Carissimo
collega,
(mi permetto
questa confidenza in nome di una professione , quella docente, che anche io ho
svolto con passione e che, credo, dia un senso alla tua presenza, oggi, nel
Governo dei tecnici) come ben sai, sulla scuola italiana, sempre più investita
da tagli agli organici, alle risorse finanziarie, ai servizi di supporto;
afflitta per il prossimo anno scolastico da dimensionamenti che produrranno
“iperistituti” con numeri mostruosi di plessi e sezioni staccate; sempre più
tormentata dalla precarietà dei docenti; oberata da compiti di amministrazione
e gestione impropri, in nome di un’autonomia che, senza risorse, si è ridotta
ad un “fai da te” dei poveri…su questa scuola umiliata, offesa, accusata di
inefficienza anche quando riesce a dare prestazioni di qualità in situazioni di
deserti culturali e sociali….si sta per abbattere di nuovo il tormentone delle
prove dell‘INVALSI.
Il Ministero
si ostina ad ignorare il disagio e la resistenza che gran parte dei docenti,
spesso quella più qualificata e motivata, esprime da anni verso un progetto che
l’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Scolastico Italiano intende
effettuare con prove (per lo più test a risposta chiusa) a cui quest’anno
verranno sottoposti, fra il 9 e il 16 maggio, tutti gli alunni delle classi I e
V della Primaria, delle classi I della Secondaria di primo grado e delle classi
II della Secondaria di secondo grado.
Le prove ,
come nei precedenti anni scolastici, verranno somministrate con modalità
identiche su tutto il territorio nazionale, a prescindere dai contesti socio –
culturali, dalla composizione delle classi, dai programmi effettivamente
svolti, dai sistemi di valutazione adottati dai Collegi dei docenti e dai
Consigli di classe.
La valutazione
è tema delicato che non si può affrontare in maniera parziale e senza una
interlocuzione continua e approfondita con i docenti che nelle scuole operano .
I Collegi sanno ben distinguere la valutazione formativa, che si svolge lungo
tutto il percorso annuale, da quella finale o sommativa. Sanno che il “valore
aggiunto” di una scuola non si misura solo attraverso i risultati ottenuti in
termini di abilità da tutti gli alunni, in un certo momento dell’anno, ma anche
attraverso i percorsi realizzati per non perdere i soggetti più fragili e
attraverso la capacità che i docenti esprimono di leggere i bisogni educativi
dei singoli alunni e di sostenerne lo sviluppo complessivo della personalità.
Le “buone”
scuole sanno che spetta loro anche il compito di essere luoghi significativi
per le esigenze culturali dei territori, soprattutto di quelli più a rischio di
povertà e disagio sociale e sanno che devono aprirsi alle proposte e alle
richieste di formazione che ne provengono.
Molti Collegi
e singoli docenti hanno espresso queste e altre critiche competenti
all’impianto della ricerca INVALSI e hanno messo in discussione le finalità che
tutta l’operazione sembra volere raggiungere: quella cioè di rilevare il
“valore aggiunto” che ogni singola scuola è in grado di realizzare e premiare ,
su questa base, le scuole migliori.
Si tace,
invece, della necessità di intervenire a supportare le situazioni già oggi
individuabili come quelle più critiche e che si aggravano proprio per i tagli,
l’impoverimento e la marginalizzazione che la Scuola sta subendo nel nostro
Paese.
Mi rivolgo a
te, che come “maestro di strada” sai quanto sia importante intercettare,
attraverso relazioni educative significative e positive, tutti gli alunni,
soprattutto quelli più fragili, per formulare alcune semplici domande.
Attraverso i
risultati ottenuti nei test INVALSI come si potranno misurare gli esiti
educativi di quelle scuole che riescono, spesso con risorse del tutto
insufficienti, a motivare alla frequenza anche gli alunni più deprivati,
prevenendo abbandoni e ritardi scolastici?
Come si
valuteranno quei Collegi che riescono ad integrare alunni migranti da poco
arrivati nel nostro Paese, anche senza potere fruire di tempi di docenza
aggiuntivi per percorsi individualizzati o per la predisposizione di attività
di laboratorio?
Come si potrà
evitare che la somministrazione dei test produca frustrazione negli alunni con
disturbi specifici dell’apprendimento, spesso non diagnosticati, ai quali si è
soliti dare più tempo e per i quali si creano, nell’attività didattica
quotidiana, situazioni non ansiogene affinché affrontino i percorsi di verifica
con sufficiente serenità?
Come si potrà
salvaguardare, con l’unico strumento “test”, la naturale (e positiva!)
divergenza che soprattutto gli alunni più piccoli dimostrano di fronte a
domande e problemi posti?
Non ti sembra
che il test non sia lo strumento più adeguato per riutilizzare in maniera
didatticamente proficua l’errore, tanto più quando viene presentato agli alunni
come prova unica, da affrontare individualmente e in tempi definiti.? (Ai
nostri alunni di solito diciamo: “Pensaci bene! Prenditi tutto il tempo che ci
vuole! Non tirare ad indovinare! Poi valuteremo insieme se e dove hai
sbagliato!”. Addestrandoli all’utilizzo individuale e “a tempo” dei test siamo
invece costretti a dire: “Svelto! Rispondi comunque! Hai sempre una probabilità
su tre o quattro di azzeccare la risposta giusta! Ognuno pensi a sé!” )
Il test,
insomma, non è strumento efficace né per misurare gli aspetti di complessità di
una comunità educativa , né per verificare l’effettivo consolidamento di
conoscenze e competenze raggiunto da tutti gli alunni, nessuno escluso, pur se
nella infinita gamma dei casi singoli .Il test resta perciò uno strumento
parziale di verifica, da utilizzare con parsimonia e insieme ad altre prove e
narrazioni di situazioni. Quindi, i test dell’INVALSI possono essere uno
strumento, fra gli altri, messo a disposizione delle scuole, per autovalutarsi
e possono contribuire alla valutazione complessiva del sistema di istruzione
italiano, purché accompagnati da altre rilevazioni e, soprattutto,
contestualizzati.
Difficilmente
si potrà ottenere la collaborazione attiva e convinta dei docenti attraverso il
rifiuto dell’ascolto delle loro contestazioni (molto più diffuse di quanto il
Ministero non avverta!) e attraverso l’imposizione o addirittura le minacce ,
come sta avvenendo, da parte di alcuni dirigenti scolastici, di denuncia per
omissioni di atti d’ufficio dei docenti che non somministreranno le prove nelle
forme e nei modi prescritti dalle istruzioni dell’INVALSI.
Il Senato ha
acquisito come odg una petizione con migliaia di firme di docenti e genitori
che chiede di conservare al percorso INVALSI la caratteristica della ricerca,
da realizzarsi, quindi, su di un campione statistico di scuole (come avviene
nel resto dell’Europa) e di rendere volontaria l’adesione delle scuole.
Ti prego di
voler suggerire al Ministro che tale strada è la più coerente con le finalità
che il Ministero ha affidato all’INVALSI e, soprattutto, che questa modalità
proverebbe che questa Amministrazione è rispettosa, più di quella precedente,
della professionalità e della competenza dei docenti.
Simonetta Salacone, già
Dirigente scolastica della Scuola”Iqbal Masih” di Roma