Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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sabato 25 luglio 2015

L’ALBERO DI CACHI – Padre Luciano Mazzocchi


Alcuni anni fa nel nostro giardino abbiamo trapiantato un alberello di cachi. A questo alberello devo un insegnamento importante che voglio condividere con gli amici, soprattutto con quelli ancora giovani come il nostro alberello.
Al sopraggiungere della primavera, l'alberello di cachi improvvisa una inflorescenza pallida, quasi impercettibile, tanto umile se paragonata a quella vistosa del melo o del ciliegio. Come gli esili fiori cadono, ecco comparire tanti e tanti minuscoli cachi verdi, incoronati da delle alette a forma di stella. Questi piccoli cachi, come perle verdi, trapuntano i rami dell'albero. Nel frattempo anche le foglie si fanno robuste e sfoggiano un verde intenso. Queste fanno la guardia ai minuscoli frutti che di giorno in giorno vanno crescendo.
In autunno, a frutti maturi, le foglie decorandosi di venature gialle e rosse faranno ritorno a casa, alla madre terra che le aveva generate. Adesso, invece, sono all'opera, vigorose, imperterrite anche di fronte alla siccità di questi giorni.
Il nostro alberello, dal suo trapianto nel nostro giardino, ha compiuto solo cinque anni ed è ancora adolescente; tuttavia i suoi rami stanno gestendo centinaia di piccoli frutti. Di tutti questi forse solo una decima parte giungerà a maturazione. Ogni giorno l'albero madre ne lascia cadere una decina, forse una ventina. Cadono anche senza che il vento soffi. Sono caduti l'anno scorso, anno di piogge continue. Cadono quest'anno, anno di siccità. L'anno scorso fu la prima volta che constatai il fenomeno, e sulle prime mi prese il timore che l'alberello avrebbe lasciato cadere tutti i suoi frutti, uno dopo l'altro, deludendo la mia attesa. Invece, già l'anno scorso, che fu il primo del suo rendimento, ci maturò tanti succosissimi cachi da saziare la voracità degli abitanti del giardino, degli uccelli in primis e poi degli esseri umani.
Sempre rievocando l'anno scorso, fu una mattina di metà agosto che constatai che l'alberello di cachi all'improvviso non aveva lasciato cadere più alcun piccolo frutto. Osservai quelli che teneva ancora sui rami e vidi che erano tutti di un bel colore verde, come conviene ai frutti ancora acerbi. Mi prese la voglia di contarli: alcune decine. Da allora non ne cadde più nemmeno uno. In ottobre, uno dopo l'altro, si offrirono a deliziare prima gli uccelli e poi anche gli esseri umani.
Come l'anno scorso, anche quest'anno nel mese di luglio il terreno sotto l'alberello si cosparge ogni giorno di minuscoli cachi, staccatisi dal ramo. Alcuni sono verdognoli, altri un po' ingialliti. Nella mia istintività ne ho addentato uno, dal colore giallo paglia. Disgustosissimo: né acerbo, né dolce. Sapore inqualificabile! Ci voleva anche questa sciocca esperienza per prepararmi ad apprendere la lezione che l'albero madre di cachi intende darmi.
Come l'anno scorso, anche quest'anno un bel giorno l'alberello cesserà di lasciar cadere i piccoli frutti. Sarà quando nella sua sapienza avrà verificato di aver mollato quanto gli è di sovrappiù. Quindi, con tutte le sue forze porterà a maturazione la porzione giusta, quella che corrisponde alle sue energie. In ottobre ci offrirà, a noi esseri umani e agli uccelli, i suoi cachi maturi, panciuti di delizioso nettare.
Ed ora, con parole mie, interpreto la lezione ricevuta dall'alberello madre, che voglio condividere con gli amici, soprattutto con gli amici giovani. La preziosa lezione è questa: liberandosi dal sovrappiù si matura a essere se stessi. La via della libertà non è aggiungersi delle cose, ma è liberarsi dalle cose.
L'alberello, senza rimpianto alcuno, ha restituito alla terra madre la maggior parte dei frutti che aveva concepito sui suoi rami. Tra i frutti concepiti ha riconosciuto quelli meno consistenti, che tendevano a maturare troppo presto, quelli che non ci stavano a maturare pazientemente nel tempo. E li ha lasciati cadere. L'albero stesso aveva percepito che non ce l'avrebbe fatta a maturarli tutti. Quindi li sacrificò, senza rammarico. Eppure, anche loro ci volevano per poter discernere liberamente quali trattenere e quali lasciar cadere.
Senza il passaggio del discernimento non matura nulla, ma tutto rimane mediocre, trascinato, pesante. Dopo tutto, i frutti restituiti senza averli maturati sono il grazie dell'albero alla madre terra. Sono anche la prova della signorilità dell'albero, che rimane identico alla sua portata, senza eccedere oltre. Nemmeno se l'albero vicino, forse con alcuni anni in più, sfoggia una produzione maggiore. Restituisce i frutti in sovrappiù, affinché nella grande trasformazione la terra li porti a maturare altrimenti.
La punta di diamante della lezione è proprio questa: la vera libertà non è quella di ghermire qualcosa in più, ma è quella di sacrificare i tanti qualcosa in più che ci tiriamo dietro. Michelangelo ha scolpito il Davide togliendo, non aggiungendo.
Sì, si diventa liberi e forti spogliandosi. E, meraviglia, spogliandosi ciascuno scopre quel qualcosa che è proprio suo, la sua identità. Nessuno può amare fino in fondo ciò che non gli è intimo. Non si può amare il sovrappiù, perché il sovrappiù sovrasta il proprio vigore, inaridisce la propria radice. Il sovrappiù appiattisce, squalifica. Eppure il sovrappiù ci voleva, per snellire la nostra coscienza a discernere cosa mollare e cosa conservare. Il discernere è la prima libertà, è la prima maturazione.
I cachi che maturano al loro delizioso sapore, così apprezzato dagli uccelli e dagli esseri umani, non hanno fretta di maturare prima del tempo. E nemmeno ritardano a maturare al di là del tempo. Sono liberi da ciò che è di sovrappiù. Gli uccelli e gli uomini fanno festa. Armonia cosmica!
p. Luciano

Cachi è parola giapponese (identica pronuncia come in italiano). L'ideogramma è: . La prima radicale è <albero>, la seconda è <città>. Quindi: l'albero cittadino

sabato 28 marzo 2015

HO UNA FINESTRA - Adriano Campiello


Ho una finestra
più dell’oro
preziosa.
perché s’apre
su case
su boschi
su monti
da incanto.

Adriano Campiello – 28 aprile 1977, “Un grande amore”, Posina (VI) 1983.

mercoledì 17 dicembre 2014

RESPIRARE L’ARIA, CHE DELIZIA! – Walt Whitman (1819-1892)


Respirare l’aria, che delizia!
Parlare, passeggiare, afferrare qualcosa con la mano!
Essere questo incredibile Dio che io sono!
O meraviglia delle cose, anche delle più piccole particelle!
O spiritualità delle cose!
Io canto il sole all’alba e nel meriggio, o come ora nel tramonto:
tremo commosso della saggezza e della bellezza della terra
e di tutte le cose che crescono sulla terra.
E dico che la Natura è eterna, la gloria è eterna.
Lodo con voce inebriata
perché non vedo un’imperfezione nell’universo,
non vedo una causa o un risultato che, alla fine, sia male.

Walt Whitman, Foglie d’erba, Milano, Mondadori, 1991

sabato 4 ottobre 2014

CANTICO DELLE CREATURE - Angelo Branduardi



Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad te solo, Altissimo, se konfano
et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie mi’ Signore, cun tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore,
de te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si’ mi’ Signore, per sora luna e le stelle,
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’ mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dai sustentamento.

Laudato si’ mi’ Signore, per sor aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’ mi Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte,
et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’ mi’ Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si’ mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore,
et sostengo infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke 'l sosterrano in pace,
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare.
guai a cquelli ke morrano ne le peccata mortali,
beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.

Laudate et benedicete mi’ Signore' et ringratiate
et serviateli cun grande humilitate.


Francesco di Assisi

venerdì 3 ottobre 2014

CAMBIARE IL NOSTRO STILE DI VITA – Pietro Parolin


Signor Segretario Generale,
Alla base di ogni risposta politica complessa devono essere chiare le motivazioni etiche che la orientano. Si tratta, adesso, di consolidare una profonda e lungimirante reimpostazione dei modelli di sviluppo e degli stili di vita, per correggerne le numerose disfunzioni e distorsioni (Caritas in veritate , no. 32); ciò è richiesto anche dalle numerose crisi che l’attuale società sta vivendo in ambito economico, finanziario, sociale, culturale ed etico.
In tale direzione, è necessaria un’autentica svolta culturale che fortifichi i nostri sforzi formativi ed educativi, soprattutto a favore dei giovani, verso l’assunzione del senso di responsabilità nei confronti del creato e di uno sviluppo umano integrale per tutti i popoli, presenti e futuri.
Lo Stato della Città del Vaticano, per quanto piccolo, sta compiendo sforzi significativi per ridurre il suo consumo di combustibili fossili, realizzando progetti di diversificazione e di efficienza energetica. Tuttavia, come indicato dalla Delegazione della Santa Sede nella COP-19 di Varsavia, «parlare della riduzione delle emissioni è inutile se non siamo pronti a cambiare il nostro stile di vita e gli attuali modelli dominanti di consumo e di produzione». La Santa Sede attribuisce grande importanza alla necessità di diffondere un’educazione alla responsabilità ambientale che cerchi anche di tutelare le condizioni morali per un’autentica ecologia umana. Sono molte le istituzioni educative cattoliche, così come le Conferenze episcopali, le diocesi, le parrocchie e le ONG di ispirazione cattolica impegnate in tale campo, nella convinzione che il degrado della natura è direttamente legato alla cultura che plasma la coesistenza umana. Il rispetto dell’ecologia ambientale è condizione di ed è condizionata dal rispetto dell’ecologia umana nella società.
Affrontare seriamente il problema del riscaldamento globale richiede non solo di rafforzare, approfondire e consolidare il processo politico a livello globale, ma anche di intensificare l’impegno di tutti noi verso un profondo rinnovamento culturale e una riscoperta dei valori fondamentali su cui edificare un migliore futuro dell’intera famiglia umana. La Santa Sede si impegna in tale direzione, affinché in questo ambito la comunità internazionale venga guidata dall’imperativo etico di agire, ispirato dai principi di solidarietà e di promozione del bene comune, nella consapevolezza che «la dignità di ogni persona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero strutturare tutta la politica economica» (Papa Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium , 203ss).

Card. Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, Palazzo di Vetro all’Onu, intervento a margine della 69^ Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 24 settembre 2014.

giovedì 2 ottobre 2014

LA RESPONSABILITA’ DI PROTEGGERE IL CREATO – Pietro Parolin


Signor Segretario Generale,
Il lungo dibattito sui cambiamenti climatici, che ha dato vita nel 1992 alla Convenzione quadro dell’ONU sul cambiamento climatico e al suo processo di attuazione, mostra come si tratti di una materia estremamente complessa. Da allora, molte cose sono cambiate: le dinamiche dei rapporti internazionali hanno dato vita a contesti geopolitici mutati, mentre gli strumenti scientifici ed informativi si sono straordinariamente
raffinati.
Uno dei principali elementi emersi in questi trenta e più anni di studi sul fenomeno del riscaldamento globale è la sempre più forte consapevolezza che l’intera comunità internazionale faccia parte di un’unica interdipendente famiglia umana. Le decisioni e i comportamenti di uno dei membri di questa famiglia hanno profonde conseguenze su altri componenti della medesima; non vi sono frontiere, barriere, mura politiche, entro le quali potersi nascondere per proteggere un membro rispetto all’altro dagli effetti del riscaldamento globale. Non vi è spazio per quella globalizzazione dell’indifferenza, per quell’economia dell’esclusione, per quella cultura dello scarto così spesso denunciate da Papa Francesco (Evangelii gaudium , no. 52, 53 e 59).
Nel processo finalizzato a contrastare il riscaldamento climatico, troppo spesso abbiamo visto la prevalenza di interessi particolari o di comportamenti cosiddetti "free-riders" sul bene comune; troppo spesso abbiamo registrato una certa diffidenza o mancanza di fiducia da parte degli Stati, così come degli altri attori partecipanti. Tuttavia, se vogliamo realmente essere efficaci, è necessario attuare una risposta collettiva basata su quella cultura della solidarietà, dell’incontro e del dialogo, che dovrebbe essere alla base delle normali interazioni all’interno di ogni famiglia e che richiede la piena, responsabile e impegnata collaborazione da parte di tutti, secondo le proprie possibilità e circostanze.
In questa direzione, sembra opportuno richiamare un concetto che è stato sviluppato anche all’interno del foro delle Nazioni Unite, quello della responsabilità di proteggere. Gli Stati hanno una responsabilità comune di proteggere il clima mondiale attraverso azioni di mitigazione, di adattamento e di condivisione delle tecnologie e del "know-how". Ma hanno soprattutto una responsabilità condivisa di proteggere il nostro pianeta e la famiglia umana, assicurando alla generazione presente e a quelle future la possibilità di vivere in un ambiente sicuro e degno. Le basi tecnologiche e operative per favorire questa responsabilità condivisa sono già disponibili o alla nostra portata. Abbiamo la capacità di avviare e rafforzare un vero e proprio processo virtuoso che, in un certo senso, irrighi attraverso attività di adattamento e di mitigazione un terreno di innovazione economica e tecnologica dove è possibile coltivare due obiettivi tra di loro concatenati: combattere la povertà e attenuare gli effetti del cambiamento climatico.
Le sole forze di mercato, specie se prive di un adeguato orientamento etico, non possono però risolvere le crisi interdipendenti concernenti il riscaldamento globale, la povertà e l’esclusione. La sfida più grande risiede nella sfera dei valori umani e della dignità umana; questioni che riguardano la dignità umana degli individui e dei popoli non possono essere ridotte a meri problemi tecnici. In questo senso, il cambiamento climatico diventa una questione di giustizia, di rispetto e di equità; una questione che deve sollecitare le coscienze di ognuno di noi.

Card. Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, Palazzo di Vetro all’Onu, intervento a margine della 69^ Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 24 settembre 2014.

mercoledì 1 ottobre 2014

IL CREATO NON E’ UNA PROPRIETA’ – Pietro Parolin


Signor Segretario Generale,
Sono lieto di portare il cordiale saluto di Sua Santità Papa Francesco a questo importante Vertice che vede alti esponenti del mondo governativo, del settore privato e della società civile qui riuniti al fine di individuare e proporre iniziative rilevanti volte ad affrontare il preoccupante fenomeno del cambiamento climatico. E’ ben noto come quest’ultimo chiami in causa aspetti non solo scientifico-ambientali o socio-economici, ma anche e soprattutto etico-morali, visto che incide su tutti, in particolare sui più poveri, che sono più esposti ai suoi effetti.
Al cospetto di siffatta consapevolezza, la Santa Sede ha spesso ribadito quell’imperativo morale ad agire che interpella ognuno di noi circa la nostra responsabilità a custodire e valorizzare il creato per il bene della presente generazione, così come di quelle future. Papa Francesco, fin dall’inizio del Suo Pontificato, ha sottolineato l’importanza di «custodire questo nostro ambiente, che troppo spesso non usiamo per il bene, ma sfruttiamo avidamente a danno l’uno dell’altro» (Udienza al Corpo Diplomatico della Santa Sede, 22 marzo 2013).
Vi è ormai un consenso scientifico piuttosto consistente sul fatto che il riscaldamento del sistema climatico a partire dalla seconda metà del secolo scorso sia inequivocabile. Si tratta di un problema molto serio che, come detto, ha gravi conseguenze per i settori più vulnerabili della società e, ovviamente, per le generazioni future.
Numerosi studi scientifici hanno, inoltre, sottolineato i grandi rischi e i costi socioeconomici dell’inerzia dell’azione umana di fronte a tale problema, sulla base del fatto che la sua principale causa sembra essere l’aumento nell’atmosfera delle concentrazioni di gas ad effetto serra provocate da attività antropiche. Di fronte a detti rischi e costi, deve prevalere la virtù della prudenza, che richiede di ben deliberare in funzione di un’accurata analisi degli impatti futuri che comportano le nostre azioni. Ciò richiede un grande impegno politico-economico da parte della comunità internazionale, al quale anche la Santa Sede vuole dare il proprio contributo, nella consapevolezza che «il dono della scienza ci aiuta a non cadere in alcuni atteggiamenti eccessivi o sbagliati. Il primo è costituito dal rischio di considerarci padroni del creato. Il creato non è una proprietà, di cui possiamo spadroneggiare a nostro piacimento; né, tanto meno, è una proprietà solo di alcuni, di pochi: il creato è un dono, è un dono meraviglioso che Dio ci ha dato, perché ne abbiamo cura e lo utilizziamo a beneficio di tutti, sempre con grande rispetto e gratitudine» (Papa Francesco, Udienza del 21 maggio 2014).
Card. Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, Palazzo di Vetro all’Onu, intervento a margine della 69^ Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 24 settembre 2014.


martedì 30 settembre 2014

LA CUSTODIA DEL CREATO – Sorella Natura


I CAMBIAMENTI CLIMATICI
La conferenza internazionale sui cambiamenti climatici, che si è tenuta nei giorni scorsi all’ONU, è certo un evento positivo, anche se l’assenza di Paesi come la Cina e l’India ne limita fortemente la validità.
Evidenziamo però una forte contraddizione nell’affermazione che dalla crisi economica, mondiale si esce con la ripresa della produzione e dei consumi: quindi producendo più CO2 e pertanto spingendo in avanti i fattori umani che concorrono ai cambiamenti climatici.
Dall’altra parte, si raccomanda di ridurre le emissioni di CO2, quindi ridurre la produzione … è vero che si afferma che le modalità produttive debbono esser migliorate, in modo tale da renderle ecocompatibili ed è vero che scienza e tecnologia hanno fatto e faranno giganteschi passi in avanti in questo settore, ma ciò avviene ed avverrà in tempi lunghi e con costi iniziali molto alti, tanto che Paesi come la Cina e l’India, ma non solo loro, non partecipano a questo sforzo e seguitano ad inseguire gli stili di vita occidentali con modalità produttive fortemente inquinanti.
La questione essenziale è questa: dobbiamo pensare di proseguire, in Occidente, con l’attuale stile di vita: consumistico, anzi sprecone, edonistico e permissivo? Dobbiamo pensare che sia questo lo stile di vita da proporre a tutta l’Umanità?
Per Noi certo no. Occorre dare luogo a una Ecologia Umanistica: Amor Creationis!
Roberto Leoni, Presidente di Sorella Natura
FONTE: Sorella Natura, Assisi


sabato 29 marzo 2014

37. IL VOLO LEGGERO – Francesco Callegari


Occorre essere leggeri per volare senza sforzo. Gli uccelli sono un buon esempio di volo leggero. Il loro elemento è l’aria e quando stanno sulla terra sembrano sempre un po’ a disagio. Le loro zampe minuscole tengono bene i rami degli alberi o i fili della luce, ma aiutano poco i movimenti terrestri. I loro passi imbarazzati lasciano orme appena accennate, quasi per sbaglio, come di scusa. Il segreto degli uccelli sta nel paradosso dell’assenza, ha molto a che vedere con il vuoto, si spiega togliendo e non riempiendo.
Ho conosciuto persone come uccelli, passate sulla terra in punta di piedi, senza possedere nulla, senza rovinare nulla. Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai. Il loro sguardo sfiora senza desiderio, la loro mano accarezza senza violenza, la loro parola incanta per la disarmante semplicità. Più del cielo che della terra, queste donne e questi uomini ci sono prestati per esempio, per indirizzo: il loro volo ci invita ad alzare lo sguardo.
E rimane lo stupore generato dalla gratuità, rimane lo scompiglio di fronte al silenzio, rimane la difficoltà di capire il perdersi per ritrovarsi. Noi, così pieni, così pesanti.  

Francesco Callegari   

sabato 30 novembre 2013

LA VERA NATURA DELL’UOMO – Tiziano Terzani


Quando si nasce, si è ignoranti del Sé. Nel corso della vita accumuliamo tanta conoscenza, ma quella non ci aiuta a capire chi siamo perché è conoscenza che ci viene dai sensi, dalle deduzioni fatte in base alla percezione dei sensi. Tutta la conoscenza scientifica è così, derivata dai sensi. Quale scienza si è mai chiesta chi è l'uomo? Quale microscopio, quale telescopio ha mai guardato nei recessi della mente? Non potendo venirci dai sensi, e non potendo perciò essere l'oggetto di alcuna scienza, la conoscenza del Sé ci sfugge.
Non c'è dualità fra conoscitore e conosciuto, non esistono varie entità - l'Io, il mondo, Dio. Tutto è una sola, unica esistenza e questa Totalità altro non è che coscienza: coscienza senza limiti, fuori dal tempo e dallo spazio, coscienza che pervade tutto, che sostiene tutto e che si manifesta in ogni forma.
Questa Coscienza pura, testimone di tutto, è la Realtà che sta dietro alla coscienza ordinaria. E’ Atman, è Brahman, è Ishwara, è Bhagawan, è Dio, è Totalità, è quel che si vuol chiamarla, perché, come uno dei più citati antichi versi vedici dice: «Una è la Verità, anche se i saggi la chiamano con mille nomi».
In quel tutto il Sé, che ognuno di noi è, tende a confondersi perché l'uomo aspira a liberarsi dalle sue limitazioni, da quel suo senso di essere separato, distinto dal mondo. Come il fiume, che pure ha una sorgente, un alveo e un nome, tende inesorabilmente verso l'oceano per confondersi ed essere Uno con quello, perdendo con ciò la sua identità, la sua forma, il suo nome di fiume, cosi il Sé aspira a confondersi con la Totalità. Questa è la sua natura.
Riconoscere quel Sé e la sua natura «divina»: questo è il vero fine della vita umana.

Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra, p. 351-353

mercoledì 5 giugno 2013

UN GRANO DI BELLEZZA - Erri De Luca



Non c'è niente nel creato che non abbia il suo punto di riscatto nella bellezza. Niente, neanche la catastrofe naturale è priva di questa intenzione. Un grano di bellezza è messo a contrappeso dello spreco e della distruzione. 
Bellezza non è arredo né consolazione del mondo, ma legge di natura messa a contrappunto di ogni crollo, caduta, gravità.
Erri De Luca, Intervento a Roma nel 2006 al Festival Internazionale della Letteratura

domenica 14 aprile 2013

VI CHIEDO UN FAVORE - Papa Francesco


Vi chiedo un favore. Camminiamo tutti insieme, prendiamoci cura gli uni degli altri. Prendetevi cura della vostra vita e della vostra salute. Non facciamoci del male. Prendetevi cura delle vostre famiglie, della natura, dei bambini, degli anziani. Che non ci sia odio, che non ci siano lotte, lasciamo da parte l'invidia. Dialogate tra voi. Che questo desiderio di prendersi cura cresca nel nostro cuore.

Papa Francesco, 19 marzo, durante la telefonata ai fedeli riuniti a Buenos Aires in Plaza de Mayo

venerdì 19 ottobre 2012

UNA SOCIETA' A MISURA D'UOMO - Silvano Agosti



Oggi, durante il pranzo, che abbiamo consumato insieme a un migliaio di giovani nel parco principale della Capitale, il mio accompagnatore si è lasciato andare a una serie di riflessioni.
“Ognuno di noi è un capo di Stato, se non altro dello Stato che confina con se stessi. In fondo, la vera cultura sono i comportamenti e di questi ognuno di noi è autore, garante e responsabile. Ogni essere che viene al mondo cresce nella libertà e si atrofizza nella dipendenza.
La Kirghisia è soprattutto il territorio in cui il cuore umano può battere senza paure, perché qui si è cercato e si cerca di eliminare ogni forma di dipendenza. In questo piccolo paese, sperduto nel cuore dell’Asia, si tenta di portare al primo posto i desideri e le necessità degli esseri umani. Ogni settore del sociale viene organizzato a misura d’uomo, nella consapevolezza che il soggiorno sul pianeta sia, per ognuno, un’occasione unica e irripetibile nell’arco intero dell’eternità, e che quindi debba essere concepito nel modo più favorevole alla vita. Così, oltre a limitare il tempo di lavoro e ad offrire un’esperienza formativa basata sul gioco e sull’informazione certa, qui si va disegnando un percorso esistenziale, dalla nascita fino al termine dell’energia vitale, capace di offrire a ognuno una serenità quotidiana priva di turbamenti”.
Ho trascritto per voi, cari amici, il senso del discorso che mi ha avvinto nel profondo del cuore, tanto che alla fine siamo rimasti a lungo in silenzio e abbiamo comunicato solo con qualche sorriso.
Amici cari, vi abbraccio.
Silvano Agosti, Lettere dalla Kirghisia, dalla Terza lettera

venerdì 5 ottobre 2012

IO, FRANCESCO - Carlo Carretto



Il discorso della non violenza è oggi recepito da tutti: è chiaro, semplice e potreste veramente con la sua dinamica cambiare la faccia della terra.
Parlate molto oggi di diritti dell’uomo ed è giusto.
Il primo diritto dell’uomo è di non essere violentato da nessuno, di essere lasciato in pace.
Il discorso è di un’ampiezza biblica e dovete viverlo fino in fondo.
Intanto diciamo subito che incomincia da lontano, molto lontano.
La non violenza riguarda innanzitutto la natura, i cieli, i mari, le miniere, i boschi, l’aria, l’acqua, la casa.
Sono le prime cose da non violentare e purtroppo è un peccato che avete commesso largamente e non so se riuscirete a salvarvi.
Avete violentato le foreste, sporcato i mari, saccheggiato ogni cosa come dei banditi.
Non c’è limite alla vostra prepotenza sulla natura.
Se ci fosse un tribunale del cielo, del mare e delle miniere sareste tutti o quasi tutti condannati a morte.
Ma forse c’è questo tribunale, anche se invisibile; difatti incominciate a pagare.
L’aria diventa irrespirabile, il cibo si fa cattivo, il cancro vi attacca con precisione.
Ora che avete quasi tutto distrutto mi avete nominato il santo della difesa ecologica, ma è un po’ tardi, dovete ammetterlo.
Non so cosa potremo fare.
Il male è che a governare sono sempre gli stessi: i potenti, i ricchi, i politici di mestiere.
Provate a mettere al governo i piccoli, i semplici, i poeti.
Ma chi crede ai poeti!
Fatevi governare da coloro che sono ancora capaci di guardare di notte le stelle o di passare un’ora a contemplare uno scarafaggio sotto una foglia secca nel bosco e a sognare dietro una lucciola in un campo di grano a maggio.
Questi vedrebbero meglio i problemi degli uomini, per lo meno non compirebbero tante nefandezze.
Siete arrivati a un limite insostenibile e non avete ragione a lamentarvi: siete degli incoscienti.
Continuate a fabbricare macchine che vi consumano materie prime e immensi capitali e non date il minimo aiuto a chi lavora in campagna dove sta la vera ricchezza del mondo e dove tutto va in rovina.
Fabbricate laureati che resteranno disoccupati, annoiati e sfiduciati in città e non cercate di formare giovani che amino il lavoro costruttivo, semplice, artigianale, agricolo e che prima dei soldi amino un oggetto ben fatto o un pezzo di pane integrale.
Il vostro errore di fondo è quello di mettere il denaro in cima alla scala dei valori invece di mettervi la verità e l’amore.
Fate della terra un giardino e il giardino vi darà ciò che cercate: il pane e la pace.
Ma ora capisco che sto dicendo ancora cose da “fioretti” che vi faranno solo sorridere e in cui non crederete.
Sono un sognatore.
Sono Francesco d’Assisi.

Carlo Carretto, Io, Francesco, Assisi 1980, p. 144-150

martedì 5 giugno 2012

PARADISE OR OBLIVION - The Venus Project



Il documentario analizza l’origine, le cause e i sintomi della distorsione dei valori determinata dal sistema in cui viviamo. La presentazione di questo video mira a promuovere un nuovo sistema socio-economico aggiornato alle conoscenze attuali e basato sul lavoro di una vita dell'ingegnere sociale, futurista, inventore e progettista industriale Jacque Fresco che, lui stesso, definisce Economia Basata sulle Risorse (Resource-Based Economy).

Il film indaga la necessità di superare i metodi datati e inefficienti del sistema politico, legislativo ed economico o qualsiasi altra struttura istituzionalizzata per la gestione della società. Grazie all’utilizzo del metodo scientifico, associato all’applicazione della tecnologia odierna, è possibile provvedere non solo ai bisogni di ogni essere umano sulla Terra, ma anche offrire abbondanza a tutti. Il film non si basa sulle opinioni di élite politico-finanziarie o su illusorie democrazie, ma su studi scientifici per il mantenimento di un equilibrio dinamico con il pianeta.
“Paradiso o Autodistruzione” introduce lo spettatore a un sistema di valori più adeguati, per attuare un approccio olistico e razionale che sia a beneficio della civiltà umana. Vuole essere un’alternativa alla realtà sociale odierna basata sul denaro, controllata e orientata verso la scarsità fittizia.


Tutti i contenuti del documentario sono di proprietà del The Venus Project
Traduzione testi: Linguistic Team
Doppiaggio a cura del Movimento Zeitgeist italia
Direzione doppiaggio: Ezio Coriglione
Le Voci
Narratore: Sisco
Jacque Fresco: Francesco Gobbi
Roxanne Meadows: Ester Parulli
Giornalista tv: Missione Zeitgeist

venerdì 23 marzo 2012

CERTO CHE FA MALE - Karin Maria Boye

Fiori e frutti in settembre (2011)

Certo che fa male, quando le gemme si rompono.
Perché dovrebbero altrimenti esitare a primavera?
Perché tutta la nostra bruciante nostalgia
Dovrebbe rimanere avvinta nel pallore gelato e amaro?
L'involucro fu la gemma, tutto l'inverno.
Cosa c'è di nuovo che consuma e dirompe?
Certo che fa male, quando le gemme si rompono,
male a ciò che cresce
                                 e a ciò che racchiude.

Certo che è difficile quando le gocce cadono.
Tremando d'inquietudine, pesanti, stanno sospese,
si aggrappano al ramoscello, si gonfiano, scivolano -
il peso le trascina giù, anche se si aggrappano.
Difficile essere incerti, timorosi e divisi,
difficile sentire il profondo, che attrae e chiama,
eppure rimanere ancora e tremare soltanto -
difficile voler stare
                            e voler cadere.

Allora, quando infine più niente aiuta
si rompono come esultando le gemme dell'albero,
allora, quando non le trattiene più alcun timore,
cadono scintillando le gocce del ramoscello,
dimenticano che furono impaurite dal nuovo,
dimenticano che furono in apprensione per il viaggio -
conoscono per un secondo la più grande serenità,
riposano in quella fiducia
                           che crea il mondo.

Karin Maria Boye, in Per l'albero (1935)
Scrittrice e poetessa svedese (Göteborg il 26 ottobre 1900 – 24 aprile 1941)

sabato 3 marzo 2012

LA SIGNORINA MORGAN - John Steinbeck


Già da alcuni mesi la signorina Morgan, l’insegnante, pensava di andare a visitare Junius Maltby. I contatti avuti col figlio, le storie sentite sul conto di lui, avevano svegliato il suo interesse.
Pur non essendoci mai stata prima, la signorina Morgan riconobbe subito la fattoria Maltby quando vi fu arrivata. Vide steccati reclini sino a toccar terra per il peso dei rovi che li spingevano. Gli alberi da frutto coi rami ignudi protesi sopra una foresta di erbacce. Rampicanti selvatici avviluppavano i tronchi dei meli. Scoiattoli e conigli saltavano da ogni parte; e piccioni volavano con ali molli d'albero in albero.
Poi, vicino a un olmo imbiancato di brina, essa scorse il tetto carico di muschio. Sembrava una casa abbandonata da cento anni. "Dio, che rovina!" esclamò. "Eppure com'è bello!"
Quel pomeriggio fu uno dei più piacevoli che la signorina Morgan avesse mai passato in vita sua. Ebbe un posto d'onore sul ramo del sicomoro, e i ragazzi non la considerarono affatto come l'insegnante.
"Sarà più bello se vi togliete le scarpe" le disse Robbie. Ed essa trovò in effetti più bello dondolare i piedi nudi sopra l'acqua.
Junius parlò, quel pomeriggio, del cannibalismo presso gli indiani delle isole Aleutine. Raccontò come i mercenari si rivoltarono contro Cartagine; come i Lacedemoni si pettinarono i capelli prima di morire alle Termopili; spiegò l'origine dei maccheroni; descrisse il modo in cui avvenne la scoperta del rame...

John Steinbeck, I pascoli del cielo, p. 92-96

venerdì 2 marzo 2012

IL SICOMORO - John Steinbeck


Il figlio di Junius si chiamava Robert Louis, come Stevenson. Junius avrebbe voluto chiamarlo così anche nella vita di tutti i giorni. Ma Jakob Stutz trovò che sarebbe stato ridicolo.
"I bambini" disse, "debbono essere chiamati come i cani. Ci vuole un suono solo. Anche Robert è troppo lungo. Dovremmo chiamarlo Bob."
"Veniamo a un compromesso", disse Junius. "Chiamiamolo Robbie e non se ne parli più. Robbie è più breve di Robert, non vi sembra?"
Robbie cresceva pieno di gravità. Egli seguiva i due uomini dappertutto, ascoltando le loro discussioni. Junius non lo trattava mai come un bambino, perché non sapeva come i bambini vadano trattati. Se Robbie faceva un'osservazione, i due uomini la raccoglievano e ne tenevano conto, la usavano magari per deviare in un senso o in un altro il discorso. Essi scoprivano parecchie cose nuove nel corso di un pomeriggio. Parecchie volte andavano a consultare la enciclopedia di Junius.
C'era un enorme sicomoro che stendeva un ramo orizzontale sopra il ruscello, e su di esso i tre sedevano per lunghe ore. I piedi dei due uomini toccavano l'acqua, e Robbie si dava un gran da fare per riuscire a toccarla anche lui. Jakob aveva rinunciato alle scarpe come il padrone; Robbie non le aveva portate mai.
La discussione aveva sempre un carattere erudito. E Robbie, non avendo mai sentito parlare un bambino, non faceva i discorsi che in genere fanno i bambini.
Sedevano i tre sul ramo. Erano vestiti di stracci, coi lunghi capelli tagliati qua e là dove un ciuffo avrebbe potuto dar noia. Guardavano gli insetti muoversi rapidamente sulla superficie dell'acqua, dove il ruscello formava un piccolo stagno. Il grande albero si arruffava nel vento, sopra a loro, e di tratto in tratto lasciava cadere una foglia simile a un fazzoletto bruno. Robbie aveva cinque anni.
"Credo che i sicomori siano buoni" egli osservava, quando una foglia gli cadeva sulle ginocchia.
Jakob prendeva la foglia e ne isolava le costole frantumando il resto.
"Sicuro" diceva. "Crescono vicino all'acqua. Tutte le cose buone amano l'acqua. Le cose cattive sono sempre secche, invece."
"Grandi e buoni sono i sicomori" diceva Junius. "A me sembra che una cosa debba essere molto grande per sopravvivere. Le cose buone che son piccole vengono distrutte dalle piccole cose cattive. Di rado una cosa grande ha il veleno in corpo. Per questo, nel pensiero dell'uomo, la grandezza è un attributo del bene e la piccolezza un attributo del male. Capisci, Robbie?"
"Sì, capisco" Robbie rispondeva. "Come gli elefanti".
"Gli elefanti sono spesso cattivi, ma a noi quando ce li immaginiamo, sembrano gentili e buoni."
"E l'acqua?" interveniva a chiedere Jakob. "Capisci anche quello che io detto dall'acqua, Robbie?"
"No" rispondeva Robbie. "Questo no."
"Io sì che lo capisco" diceva Junius. "Voi intendete dire che l'acqua è il seme della vita. Dei tre elementi l'acqua, dunque, è il seme, la terra l'alvo, e il calore del sole è l'energia vivificatrice."
Era in tal modo che Robbie veniva istruito.

John Steinbeck, I pascoli del cielo, p. 84-86

giovedì 1 marzo 2012

I PASCOLI DEL CIELO - John Steinbeck



LA TRAMA
Venti famiglie. Un piccolo villaggio, all'inizio del '900, in una fertile vallata della California centrale. È lo scenario del primo libro importante di John Steinbeck, "I pascoli del cielo", che fu pubblicato nel 1932 e tradotto da Elio Vittorini nel 1940. Si compone di dodici capitoli ma non è propriamente un romanzo perché a tenere insieme le diverse vicende, ciascuna conchiusa in sé, di questo piccolo capolavoro non sono i personaggi ma l'ambientazione - il rapporto dei contadini con la natura circostante - e, soprattutto, il tema del misterioso insinuarsi del male in un luogo che all'occhio umano appare come l'ingannevole replica del Giardino dell'Eden.

DAL LIBRO
Anno 1776, Alta California.
Nel pomeriggio del secondo giorno un giovane cervo passò di volata dinanzi al caporale e scomparve dietro a un ciglione. Il caporale si staccò dalla colonna per inseguirlo. Quando, sullo stremato cavallo, raggiunse la vetta del ciglione, si fermò stupito per lo spettacolo che gli si aprì sotto gli occhi. Una lunga valle si stendeva entro un anello di colline che la proteggevano dalla nebbia e dai venti. Disseminata di querce, era coperta di verde pastura e formicolava di cervi.
Al cospetto di tanta bellezza, il caporale si sentì commosso. Lui che aveva frustato tante schiene di indiani, lui che, maschio rapace, si adoperava a forgiare una nuova razza per la California, lui, il selvaggio barbuto apportatore di civiltà, scese di sella e si tolse il casco d’acciaio.
“Madre di Dio!”, mormorò. “Questi sono i verdi pascoli del Cielo ai quali il Signore ci conduce!”
John Steinbeck, I pascoli del cielo, 1932, trad. Elio Vittorini, ed. Bompiani 2011, p. 7-8.


L'AUTORE
John Steinbeck (Salinas, 27 febbraio 1902 – New York, 20 dicembre 1968) è stato uno scrittore statunitense tra i più noti del XX secolo, autore di numerosi romanzi, racconti brevi e novelle. Fu per un breve periodo giornalista e cronista di guerra nella seconda guerra mondiale. Nel 1962 gli fu conferito il Premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: "Per le sue scritture realistiche ed immaginative, unendo l'umore sensibile e la percezione sociale acuta".


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