva per noi.

Mariapia Veladiano, Il tempo è un dio breve, p. 190.

domenica 12 maggio 2013

UNA STORIA CON LUI - Mariapia Veladiano



Non è vero che si crede oppure non si crede. Si crede e insieme non si crede, sempre. Noi parliamo di «perseverare» nella fede ed è un’eresia. Bisognerebbe vietare questa parola nel codice di diritto canonico.
Giovanni parla di «rimanere» nella fede ma se guardiamo a cosa vuol dire quel verbo che lui usa una decina di volte nel capitolo quindici del suo vangelo troviamo che è lo stesso con cui Gesù all’inizio del vangelo invita i due discepoli di Giovanni a rimanere con lui.
Rimanere vuol dire «abitare», «fermarsi presso» Gesù. Questo è l’unico rimanere possibile per un cristiano. Non stancarsi di restare davanti a Dio anche quando pensiamo di non credere più.
Restare perché abbiamo una storia con lui.

Mariapia Veladiano, Il tempo è un dio breve, p. 182.

domenica 28 aprile 2013

LA FEDE C'E' O NON C'E' - Mariapia Veladiano



La fede c’è o non c’è. Non è un fatto di buona volontà. Non credere non è il risultato di un rifiuto colpevole. E nemmeno di una colpevole indifferenza, o pigrizia, o mancanza di disposizione.
E’ un segreto delle nostre impossibilità. E’ un’invocazione al silenzio del mondo. Chi non crede in Dio forse non lo ha incontrato in un amore abbastanza grande e rassicurante da suggerire qualcosa dell’amore di Dio. Non credere è dolore o rabbia o anche indifferenza, per qualcosa che non si è mai avuto.
La storia ci dice che a volte l’amore di Dio può raggiungere anche chi non ha sperimentato un amore umano che, per così dire, lo rappresenti. Ma si tratta di eccezioni, miracoli per alcuni, che vengono dal desiderio d’amore, di cui siamo intessuti.
Giudicare che chi non crede sia pigro o in malafede, è non sapere nulla del cuore dell’uomo.
Mariapia Veladiano, Il tempo è un dio breve, p. 19-20.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...