Che cosa facciamo noi
insegnanti mentre aspettiamo che i politici ci diano ragione sul fatto che
scuole ormai ottocentesche sono inadeguate al ventunesimo secolo e che dovremmo
incoraggiare la creatività e non la competizione tra gli studenti?
Cambiamo il sistema
dall’interno.
Prima lavoriamo su
noi stessi per trovare il coraggio di abbandonare il nostro ruolo di fornitori
di contenuti e accettare l’idea di dover cambiare ruolo continuamente nelle
nostre classi: a volte dobbiamo essere facilitatori, altre volte mentori, altre
ancora padroni di casa che creano uno spazio sicuro per l’apprendimento.
Spostare
continuamente il focus del lavoro in classe in questo modo non è un’impresa
facile, e non finisce mai. Non è questione di un giorno. Richiede l’umiltà di capire
che non dobbiamo necessariamente essere una fonte di saggezza per i nostri
alunni. Richiede pazienza e tenacia.
Dobbiamo condividere
la nostra idea di cambiare focus con i colleghi, per creare la magia della
creatività combinatoria. Prendere qui e lì per trovare il mix più adatto ai
nostri studenti. Si procede sempre per tentativi ed errori. E bisogna anche
leggere molto.
Sappiamo che è una
fatica di Sìsifo, a volte il masso rotola di nuovo giù fino ai piedi della
collina. Ma dobbiamo trovare la forza di ricominciare. E ci riusciremo, con
l’aiuto dei nostri amici e alleati che capiscono perché lo stiamo facendo e
perché ne vale la pena.
Un insegnante non può
fare nulla per cambiare il modo in cui è suddivisa la giornata nelle scuole, ma
può fare molto per il modo in cui è organizzata la giornata della sua classe.
Io insegno lettere agli adolescenti in un quartiere degradato. Abbiamo quattro
blocchi di lezioni al giorno: due la mattina e due dopo la pausa pranzo di 40
minuti, ogni blocco è di 77 minuti.
Il tipo di attività
che posso svolgere in classe dipende dal momento della giornata. A volte è una
lezione frontale, a volte un’attività sperimentale, altre un controllo per
vedere a che punto sono gli studenti, altre ancora è un momento di relax o di
meditazione prima di cominciare a lavorare. Decido che cosa fare in base ai
risultati delle ricerche su come funziona il cervello degli adolescenti. La
mattina presto e alla fine della giornata non sono al massimo delle loro
capacità, quindi in quelle ore evito le lezioni frontali.
Uso la classe come il
ponte degli ologrammi di Star Trek. A volte è un laboratorio, a volte un paese,
altre un tribunale o un parlamento e a volte un salotto dove si conversa.
Qualche volta, naturalmente, è solo una classe.
Incoraggio gli
studenti a farmi domande direttamente, via email o in forma anonima usando la
popolarissima Question box. Le loro domande mi fanno capire che cosa li
preoccupa e che cosa manca al mio insegnamento. Una collega di matematica ha
adottato lo stesso sistema adattandolo alla sua materia, ma la sua scatola si
chiama Panic box e gli studenti possono metterci le domande sui contenuti del
corso che li mandano nel panico.
Riduco al minimo le
lezioni teoriche e cerco per quanto posso di usare i programmi in un modo che
consenta ai miei studenti un tipo di apprendimento basato sulla risoluzione di
problemi (apprendimento per problemi) e l’esperienza diretta (apprendimento
esperienziale). Quando ho cominciato, non sapevo come si chiamassero questi
metodi. Nella maggior parte dei casi “costruisco la strada camminando”, cerco
solo di creare esperienze di apprendimento significative per gli studenti.
Nei miei sogni,
immagino che l’apprendimento basato sulla soluzione di problemi e
sull’esperienza diretta sarà al centro di quello che si farà nelle scuole
pubbliche in futuro.
E spero veramente,
nonostante la campagna per tagliare fondi all’istruzione pubblica, che
riusciremo a mantenerla in piedi. Nonostante i loro molti difetti, le scuole
pubbliche sono ancora molto importanti. Non sono solo istituzioni che
rilasciano un titolo di studio ufficialmente riconosciuto, sono anche spazi
sicuri per quegli studenti che a casa hanno una vita difficile, sono oasi nei
quartieri più pericolosi, sono i posti in cui molti studenti fanno il loro
unico pasto quotidiano e in cui possono parlare con un adulto delle loro paure
e preoccupazioni.
Le scuole pubbliche
sono tra i pochi luoghi pubblici rimasti che funzionano come comunità, sono
spazi per le persone, non per il profitto.
In quale altro posto
al mondo un adolescente che per il suo sedicesimo compleanno riceve in regalo
un’automobile da 30mila dollari può stare seduto vicino a uno che fa un pasto
decente solo tre volte alla settimana?
Con tanti spazi
comuni ormai occupati dalle aziende private, la scuola pubblica è vitale per
molti studenti. È ancora la grande livellatrice, il luogo dove ragazzi che
provengono da classi sociali diverse possono incontrarsi su un terreno comune.
È vero, il sistema
dell’istruzione deve cambiare, ma intanto lavoriamo per ridargli slancio. Non
buttiamo via il bambino con l’acqua sporca.
Cambiamo il sistema
dall’interno.
(Traduzione di Bruna
Tortorella)
Lizanne Foster è
un’insegnante canadese e ha scritto questo articolo sul suo blog.