Quando i giapponesi
riparano un oggetto rotto, valorizzano la crepa riempiendo la spaccatura con
dell’oro. Essi credono che quando qualcosa ha subito una ferita ed ha una
storia, diventa più bello. Questa tecnica è chiamata “Kintsugi.”
Oro al posto della colla.
Metallo pregiato invece di una sostanza adesiva trasparente.
E la differenza è
tutta qui: occultare l’integrità perduta o esaltare la storia della
ricomposizione?
Chi vive in Occidente
fa fatica a fare pace con le crepe. “Spaccatura, frattura, ferita” sono
percepiti come l’effetto meccanicistico di una colpa, perché il pensiero
digitale ci ha addestrati a percorrere sempre e solo una delle biforcazioni: o
è intatto, o è rotto. Se è rotto, è colpa di qualcuno.
Il pensiero analogico
-arcaico, mitico, simbolico- invece, rifiuta le dicotomie e ci riporta alla
compresenza degli opposti, che smettono di essere tali nel continuo osmotico
fluire della vita.
La Vita è integrità e
rottura insieme, perché è ri-composizione costante ed eterna. Rendere belle e
preziose le “persone” che hanno sofferto… questa tecnica si chiama “amore”.
Il dolore è parte
della vita. A volte è una parte grande, e a volte no, ma in entrambi i casi, è
una parte del grande puzzle, della musica profonda, del grande gioco. Il dolore
fa due cose: Ti insegna, ti dice che sei vivo. Poi passa e ti lascia cambiato.
E ti lascia più saggio, a volte. In alcuni casi ti lascia più forte. In
entrambe le circostanze, il dolore lascia il segno, e tutto ciò che di
importante potrà mai accadere nella tua vita lo comporterà in un modo o
nell’altro
I giapponesi che
hanno inventato il Kintsugi l’hanno capito più di sei secoli fa – e ce lo
ricordano sottolineandolo in oro.
Jim Butcher
(giornalista del New York Times)