Ci vuole il corpo.
Occhi, mani, piedi, ovvio. Poi intelligenza, equilibrio, volontà, buona
volontà, e anche questo è ovvio. Poi la dignità. E qui tocca fermarsi, perché
il lavoro rende liberi è stata bestemmia immonda e pronunciarla è indecente.
Adesso il lavoro è
purchessia. Per poco, per caso, per raccomandazione, comunque arrivi, a ogni
prezzo, a ogni tempo. La vita è altrove.
E giù e giù e giù per
la malebolge dei diritti e della dignità, nelle mani di ruffiani e seduttori,
adulatori e lusingatori, simoniaci, indovini, astrologhi e streghe, barattieri,
ipocriti, ladri, consiglieri di frode, scismatici e seminatori di scandali, e
falsari di metalli, di monete, di persone, di parole. Tutto già stato e già
scritto. Ma non sempre, non in ogni luogo, non per sempre si deve vivere
piegati di rimorsi per quel che permettiamo.
Non c'è libertà che
non sia anche quella dal bisogno e il lavoro lo vogliamo, però adesso che il
lavoro che conosciamo non c'è, possiamo rovesciare il mondo e diventare
esigenti sul lavoro che inventiamo. Più leggero sulla terra, più insieme e meno
contro, più libero, più nostro. Un ricominciare che i giovani amano fare, un
viver di poco, di quel tutto che ci basta. Essere liberi, donne e uomini.
Mariapia
Veladiano, Ma come tu
resisti, vita, p. 73