Il mio
primo incarico come dirigente l’ho ottenuto in una scuola media con annessa sezione
carceraria.
Una
mattina di settembre del 2007, preside di fresca nomina, mi recai alla Casa di
reclusione per far visita alla scuola del carcere. Già entrare all’interno del
penitenziario non fu cosa di poco conto: cancelli, guardie e controlli si
succedevano a ogni piè sospinto e io pensavo che se era così difficile entrare,
quanto complicato sarebbe stato l’uscirne? Finalmente giunto alla zona delle
aule, nel cuore del carcere dove nemmeno gli avvocati avevano accesso, i prof
mi presentarono gli allievi uno dopo l'altro indicandomi tutte le attività che
stavano svolgendo e sottolineandone i progressi scolastici e i molteplici interessi.
Tutti gli allievi, adulti fatti, mi venivano presentati come i “loro ragazzi”,
allievi "normali", con i loro pregi e anche con i soliti difetti di
chi talvolta ha poca voglia di studiare e marina volentieri le lezioni.
Ma, mi
chiedevo, se erano lì, tanto normali non dovevano essere. Non stiamo parlando
di un carcere che accoglie ladruncoli di strada, ma di una Casa di
reclusione regionale che rinchiude mafiosi del 41 bis, pedofili e
pluriomicidi. E così, durante il consiglio di classe, io candidamente cominciai
a chiedere ai professori i motivi delle condanne, e per quanti anni, e se erano
pericolosi, e tutte queste cose.
Le mie
domande caddero in un silenzio imbarazzato.
Con
semplicità, mi spiegarono che loro non avevano la minima idea dei delitti di
cui i loro allievi si erano macchiati, e non volevano conoscere nulla della
loro storia passata per non essere influenzati nel loro lavoro qui e ora. Non
erano sprovveduti e sapevano benissimo di non avere a che fare con gli
angioletti dell'acquasantiera, ma non volevano correre il rischio di entrare
nel vortice nefasto della profezia che si autoavvera. Il loro lavoro era quello
di insegnare alle persone che avevano di fronte in quel preciso momento, e solo
se la loro mente e il loro cuore fossero stati liberi da pregiudizi ci
sarebbero riusciti.
Non sto
parlando di insegnanti speciali, con chissà quali specifiche competenze, sto parlando di
normali professori, che però avevano compreso profondamente ciò che io, allora,
non avevo ancora capito.
Da quel
momento, ho amato quegli insegnanti e ho continuato ad ammirarli come si
ammirano gli eroi nascosti che fanno il loro dovere, con la testa e con il
cuore, ogni giorno.
Per me, è
stata una lezione grandissima, che non dimenticherò mai. Ve la dono, affinché
sia anche per voi motivo di esempio e di riflessione.
27 settembre 2015