Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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domenica 12 aprile 2020

FEDE NELLA PRIMAVERA


Pasqua 2020

Le dolci brezze si sono risvegliate
spirano e sussurrano giorno e notte.
Si muovono ovunque
aria fresca, nuovo suono.

Ora povero cuore non temere.
Ora tutto, tutto deve cambiare.

Il mondo diventa più bello ogni giorno
e non si sa cosa diventerà.
La fioritura non accenna a finire
e fiorisce anche la valle più profonda.

Ora povero cuore dimentica il tuo tormento.
Ora tutto, tutto deve cambiare.

Ludwig Uhland, Fede nella primavera, 1805


L
a poesia parla all’uomo di ogni tempo e di ogni luogo. Anche questi versi, scritti più di due secoli fa, sembrano rivolti proprio a noi... e proprio adesso. Noi, che stiamo vivendo giorni di turbamento e di angoscia, noi che abbiamo visto la nostra vita e il nostro mondo cambiare da un giorno all’altro, e non sappiamo cosa aspettarci.
Il poeta si rivolge al nostro cuore attonito e le sue parole sono cariche di speranza: ci sembra di camminare sulle sabbie mobili, mentre forse è fertile limo che, dopo l’alluvione, farà fiorire anche la valle più profonda.
Le parole di questa poesia racchiudono tutto l’augurio che sento di fare a voi e alle vostre famiglie in questo momento.

Buona fioritura dal vostro dirigente

Francesco Callegari

giovedì 30 agosto 2018

LA CONSEGNA DEL LAMPIONAIO - Francesco Callegari


Viaggiando nello spazio, il Piccolo Principe scende in un minuscolo pianeta dove incontra il Lampionaio, un uomo che ha il compito di accendere e spegnere l’unico lampione. Questa consegna, apparentemente semplice e chiara, meccanica e ripetitiva, risulta però talmente rigida da non cambiare neppure quando le condizioni esterne variano a tal punto da renderne quasi impossibile l’esecuzione. Il mondo gira sempre più velocemente, ma al Lampionaio è chiesto di rispettare comunque la consegna, trovando i modi e le strategie affinché il lampione sia acceso quando serve e sia spento quando non occorre più. Solo e isolato, il Lampionaio si ritrova a essere l’unico responsabile dell’operazione che garantisce luce e sicurezza a tutto il pianeta. Questo onere lo spinge a condurre affannosamente il suo lavoro, ad agire senza mai trovare un attimo di pace.

Una volta, questo mestiere era ragionevole: si accendeva il lampione di sera e lo si spegneva al mattino, avendo il tempo per riposare. Ora che il pianeta fa un giro al minuto, le cose sono diventate molto più complicate e il Lampionaio non ha più tregua, mentre avrebbe tanto bisogno di coricarsi.

Al Piccolo Principe, quest’uomo fedele al compito, ma stanco da morire, fa pena. Sente di amarlo e, nella sua sfortuna, vorrebbe aiutarlo. Tra tutti i personaggi incontrati nel suo viaggiare, questo è il solo che non gli sembri ridicolo e di cui avrebbe potuto diventare amico. Forse perché è l’unico che spende il suo tempo per gli altri e non per se stesso. 

La metafora del Lampionaio rappresenta bene la figura del Dirigente scolastico e aiuta a comprenderla nei modi in cui è vissuta oggi. Allo stesso modo in cui ricade sul Lampionaio la completa responsabilità della luce del pianeta, così nessuna scuola italiana può rimanere nemmeno per un giorno senza un titolare cui attribuire ogni responsabilità, civile, penale, morale, amministrativa... per tutto ciò che succede in una struttura che in molti casi presenta le dimensioni di un piccolo comune e conta il personale di una media azienda.

Non servono tante parole per descrivere la tensione sopportata da quello che ormai può essere considerato l’anello debole della catena. Con un’immagine potente e significativa, il poeta polacco Stanisław Jerzy Lec mette tutti in guardia dicendo che l'anello più debole è anche il più forte, perché è quello che spezza la catena.

Anche il Muro di Berlino è caduto. E nessuno se l’aspettava.

martedì 1 maggio 2018

TUTTE LE COSE SONO COLLEGATE - Piotr Demianovich Ouspensky



Cercate di, capire quel che dico: tutto dipende da tutto, tutte le cose sono collegate, non vi è niente di separato. Tutti gli avvenimenti seguono dunque il solo cammino che possono prendere. Se le persone potessero cambiare, tutto potrebbe cambiare. Ma esse sono quelle che sono, e di conseguenza le cose, anche esse sono quelle che sono.
P. D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Roma 1976, p. 28


domenica 23 aprile 2017

LE COSE CAMBIANO IN CONTINUAZIONE – Pema Chodron


Le cose cambiano in continuazione, se solo potessimo rendercene conto. Nulla diventa come vorremmo, come lo sogniamo. Lo stato non centrato, intermedio è una situazione ideale, una situazione in cui non veniamo catturati e possiamo aprire i nostri cuori e le nostre menti oltre il limite. E' uno stato delle cose molto tenero, non aggressivo, senza confini precisi.
Stare con quella instabilità - stare con un cuore spezzato, con uno stomaco che brontola, con un senso di disperazione e la voglia di rivincita - questa è la via del vero risveglio. Rimanere con quell'incertezza, imparare il trucco di rilassarsi nel mezzo del caos, imparare a non farsi prendere dal panico - questa è la via spirituale.
Imparare il trucco di afferrare noi stessi in modo gentile e compassionevole è la via del guerriero. Noi afferriamo noi stessi migliaia di volte ancora, che ci piaccia o no, ci irrigidiamo nel rancore, nell'amarezza, nella giusta indignazione - ci irrigidiamo in ogni modo, anche in un senso di sollievo, un senso di ispirazione.
Ogni giorno potremmo pensare all'aggressività nel mondo, a New York, Los Angeles, Halifax, Taiwan, Beirut, Kuwait, Somalia, Iraq, dappertutto. In tutto il mondo ciascuno attacca sempre il proprio nemico e il dolore si intensifica di continuo.
Ogni giorno potremmo riflettere su questo e chiederci: "Voglio aggiungere anche io aggressività al mondo?" Ogni giorno, quando la situazione si fa tesa, potremmo semplicemente chiederci: "Voglio praticare la pace o voglio andare in guerra?".
Pema Chodron, Se il mondo ti crolla addosso. Consigli dal cuore per tempi difficili, Feltrinelli, Milano 2012


venerdì 10 febbraio 2017

VERSO UN’ALTRA STORIA - Robert H. Hopcke



                                                                 disegno di Marie Cardouat

Abbiamo riconosciuto nel tentativo di dirigere e controllare la propria esistenza una tendenza tipica degli esseri umani, quasi che decidere consciamente quale storia vivere e fare tutto il possibile, a prescindere dalle conseguenze, perché le cose vadano proprio così, sia il migliore o l’unico modo per ottenere la felicità e sentirsi realizzati.
Evidentemente, parte della meraviglia suscitata dagli eventi sincronistici risiede nella capacità di ribaltare simili aspettative.
Per puro caso, senza l’esercizio della nostra volontà, accadono a volte certi eventi che ci mostrano come le nostre vite possano seguire una traccia narrativa del tutto diversa, come la storia che ci siamo inventati per noi potrebbe benissimo non essere la nostra, e come soltanto la disponibilità a riconsiderare l’intreccio ci consentirà di utilizzare a nostro vantaggio una coincidenza significativa.
Robert H. Hopcke, Nulla succede per caso, Milano 2003, p. 61-62.


mercoledì 1 febbraio 2017

GLI EVENTI SINCRONISTICI - Robert H. Hopcke

                                                                                 disegno di Marie Cardouat

In primo luogo, essi sono collegati in modo acausale, e non grazie a una catena di cause ed effetti in cui un individuo possa riconoscere il frutto di una decisione intenzionale.
In secondo luogo, il loro verificarsi è sempre accompagnato da una profonda esperienza emotiva che di solito si manifesta contemporaneamente all’evento.
In terzo luogo, il contenuto dell’esperienza sincronistica, ciò che l’evento è, ha un carattere invariabilmente simbolico che è quasi sempre, come ho scoperto, legato al
quarto aspetto: queste coincidenze si verificano in concomitanza con cambiamenti di vita importanti. Molto spesso un evento sincronistico segna una svolta nelle storie della nostra esistenza.
Robert H. Hopcke, Nulla succede per caso, Milano 2003, p. 27.


lunedì 29 agosto 2016

SCUOLE STATALI, GRATUITE, GESTITE DA PRIVATI. IN UK E' UN SUCCESSO – Mario Leone


Il Ministro dell'Istruzione francese Falloux all'epoca di Napoleone III, rispondendo alla domanda di uno straniero sull'insegnamento scolastico in Francia, dopo aver guardato l'orologio disse: "Sono le undici; in tutti i licei francesi, pubblici e privati, si commenta quel determinato passo di Tacito alla terza classe liceale".
L'affermazione di Falloux descrive bene una scuola centralizzata e uniforme, incapace di aprirsi all'iniziativa dei singoli. Una scuola statica, immodificabile. E' sotto gli occhi di tutti la veemente protesta dei docenti italiani che, incuranti della realtà fattuale, reclamano una scuola costruita sulle esigenze degli insegnanti e non degli studenti. Il nostro sistema scolastico è incapace di cambiare e si erge come mummificato spettatore di fronte alle nuove sfide che la realtà pone, privo di risposte alle innumerevoli esigenze che gli alunni palesano.
Basterebbe allargare lo sguardo e si coglierebbe come il "mondo scuola", a livello planetario, già da anni si stia rinnovando. Eclatante è l'esempio del Regno Unito. Dal 2011 ha preso il via il fenomeno delle free school: scuole statali, gratuite, gestite da gruppi privati i cui progetti sono selezionati in maniera attenta e severa dal governo. Il fenomeno presente anche negli Stati Uniti, in Svezia e Nuova Zelanda, ha l'obiettivo di offrire un'educazione/istruzione innovativa e di qualità, non selettiva, con una gestione economica ed educativa assolutamente autonoma. Nel 2011, il governo di coalizione di David Cameron introdusse la policy delle free school. Subito ne furono create venticinque. All'inizio i numeri non sono dei migliori, tante le difficoltà. Tutti gridano all'errore. Sbagliano. In sei anni si contano circa 400 free schools, con vantaggi per le finanze pubbliche, aumento dei posti di lavoro e una capacità di integrare gli alunni di diversa cultura.
Per non parlare del successo scolastico degli alunni, molto al di sopra della media nazionale. Flessibilità oraria, libertà curricolare (ogni istituto sceglie autonomamente le materie e i programmi di studio), docenti selezionati non sulla base di titoli abilitanti o corsi comprati online, ma su effettive competenze e sull'aderenza al progetto educativo della scuola. Contratti di lavoro per i docenti non strettamente legati ai contratti nazionali.
Se ne è parlato al Meeting di Rimini domenica scorsa, durante l'incontro "Autonomia e parità dei sistemi formativi". Matteo Rossetti è un italiano emigrato a Londra che insieme ad altri amici ha creato la Thomson House School. Le sue parole risuonano tra gli stand della Fiera: "Le free school sono scuole fatte dalla comunità per la comunità, che rispondono alle necessità di istruzione e lavoro nelle zone in cui nascono".
I risultati sorprendenti di questo esperimento sono dettagliati in un rapporto della Policy Exchang (2015) che, oltre a ribadire i risultati prettamente scolastici, la bontà della proposta culturale ed educativa, sottolinea altri due risultati: le scuole statali vicine alle free school migliorano sensibilmente i propri risultati rispetto a scuole no free nelle vicinanze. Non solo. L'attenzione che queste scuole riservano agli insegnanti (cura della formazione, stipendi adeguati, incentivi, coinvolgimento nel progetto educativo e nei ruoli di responsabilità) permette una sensibile diminuzione del tasso di assenteismo tra i professori. La varietà dell'offerta formativa è impressionante: la Thomson School di Rossetti si caratterizza per una grande attenzione all'attività sportiva e musicale (tre ore a settimana per ciascuna disciplina). La West London Free School cura le attività musicali e teatrali, con spettacoli messi in scena nei più importanti teatri del Regno Unito. La Harris Westminster Sixth Form, attenta a tutte le situazioni di svantaggio, punta a preparare l'adolescente agli studi universitari soprattutto in materia politica e affari, proponendo un'ampia varietà di approfondimenti pomeridiani. Gli esempi infiniti.
La domanda una sola: quando il modello delle free school arriverà in Italia?

Mario Leone, “Il Foglio”, 25 agosto 2016

giovedì 28 aprile 2016

SAPER ASCOLTARE - Jiddu Krishnamurti (1895-1986)


Vi siete mai seduti in silenzio senza fermare l'attenzione su una cosa qualsiasi, senza fare il minimo sforzo per concentrarvi, con una mente davvero calma? Se lo fate, potete ascoltare i rumori lontani e quelli vicinissimi a voi: siete in contatto coi suoni.
Allora state veramente ascoltando. La vostra mente non si limita a funzionare attraverso un solo insufficiente canale. Quando ascoltate in questo modo, con grande tranquillità, senza sforzo, scoprite che dentro di voi avviene un cambiamento straordinario, un cambiamento che non dipende dalla vostra volontà e che si produce senza che voi lo chiediate; è un cambiamento che porta con sé l'immensa bellezza di una percezione profonda.
Jiddu Krishnamurti


mercoledì 24 febbraio 2016

PER CAMBIARE IL MODO DI VEDERE LE COSE – James Hillman (1926-2011)

Per cambiare il modo di vedere le cose, bisogna innamorarsi.
Allora la stessa cosa sembra del tutto diversa.

James Hillman, Il codice dell’anima, Adelphi, Milano 1997, p. 54.

martedì 19 gennaio 2016

LA MODA – Gabriella Caramore


La moda subdolamente impone un ritmo convulso, di per sé vuoto e immotivato, un’ansia di cambiare adeguandosi, di innovare prostrandosi ai modelli per un attimo imperanti, in una insensata rincorsa tra “novità” e “caducità”.
Gabriella Caramore, Pazienza, Il Mulino, Bologna 2014, 15


sabato 26 dicembre 2015

CANTO DI NATALE – Mariapia Veladiano


È la vigilia di Natale, c’è la nebbia, è buio, fa freddo nel negozio, fa freddo nella strada ma il vero freddo è «il freddo che aveva dentro». «Gli gelava il viso, gli affilava il naso appuntito, gli raggrinziva le gote, ne induriva l’andatura, gli arrossava gli occhi, gli illividiva le labbra, si rivelava nella voce gracchiante. Una brina ghiacciata gli copriva il capo, sopracciglia e mento legnoso; ed egli portava sempre in giro con sé quella sua bassa temperatura, che gelava il suo ufficio anche nei giorni di canicola, e non saliva, sia pure di un grado, neanche al tempo di Natale».
Ebenezer Scrooge è il protagonista del Canto di Natale di Charles Dickens e trascorre i giorni della sua vita scalpellato in un suo egoismo così compatto che il freddo dell’inverno nemmeno lo sente perché lo emana in proprio lungo tutto l’arco dei mesi e insieme ostinatamente s’impegna a credere che scelta non ci sia, a credere che la vita sia così, questo furioso difendere il proprio tangibile bene, fatto di cose che non si usano per risparmiarle a se stesse, di case che non si riscaldano per accumulare in banca titoli che non si godono perché hanno la missione di aumentare, sempre di più, sempre di più.
Difendere le cose e insieme difendersi dai sentimenti, sia mai che costino un regalo o anche solo una gratitudine, spiffero di vita che ci invade. Per cui l’affetto del nipote ostinatamente cordiale è solo molesto. Ma bisogna difendersi soprattutto dai sensi, «perché un nonnulla basta a turbarli. Un piccolo imbarazzo di stomaco può renderli ingannevoli». Benevolenza da buona digestione, sia mai che dopo ci si debba pentire. E in questo generale totale assoluto viaggiare solo e diffidente, la visita del socio Marley, peraltro del tutto defunto da sette anni, cade inizialmente sotto l’accetta del sospetto, come tutte le relazioni della sua vita circoscritta, serrata, inchiavistellata.
Triste lui, rattristati quelli che gli stanno intorno, come si fa a non vedere? Come facciamo tutti a non vedere la nostra infelicità?
Il socio Jacob Marley che arriva dall’oltretomba carico di una catena da lui stesso costruita in vita, fatta di «chiavi, lucchetti e libri mastri», spiega a Scrooge come a un bambino che non vuol capire. È la vita circoscritta la colpa e la condanna insieme, il non essersi mai allontanato dall’ufficio, mai «oltre gli stretti limiti del nostro minuscolo banco di cambio», gli occhi incollati a terra e ai beni e mai mai alla «stella benedetta che condusse i magi a una capanna».
Al di là del vortice di buoni sentimenti, di un mondo povero ma felice in cui Scrooge viene trasportato dallo spirito del Natale passato e dallo spirito del Natale presente, e anche al di là dell’orrore ormai scontato in cui lo precipita la visione del Natale futuro, che lo immerge nella realtà della sua morte e dello sciacallaggio da cui è circondata, il viaggio natalizio di Scrooge è sostanzialmente un vedere. «Vieni e vedi». Non sono le parole a trasformarlo ma il lineare vedere come ciò che si è scelto ha avuto conseguenze su di noi e sul mondo e come quel che faremo da ora in poi è ancora tutto nelle nostre mani, non è scritto.
Ciò che Scrooge impara è qualcosa che in fondo sappiamo ma dimentichiamo, e cioè che è la solitudine a disseccare la nostra umanità. Non è bene che l’uomo sia solo. Ed è la cecità lo strumento che ci permette di vivere così. Di non vivere così. Caino dov’è tuo fratello? Scrooge che esce dalla notte di Natale vivo dopo aver attraversato il suo funerale è un uomo che vede, improvvisamente vede: il tacchino da regalare, i gentiluomini che aveva cacciato senza fissarli negli occhi il giorno prima, e sente improvvisamente il freddo del negozio e la gioia della festa e la felicità di rendere felici, felice della felicità degli altri.
Chissà se il terribile peccato contro lo Spirito non è semplicemente questo negarsi alla vita, alla ricerca della propria piccola arruffata sgangherata felicità. Movimento rischioso, si può amare e perdere, partire e cadere. «Sono solo un mortale, potrei anche cadere», dice Scrooge al fantasma dei natali passati. La condizione di tutti è questo poter cadere ma permettere alla paura di inchiodarci a un destino che vogliamo credere scolpito è negarsi il bene che la vita disperde lungo gli anni che ci sono consegnati.
Questo movimento può sembrare forse sul principio e anche dopo, a tratti, più difficile e molesto del quieto restare al banco del cambio, che diventa poi faticoso difendere una posizione, arginare la forza del mondo di affetti e relazioni che naturalmente e senza pretese arriva, entra dalla porta nella forma del suono di mani che sbattono l’una contro l’altra per vincere il freddo, o piedi che scivolano sul ghiaccio mescolati alla voce di un bambino che canta canzoni di Natale.
Aprire gli occhi alla vita è realtà prima che metafora e se non cambierà il mondo intero cambierà il nostro mondo e quello di un bel po’ di persone che ci stanno intorno. Non è poco, proprio no.
Mariapia Veladiano, “Il Regno”, 10 (2015)


venerdì 23 ottobre 2015

UN MUTAMENTO DI ORIENTAZIONE - René Guénon (1886-1951)


Se dunque si dice che il mondo moderno subisce una crisi, ciò che così si vuole banalmente esprimere è che esso è giunto ad un punto critico, o, in altri termini, che a breve scadenza, volendolo o no, in un modo più o meno brusco, con o senza una catastrofe, dovrà inevitabilmente sopravvivere un mutamento di orientazione. Questo significato dato al termine «crisi» è del tutto legittimo e corrisponde in parte a quel che noi stessi pensiamo: ma solo in parte, poiché, ponendoci da un punto di vista più generale, noi crediamo che tutta l’epoca moderna nel suo insieme rappresenti per il mondo un periodo di crisi. 
Sembra d’altronde che ci si avvicini alla soluzione, il che rende oggi più particolarmente sensibile, che in qualsiasi altro periodo, il carattere anormale di uno stato di cose il quale dura già da qualche secolo, ma le cui conseguenze mai furono così visibili quanto ora. 
Questa è anche la ragione per cui gli avvenimenti oggi si svolgono con una velocità accelerata. Ciò, senza dubbio, può continuare ancora per qualche tempo, ma non indefinitamente. Ed anche se non si è in grado di fissare un limite preciso, pure si ha l’impressione che un simile stato di cose non può durare ancora per molto.
René Guénon, La crisi del mondo moderno, Parigi, 1927, ed. it. Roma, 1972


sabato 10 ottobre 2015

I DUE MODI DI VIVERE – Irvin D. Yalom


Heidegger ha parlato di due modalità dell'esistenza: il modo di tutti i giorni e il modo ontologico. 
Nel modo di tutti i giorni ci consumiamo e siamo distratti dalla materia che ci circonda – ci riempiamo di meraviglia per come sono le cose nel mondo. 
Nel modo ontologico invece ci focalizziamo sull'esistenza in sé delle cose, pieni di meraviglia per il fatto che ci siano cose nel mondo. Quando esistiamo nel modo ontologico – al di là delle preoccupazioni di ogni giorno - siamo in uno stato particolare di ricettività per un cambiamento personale.
Irvin D. Yalom, Il dono della terapia, Neri Pozza, Vicenza 2014, p. 131.


domenica 4 ottobre 2015

NON BASTA CAMBIARE LE LEGGI - Carlo Carretto


No, fratelli, non basta cambiare le leggi, bisogna cambiare i cuori, perché altrimenti quando avrete terminato il cammino della vostra fatica sociale vi troverete, come al principio, prepotenti, ricchi, sfruttatori di altri poveri.

Carlo Carretto, Io, Francesco, Assisi, 1980, p. 53.

lunedì 7 settembre 2015

41. LA DOMANDA DELLE ONDE - Francesco Callegari


E’ dunque questo che chiamano vocazione:
la cosa che fai con gioia, come se avessi il fuoco nel cuore e il diavolo in corpo?
Josephine Baker
Capita, scendendo un fiume in canoa, che per imperizia o troppa corrente l’imbarcazione d’improvviso si capovolga. Non succede spesso, ma quando succede l’unica certezza è che niente intorno a noi si trovi dove dovrebbe essere.
Negli ultimi tempi, la mia canoa si è rovesciata più di una volta. Io non sono un canoista provetto, tutt'altro, ma sfido chiunque a rimanere a galla dopo essere stato sbattuto da onde come quelle che hanno colpito la mia imbarcazione.
L’ultima ondata, per esempio. Nel corso di un incontro tenuto pochi giorni fa, Francisco (Paco) Bermudez Hernandez, fondatore di una scuola libertaria nello Chiapas messicano, di fronte a una platea di insegnanti ha detto chiaro e tondo che ognuno di noi ha una missione da compiere nella vita (e già questo mette i brividi), e che la scuola ha il compito stimolante, ma impegnativo, di accompagnare ciascun ragazzo e ciascuna ragazza a scoprire la propria vocazione. Se non fa questo, la scuola ha fallito, perché solo trovando il posto che è il suo, la persona potrà realizzarsi, e quindi essere felice, all’interno del progetto che guida tutto l’Universo. Per senso della misura, ma anche per la profonda consapevolezza della propria funzione, in quella scuola gli insegnanti sono chiamati “accompagnatori”. Ciascun allievo percorrerà la propria strada con la velocità e i mezzi che ha a disposizione, ma l'obiettivo per tutti sarà quello di dare il proprio contributo al fine di realizzare l'armonia dell'Universo attraverso l'amore e il rispetto. Questo è ciò che si vive nella scuola di Paco, la scuola YirTrak, che significa “girare per trascendere”[1]. Un po’ come succede alla nostra canoa.
La domanda della prima onda è “Verso dove stai camminando?

L’altra onda è venuta da un libro dell’analista americano James Hillman (1926-2011), dove si propone la “teoria della ghianda”, vale a dire l’idea che ciascuna persona è portatrice di una unicità che chiede di essere vissuta e che già è presente prima di poter essere vissuta, come una ghianda contiene in sé la quercia che sarà. Verrebbe semplicisticamente da pensare a una passiva predestinazione, ma ciò che Hillman vuole mettere in risalto è invece l’aspetto attivo della “vocazione”, quel mistero fondamentale che sta al centro di ogni vita umana. Ciascuno di noi è unico, ha un talento: scoprirlo e nutrirlo ogni giorno è ciò che dà un senso al nostro essere nel mondo e ciò da cui dipendono il nostro equilibrio e la nostra felicità. Hillman non cerca tanto la ragione per cui vivere, quanto piuttosto il motivo per cui la mia persona, che è unica e irripetibile, è al mondo[2].
La domanda della seconda onda è: “A cosa sei destinato?

La capovolta più sconcertante è stata però causata da un pensatore francese, René Guénon (1886-1951): difficile da cavalcare l’onda generata da idee che si discostano molto dal tranquillo pensare comune, e insidiosa la corrente sospinta dal vento che proviene dalle altezze di quello che è chiamato pensiero Tradizionale. Guénon ci ricorda come secondo l’attuale concezione occidentale, un uomo possa dedicarsi a una professione qualsiasi, e anche cambiarla a suo piacimento, come se questa professione fosse qualcosa di puramente esteriore a lui, senza alcun reale legame con ciò che egli veramente è, cioè con ciò che lo fa essere se stesso e non un altro. “Nella concezione Tradizionale, al contrario, ciascuno deve normalmente svolgere la funzione cui è destinato dalla sua stessa natura, con le attitudini che questa essenzialmente implica; e non può svolgerne un’altra, senza che ciò rappresenti un grave disordine che avrà una ripercussione su tutta l’organizzazione sociale di cui egli fa parte”. E ancora “Secondo la concezione Tradizionale, sono le qualità essenziali degli esseri a determinare la loro attività; nella concezione profana, invece, queste qualità non contano, e gli individui non sono considerati altro che come «unità» intercambiabili e puramente numeriche”[3].
La domanda della terza onda è “Sei al tuo posto?

Tre onde diverse, ma strettamente legate, pronte a confondere e destabilizzare. Tre domande, che partono da lontano e che ancor oggi interrogano l’essere nel senso più radicale, quello dell’esistenza stessa.
Lo scivolare sulle acque del fiume è messo a dura prova: molte sono le domande che queste e altre onde ci pongono. Quando per esempio affermiamo che è l’allievo a essere posto al centro dell’azione educativa, intendiamo operare per accompagnarlo a scoprire e valorizzare la sua vocazione profonda oppure intendiamo fornirgli gli strumenti per integrarsi efficacemente nella società attuale? Non è la stessa cosa. Se riteniamo prioritaria l’integrazione all’interno di questa società in veloce cambiamento, daremo grande valore alle competenze che gli allievi dovranno dimostrare di avere acquisito al termine dei cicli scolastici. Ma se per centralità della persona intendiamo ciò che le onde ci hanno suggerito, allora ci assale lo sgomento, perché tutto lo sforzo che abbiamo fatto per abituarci a navigare in un oceano di incertezze fra alcuni arcipelaghi di certezze[4], si annulla nella nuova consapevolezza che la salvezza sta nella capacità del singolo di ritrovare quei perduti parametri esistenziali basati su valori che poco hanno a che vedere con tutto ciò che noi chiamiamo “progresso”.  
A questo punto, la domanda delle onde è “Quale educazione?

Buon anno scolastico.
16 settembre 2015                   
Francesco Callegari
dirigente scolastico




[1] Francisco (Paco) Bermudez Hernandez, fondatore del progetto educativo Yirtrak in Chiapas Messico.
[2] James Hillman, Il codice dell’anima, Adelphi, Milano 1997.
[3] René GuénonIl Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, Parigi 1945, ed. it. Adelphi, Milano 1982, p. 61.
[4] Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, 2001.

venerdì 26 giugno 2015

L’ACQUA NEL SERBATOIO - Antoine de Saint Exupery


Guardate l’acqua nel serbatoio. Essa preme contro le pareti e attende le occasioni, perché viene il giorno in cui le occasioni si presentano. E l’acqua preme instancabilmente giorno e notte. Essa è calma in apparenza, eppure è viva.
Perché alla minima screpolatura, ecco si mette in marcia, s’insinua, incontra l’ostacolo, lo aggira quando è possibile e se la via non ha sbocco, ritorna calma in apparenza fino alla prossima screpolatura che aprirà un’altra strada. Essa non si lascerà sfuggire la nuova occasione, e attraverso vie indecifrabili che nessun calcolatore avrebbe calcolato, una semplice pressione vuoterà il serbatoio delle vostre provviste d’acqua.
Antoine de Saint Exupery, Cittadella, Borla, Roma 1978


martedì 16 giugno 2015

L’ORGANIZZAZIONE – Tiziano Terzani


È la cosa più disorganizzata, più informale, più inesistente che ci sia, che però attraverso strane vie lega tutta una serie di persone a delle stesse idee, delle stesse intenzioni, delle stesse aspirazioni. E questo mi pareva coincidere anche con la mia congiura dei poeti. Un gesto, un darsi la mano in un certo modo, una sorta di mistica massoneria, nel mondo dei giovani in particolare, in cui in qualche modo si trovano nuove vie o si sente che c’è qualcosa di nuovo nell’aria.

Tiziano Terzani, La fine è il mio inizio, Longanesi, Milano 2006.
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