«Beata te che hai
tempo di leggere, andare a teatro e al cinema».
Doppia bugia. Leggere
non è questione di tempo. Un moderno romanzo sul tempo perduto (o solo perso?)
occuperebbe più dei sette volumi della Recherche.
Il report annuale 2015 di We are social
racconta che mediamente gli italiani passano quattro ore e 28 minuti su
internet, due ore e 30 minuti su piattaforme social, due ore e 39 minuti davanti
alla tv. I più teledrogati d'Europa. Dentro a questo oceano di ore un libro
all'anno o uno spettacolo teatrale non sono questione di tempo.
Ed è una bugia anche
la faccenda dell'esser beati. Fosse vero, qualche lettore in più ci sarebbe.
Chi pronuncia quella frase mente non sapendo di mentire. Perché confusamente,
in fondo, crede abbastanza che la cultura sia una cosa buona e infatti chi non
legge non fa campagne contro quello stravagante fenomeno per cui esistono
persone che leggono, mentre si può vivere anche senza farlo risparmiando così
tempo e soldi.
E allora se non è
questione di tempo, è questione di scelta non leggere, non andare a teatro, al
cinema, al museo? Si fa altro semplicemente perché altro ci rende più felici?
Fosse vero. Quanta parte della nostra vita è uno scivolare inconsapevole portati
dall'aria che tira e da infiniti concorsi di colpa.
A parte la scuola, e infatti
l'Istat ci dice che sono proprio i bambini e i ragazzi i principali fruitori culturali,
non c'è molto del nostro ordinario mondo quotidiano che racconti che la cultura
è importante. Librerie intasate da libracci che gli editori pubblicano alla
ricerca del botto che salva i bilanci di un semestre invece di coltivare il
gusto e la passione di lettori fedeli, biblioteche e teatri che chiudono per i
tagli che sulla cultura, pazienza, si possono fare, politici che un libro in
mano mai e la cultura è solo la sera della prima alla Scala.
C'è una simbolica dei
gesti, delle parole, degli spazi e delle azioni che racconta quel che davvero
interessa a una società. Le parole sono inganno senza questa materialità che dice
il loro valore. L'amore per la cultura non nasce nel deserto della cultura. Ci
sono strade istituzionali già percorse e sperimentate. In Francia, Gran
Bretagna, Usa, chi vuole scrivere un libro può chiedere una borsa di studio o
accedere a una residenza per scrittori, a Praga la metro è tappezzata di
pubblicità di libri e gli studenti vanno a teatro e ai concerti con abbonamenti
dal costo simbolico.
Ogni Paese ha le sue
storie. La nostra dice che libri, musei e teatro sono per ora cose di scuola.
Non basta, ma graziealcielo c'è la scuola.
Mariapia
Veladiano, “La Repubblica”, 13 gennaio 2016