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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber
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giovedì 2 ottobre 2014

LA RESPONSABILITA’ DI PROTEGGERE IL CREATO – Pietro Parolin


Signor Segretario Generale,
Il lungo dibattito sui cambiamenti climatici, che ha dato vita nel 1992 alla Convenzione quadro dell’ONU sul cambiamento climatico e al suo processo di attuazione, mostra come si tratti di una materia estremamente complessa. Da allora, molte cose sono cambiate: le dinamiche dei rapporti internazionali hanno dato vita a contesti geopolitici mutati, mentre gli strumenti scientifici ed informativi si sono straordinariamente
raffinati.
Uno dei principali elementi emersi in questi trenta e più anni di studi sul fenomeno del riscaldamento globale è la sempre più forte consapevolezza che l’intera comunità internazionale faccia parte di un’unica interdipendente famiglia umana. Le decisioni e i comportamenti di uno dei membri di questa famiglia hanno profonde conseguenze su altri componenti della medesima; non vi sono frontiere, barriere, mura politiche, entro le quali potersi nascondere per proteggere un membro rispetto all’altro dagli effetti del riscaldamento globale. Non vi è spazio per quella globalizzazione dell’indifferenza, per quell’economia dell’esclusione, per quella cultura dello scarto così spesso denunciate da Papa Francesco (Evangelii gaudium , no. 52, 53 e 59).
Nel processo finalizzato a contrastare il riscaldamento climatico, troppo spesso abbiamo visto la prevalenza di interessi particolari o di comportamenti cosiddetti "free-riders" sul bene comune; troppo spesso abbiamo registrato una certa diffidenza o mancanza di fiducia da parte degli Stati, così come degli altri attori partecipanti. Tuttavia, se vogliamo realmente essere efficaci, è necessario attuare una risposta collettiva basata su quella cultura della solidarietà, dell’incontro e del dialogo, che dovrebbe essere alla base delle normali interazioni all’interno di ogni famiglia e che richiede la piena, responsabile e impegnata collaborazione da parte di tutti, secondo le proprie possibilità e circostanze.
In questa direzione, sembra opportuno richiamare un concetto che è stato sviluppato anche all’interno del foro delle Nazioni Unite, quello della responsabilità di proteggere. Gli Stati hanno una responsabilità comune di proteggere il clima mondiale attraverso azioni di mitigazione, di adattamento e di condivisione delle tecnologie e del "know-how". Ma hanno soprattutto una responsabilità condivisa di proteggere il nostro pianeta e la famiglia umana, assicurando alla generazione presente e a quelle future la possibilità di vivere in un ambiente sicuro e degno. Le basi tecnologiche e operative per favorire questa responsabilità condivisa sono già disponibili o alla nostra portata. Abbiamo la capacità di avviare e rafforzare un vero e proprio processo virtuoso che, in un certo senso, irrighi attraverso attività di adattamento e di mitigazione un terreno di innovazione economica e tecnologica dove è possibile coltivare due obiettivi tra di loro concatenati: combattere la povertà e attenuare gli effetti del cambiamento climatico.
Le sole forze di mercato, specie se prive di un adeguato orientamento etico, non possono però risolvere le crisi interdipendenti concernenti il riscaldamento globale, la povertà e l’esclusione. La sfida più grande risiede nella sfera dei valori umani e della dignità umana; questioni che riguardano la dignità umana degli individui e dei popoli non possono essere ridotte a meri problemi tecnici. In questo senso, il cambiamento climatico diventa una questione di giustizia, di rispetto e di equità; una questione che deve sollecitare le coscienze di ognuno di noi.

Card. Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, Palazzo di Vetro all’Onu, intervento a margine della 69^ Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 24 settembre 2014.

mercoledì 1 ottobre 2014

IL CREATO NON E’ UNA PROPRIETA’ – Pietro Parolin


Signor Segretario Generale,
Sono lieto di portare il cordiale saluto di Sua Santità Papa Francesco a questo importante Vertice che vede alti esponenti del mondo governativo, del settore privato e della società civile qui riuniti al fine di individuare e proporre iniziative rilevanti volte ad affrontare il preoccupante fenomeno del cambiamento climatico. E’ ben noto come quest’ultimo chiami in causa aspetti non solo scientifico-ambientali o socio-economici, ma anche e soprattutto etico-morali, visto che incide su tutti, in particolare sui più poveri, che sono più esposti ai suoi effetti.
Al cospetto di siffatta consapevolezza, la Santa Sede ha spesso ribadito quell’imperativo morale ad agire che interpella ognuno di noi circa la nostra responsabilità a custodire e valorizzare il creato per il bene della presente generazione, così come di quelle future. Papa Francesco, fin dall’inizio del Suo Pontificato, ha sottolineato l’importanza di «custodire questo nostro ambiente, che troppo spesso non usiamo per il bene, ma sfruttiamo avidamente a danno l’uno dell’altro» (Udienza al Corpo Diplomatico della Santa Sede, 22 marzo 2013).
Vi è ormai un consenso scientifico piuttosto consistente sul fatto che il riscaldamento del sistema climatico a partire dalla seconda metà del secolo scorso sia inequivocabile. Si tratta di un problema molto serio che, come detto, ha gravi conseguenze per i settori più vulnerabili della società e, ovviamente, per le generazioni future.
Numerosi studi scientifici hanno, inoltre, sottolineato i grandi rischi e i costi socioeconomici dell’inerzia dell’azione umana di fronte a tale problema, sulla base del fatto che la sua principale causa sembra essere l’aumento nell’atmosfera delle concentrazioni di gas ad effetto serra provocate da attività antropiche. Di fronte a detti rischi e costi, deve prevalere la virtù della prudenza, che richiede di ben deliberare in funzione di un’accurata analisi degli impatti futuri che comportano le nostre azioni. Ciò richiede un grande impegno politico-economico da parte della comunità internazionale, al quale anche la Santa Sede vuole dare il proprio contributo, nella consapevolezza che «il dono della scienza ci aiuta a non cadere in alcuni atteggiamenti eccessivi o sbagliati. Il primo è costituito dal rischio di considerarci padroni del creato. Il creato non è una proprietà, di cui possiamo spadroneggiare a nostro piacimento; né, tanto meno, è una proprietà solo di alcuni, di pochi: il creato è un dono, è un dono meraviglioso che Dio ci ha dato, perché ne abbiamo cura e lo utilizziamo a beneficio di tutti, sempre con grande rispetto e gratitudine» (Papa Francesco, Udienza del 21 maggio 2014).
Card. Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, Palazzo di Vetro all’Onu, intervento a margine della 69^ Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 24 settembre 2014.


lunedì 23 giugno 2014

IL PROFITTO ANCHE A SCUOLA – Mario Lodi (1922-2014)


Da una parte abbiamo le belle parole del programma-contratto: “Scopo essenziale della scuola non è tanto quello di impartire un complesso determinato di nozioni, quanto di comunicare al fanciullo la gioia e il gusto di imparare e di fare da sé, perché ne conservi l’abito oltre i confini della scuola, per tutta la vita”. 
Dall’altra abbiamo la realtà di una scuola che invece di essere un servizio sociale per l’uomo è espressione e strumento di un sistema simile nei fini ultimi a tutti i sistemi che considerano gli uomini una massa da asservire e strumentalizzare per fini che gli sono estranei. 
Da noi il sistema è fondato sul principio considerato sacro della proprietà e dell’iniziativa privata, la quale ha come unica motivazione il profitto e come conseguenza la competizione. Chi comanda ha modellato la scuola a immagine e somiglianza del sistema: il profitto lo troviamo sulla pagella espresso in voti. 
E tu sai per esperienza diretta che dove c’è la prova oggettiva dell’esame uguale per tutti non si tiene conto del punto di partenza di ognuno, dei talenti e degli sforzi compiuti dall’handicappato.

Mario Lodi, Il paese sbagliato. Diario di un’esperienza didattica, Einaudi, Torino 1995, pp.18-21.

martedì 6 maggio 2014

E LA SUA CASA NON E’ LA TERRA - John Steinbeck (1902-1968)


Le case abbandonate rimasero vuote nella campagna, e per questa ragione la campagna risultò vuota. Di vivo rimase solo la lamiera ondulata, lucida come argento, delle rimesse per trattrici. Le trattrici erano munite di fari perché per loro non esiste differenza fra notte e giorno, mentre i dischi dissodanti luccicano nel sole e smuovono la terra nella tenebra.
Nelle stalle, a sera, quando il cavallo sospende il lavoro, la vita persiste: c'è fiato, c'è calore, c'è moto e rumore: moto d'occhi e orecchi vivi, moto e rumore di zoccoli nella paglia, di ganasce che masticano il fieno. Nelle stalle è calore di vita, odore di vita.
Ma quando si spegne il motore, nella rimessa la trattrice è morta, morta come il metallo da cui proviene. Il calore l'abbandona come abbandona i corpi dei morti. Allora il conducente chiude le serrande di lamiera ondulata e se ne ritorna al paese, forse a trenta chilometri di distanza, e può per settimane e mesi non tornare sul campo, perché la trattrice è morta. Il sistema è pratico, è efficiente. Tanto pratico, che spoglia il lavoro umano del suo sacro fascino; tanto efficiente, che irride al portentoso sforzo della fatica umana.
E nel conducente suscita quel disprezzo ch'è proprio del turista che visita un paese senza capirne gli usi. Perché nitrati e fosfati non sono la terra: la lunghezza di fibra del cotone non è la terra. Carbonio sale acqua e calcio non fanno l'essere umano. L'uomo è sì tutte queste cose, ma è qualcosa di più, è molto di più; e la terra è infinitamente di più che l'insieme dei suoi elementi.
L'uomo che è più delle sue componenti, che calca la zolla coi piedi nudi, che fa deviare il vomere per scansare una pietra, che sosta nei solchi per consumare il suo pasto; quest'uomo che è più dei suoi propri elementi conosce e capisce questa terra che è più delle proprie componenti.
Ma l'uomo della trattrice, che guida una macchina morta su un suolo ch'egli non conosce e non ama, capisce solo la chimica, e disprezza la terra e se stesso. Quando le porte di lamiera ondulata sono chiuse, lui va a casa, e la sua casa non è la terra.
John Steinbeck, Furore, Bompiani, Milano 1940, p. 63-64
Titolo originale: The grapes of wrath, Copyright 1939 John Steinbeck


lunedì 28 aprile 2014

FURORE - John Steinbeck (1902-1968)


La vicenda narra l'epopea della 'biblica' trasmigrazione della famiglia Joad, che è costretta ad abbandonare la propria fattoria nell'Oklahoma a bordo di un autocarro e a tentare di insediarsi in California, dove spera di ricostruirsi un avvenire. Nella stessa situazione si trovano centinaia di altre famiglie, sfrattate dalle case dove avevano vissuto per generazioni perché le banche a cui avevano chiesto i prestiti non rinnovano i crediti e confiscano i terreni spedendo le "trattrici" a spianare tutto, comprese le abitazioni in legno.
La storia inizia con Tom, che è appena stato rilasciato sulla parola con un permesso speciale del carcere - dove ha già scontato quattro dei sette anni ai quali è stato condannato per aver ucciso un uomo che lo aveva accoltellato. Egli ritorna a casa attraversando un paesaggio desolato dall'aridità e dalle piogge torrenziali che rovinano l'ennesimo raccolto e che preannunciano la miseria incombente. Con la sua famiglia decide così di abbandonare l'Oklahoma per tentare la fortuna all'Ovest. Costoro intraprendono a bordo di un autocarro il lungo viaggio verso la California.
John Steinbeck, Furore, Bompiani, Milano 1940.
Nuova edizione: Bompiani 2013, nuova traduzione integrale di Sergio Claudio Perroni.

Titolo originale: The grapes of wrath, Copyright 1939 John Steinbeck

martedì 7 gennaio 2014

L'AMORE E IL POSSESSO - Antoine de Saint-Exupéry (1900-1944)


Non confondere l’amore con il delirio del possesso, che causa le sofferenze più atroci.
Perché, contrariamente a quanto comunemente si pensa, l’amore non fa soffrire.
Quello che fa soffrire è l’istinto della proprietà, che è il contrario dell’amore.

Antoine de Saint-Exupéry, Cittadella (1948)
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