Lettera
aperta a un alunno del XXI secolo
Sono tantissimi i
nostri errori di educatori e di insegnanti, scusarsi non sarà mai abbastanza.
Pochi di noi si rendono conto del disastro a cui spesso del tutto
inconsapevolmente abbiamo contribuito. Io non ho vergogna ad ammettere gli
errori, le omissioni, le stanchezze, la mancanza di energia; ecco perché ti
chiedo scusa, con la presunzione di parlare a nome di tanti altri.
Ti chiedo scusa,
innanzitutto, per aver accettato passivamente i ricorrenti tagli alla scuola,
senza oppormi con tutte le mie forze e con tutti gli strumenti a mia
disposizione che non fossero uno sterile scioperino del venerdì. Certo quando
c'era uno sciopero aderivo ma quasi sempre in modo isolato e la mia capacità di
coinvolgere i colleghi e le famiglie è stata pressoché nulla; anzi queste
ultime spesso le ho irritate e messe in difficoltà servendomi di quella foglia
di fico che è la libertà sindacale, che mi permetteva di non dichiarare
preventivamente che avrei scioperato: famiglie in grave difficoltà, con il
contributo di dirigenti poco accorti e timorosi, che chiudevano le scuole o
costringevano i genitori ad accompagnarvi, anche se poi non succedeva nulla e
solo io scioperavo. Gli altri colleghi usufruivano solo dell'effetto annuncio,
risparmiando anche sulla trattenuta in busta paga.
Come tacere, poi, del
delitto "pedagogico" che stiamo lasciando compiere quasi in silenzio,
costringendovi a rimanere inchiodati a un banco per sei ore filate, e tutto ciò
per far contenti i vostri genitori, dei quali in ogni altra occasione parliamo
male, e per ottenere per tutti l'agognato sabato libero.
Mi scuso per non
avervi saputo coinvolgere nella costruzione del futuro, nonostante i miei
quotidiani sforzi: ho usato un linguaggio spesso teorico, lontano dalla realtà
contribuendo così a convincervi che la cultura, la conoscenza del passato,
delle astrazioni del pensiero, e spesso anche dei progressi della ricerca
scientifica non servano a nulla.
Ma ho fatto di
peggio: vi ho relegato alla fruizione passiva di dati e di nozioni, finalizzate
al superamento di test, all'ascolto di conclusioni e di ricerche già
confezionate, senza farvi mai sperimentare l'incertezza delle ipotesi e dei
tentativi a vuoto e soprattutto l'operatività, l'uso delle mani, del corpo come
strumenti dell'intelligenza e della creatività. Ho rinunciato ai laboratori
scientifici per accontentarmi di qualche, già obsoleto, strumento informatico.
Vi ho dato un pessimo
esempio ogni volta che mi sono dimostrato vile nei confronti di qualche
dirigente inadeguato o quando ho difeso, per puro spirito corporativo, un
collega incapace.
Con il contributo dei
miei colleghi, che ogni anno sembrano cadere dalle nuvole, come se si trovino
per la prima volta davanti ad un fenomeno nuovo e inaspettato, ho assistito
passivamente alla tua trasformazione da fanciullo avido di conoscenza ad
adolescente amorfo, senza alcun interesse oltre il contingente, per poi
lasciarti giovane uomo, privo di sogni, di combattività, di capacità di
ribellione, a me per primo.
Ma ti chiedo scusa
anche per non essere stato abbastanza severo con te, come tu , abituato ad
averle tutte vinte a casa, inconsciamente mi chiedevi.
Forse, mentre andavo
allineando quotidianamente i miei errori, non tutti i giorni passati insieme
sono stati uguali e segnati da questo velo di impotente rassegnazione, forse in
alcuni è brillata la luce della novità, della scoperta, dell'amore per il
nuovo, per l'imprevisto, per la soluzione divergente, in una parola l'amore per
la vita. La maggior parte delle volte non ho saputo approfittarne,
scusami...
Un insegnante
Tratto da L’isola di Paolo Menallo