Settembre, settembre. Notte di settembre.
Notte traditrice, che si presenta calda del sole del giorno che ha
memoria dell’estate e porta tanti profumi di erba tagliata e di fiori gravidi,
che basta lasciare uno spiraglio aperto e lei si introduce con dita lunghe e
fredde e leggere ad accarezzarvi contropelo, per un minuscolo brivido di
disagio.
Ma ormai gli occhi vi si chiudono per la stanchezza e non potete
alzarvi a chiudere quella finestra dalla quale entra la solita, malinconica
canzone. E con le note entra il presagio del freddo, delle notti nelle quali
quella brezza leggera diventerà adulta e soffierà e urlerà battendo la strada
deserta, perlustrando balconi e rovesciando ceste e turbinando foglie, e la
paura del fuori diventerà il calore del dentro e darà conforto, sotto le
coperte e con l’odore della legna bruciata dalle stufe nel naso.
Ma quello è un altro tempo. Quello è il novembre delle piogge o il
gennaio delle feste dimenticate, o la coda disperata della belva gelida che non
vuole morire a metà marzo. Ora no.
Ora è settembre, e il profumo vince sul domani e su ogni terrore. E’
settembre, e sembra che la tenerezza della città di mare e cielo e fronde che
stormiscono nell’aria fragile non debba finire mai. Sembra che le anime possano
restare di vetro, e mostrare quello che hanno dentro senza paura.
Sembra. Perché settembre, di notte, ama mischiare il mazzo e dare una
carta da scegliere. Una carta che conosce già.
Addormentatevi tranquilli, allora. E sognate pure.
Perché non sognerete nulla di quello che vi aspettate, mentre le vostre
mani si allungheranno nel sonno a cercare una coperta che vi ripari dal freddo improvviso
che entrerà, a tradimento, dallo spiraglio che avete lasciato, esponendo così
la vostra anima.
La vostra anima di vetro.
Maurizio De Giovanni, Anime
di vetro, Einaudi, Torino 2015, p. 100-101.