Primo giorno di scuola
in quasi tutte le regioni d’Italia. Non in Trentino Alto Adige, che ha
cominciato il 7 settembre. E nemmeno in Veneto, che per imperscrutabili motivi
comincerà per ultimo, insieme alla Puglia, il 16. Al di là della data
differenziata (se non altro simbolico segno che l’autonomia scolastica c’è), i
problemi con cui quest’anno scolastico si apre sono comuni. Sarà infatti in
vigore la riforma della scuola voluta dal Governo, contro cui sono già
annunciate le prime mobilitazioni e proteste: impugnata anche dalla Regione
Veneto con il sostegno del Movimento 5 Stelle, mentre il movimento anti-gender
raccoglie le firme per abolirla insieme ai Cobas (per dire quante cose diverse
ci si possono trovare dentro, e quante strane alleanze si creano).
In tutto questo, non
riesce facile fare un discorso lineare sulla scuola. Ci proviamo, marcando
alcuni punti fermi. La “Buona scuola” può piacere o meno. Si può disquisire con
buone ragioni su ciò che manca, o su come è attuato quello che c’è. Non c’è
dubbio tuttavia che tocchi punti centrali e sentiti: valutazione degli
insegnanti, ruolo dei dirigenti scolastici, autonomia. Si può fare di più? Si
può, e si deve. Ma solo partendo dal presupposto che la riforma non è
abbastanza, non che è già troppo e va rifiutata. In questo senso gli insegnanti
farebbero un grosso errore a boicottarla, anche se crediamo non sia questo il
sentire comune tra i docenti. E’ legittimo protestare contro una riforma, e
proporre soluzioni alternative. Ma una volta in vigore è legge dello stato, e
la scuola deve dare l’esempio nel rispettarla, pur continuando a proporre
soluzioni alternative e miglioramenti. Non è solo questione di rispetto della
legalità: è l’abc della funzione civile della scuola e della sua ragion
d’essere educativa. Abdicando ad essa, come alcuni preannunciano (iniziative
esemplari proprio il primo giorno: che ha un significato simbolico, per
studenti e famiglie, che non può essere preso in giro; o un domani il
boicottaggio dei test Invalsi o degli scrutini), significa fare un danno di
lungo periodo alla stessa funzione insegnante e alla sua credibilità, che ne
risentirebbe ulteriormente.
Questo anche per non
far aumentare la distanza, già oggi rilevante, tra il modo di vedere la scuola
degli insegnanti e quello di studenti e famiglie. Su questo tema il “Corriere
della sera” ha pubblicato un sondaggio da cui emerge che entrambi hanno
importanti interessi in comune: vogliono migliorare la didattica, aumentare le
ore di scuola, valorizzare lo sport e l’arte, dedicare quindi più risorse alla
scuola. Ma famiglie e studenti vogliono anche più meritocrazia e valutazione
esterna (non l’autovalutazione che preferiscono gli insegnanti), vedono il
principale problema nella qualità stessa dell’insegnamento, vorrebbero avere
criteri oggettivi per comparare le scuole e sceglierle, sono in larga
maggioranza favorevoli ai test Invalsi, pur avendo in comune con gli insegnanti
il desiderio di migliorarne l’efficacia.
Tutto questo ci dice
che la riforma, con tutti i suoi limiti, ha preso una direzione che, dagli
utenti della scuola, è considerata giusta: semmai non ancora sufficiente. Non
sono contro: vogliono andare oltre. Insieme, insegnanti e famiglie, possono
quindi chiedere di più: in termini di edilizia scolastica, risorse a
disposizione (anche per la formazione e, sì, i salari degli insegnanti), orari
più lunghi, più materie tra cui scegliere, miglioramento della didattica.
In questo gli
insegnanti sono supportati dalle famiglie: che nella funzione della scuola ci
credono, nella capacità di perseguirla un po’ meno – spesso, e qui sta la
divergenza, per motivi diversi da quelli che gli insegnanti considerano
cruciali. E’ un punto da cui partire per riflettere insieme. Se le
organizzazioni degli insegnanti lo usassero invece come motivo per cui dividersi
ulteriormente (non dal governo, ma dalla pubblica opinione) commetterebbero un
errore che andrebbe a loro danno. Se lo si capisce, guardando al futuro, si
apre una grande opportunità per la scuola come valore aggiunto sociale e civile
del paese. Se non lo si capirà, continuando a guardare a quello che ormai è il
passato, il corpo insegnante rischia di perdere una partita assai più
importante: quella del significato della sua funzione e del suo peso sociale.
La
scuola che va rispettata, in “Corriere della sera –
Corriere del Veneto”, 13 settembre 2015, p.1