Nella pratica, l’accettazione
consiste nel dire mentalmente sì a qualcuno che è in disaccordo con noi; non sì
alle sue argomentazioni (“Sì, ha ragione”), ma sì, invece, all’esistenza delle
sue argomentazioni e del suo disaccordo (“Sì, vedo che non è d’accordo”),
continuando ad ascoltare per capire, prima di contraddire.
Significa dire sì
alla sconfitta, senza però sottomettersi; sì alle avversità, perché ci sono, ma
senza abbassare la testa. Accettare vuol dire prendere il tempo necessario per
esaminare ciò che accade; il tempo di respirare, in modo da capire e sentire,
prima di decidere cosa fare.
L’accettazione non
è mai al posto dell’azione, ma prima: prima di scegliere l’azione
adeguata. La vera scelta. Senza accettazione avremmo solo azioni impulsive, che
ci indurrebbero a muoverci sempre nello stesso modo, nella stessa direzione.
Che rapporto ha
tutto ciò con la felicità? E’ semplice: l’accettazione ci libera da molti
conflitti inutili. Conflitti contro il mondo fuori di noi, che ci sfiniscono,
in cui faremmo meglio a mollare la presa; e conflitti dentro di noi, perché cercare
di opporsi al reale (“No, non è possibile!”, “No, non è vero!”, “Forse è solo
un brutto sogno!”) non fa che logorarci.
Christophe André,
E non dimenticarti di essere felice.
Esercizi di psicologia positiva, Mondadori, Milano 2015, p. 26-27