Credo che nessuno
di fronte alla scuola non abbia sperimentato, almeno una volta, un certo
disagio, una qualche sottile inquietudine.
E se si ha il coraggio di non zittire quella flebile voce, se la
ascoltiamo e le diamo la forza di affermarsi, allora il piccolo disagio può
trasformarsi in un’inquietudine profonda, in un turbamento più forte, fino al punto da provare una vera e propria
sofferenza.
Ma che cosa stiamo
offrendo loro? Che modelli proponiamo a questi nostri bambini e a questi nostri
ragazzi? Sono davvero capaci di promuovere
- come si dice oggi con tanta enfasi - competenze, autonomia,
apprendimento?
Sono in grado –
questi modelli - di appassionare alla scoperta del mondo, di aprire il varco
per un’esplorazione entusiastica del sapere umano?
E’ la scuola una
scuola di vita e per la vita o è intesa come mero luogo di transito, di
preparazione alla vita, quasi una sorta di limbo dove si deve stare
obbligatoriamente per più di un decennio per poi finalmente inserirsi, essere
riconosciuti come persone a tutti gli effetti?
E’ luogo vitale,
coinvolgente, appassionate, dove si ricerca insieme, dove si lavora e si fatica
volentieri in uno spirito di comunità, per fare esperienze significative, o al
contrario è un posto in cui è chiesto uno sforzo dal significato
incomprensibile, dove si imparano cose il cui valore sfugge?
E ancora. E’ la scuola un luogo dove la persona è
riconosciuta in tutta la sua globalità di corpo e di mente, di emozioni e
ragione, di cuore e intelletto e dove si superano dualismi come quello
cartesiano tra pensiero e materia, o come quello tra soggetto e oggetto? Un luogo dove i verbi dello scrivere,
parlare, ascoltare, leggere si coniugano con quelli dell’esplorare, costruire,
danzare, mimare, sentire, fare, simulare, toccare, manipolare, interpretare e
rappresentare, sperimentare e provare, o invece è lo spazio della
unidimensionalità, della frammentazione, dell’oblio non solo delle emozioni, ma
anche delle proprie disposizioni particolari, uniche, della globalità della persona?
Allora a chi
imputare la demotivazione, l’agitazione, la noia, la passività, l’irrequietezza
che noi costatiamo in questi bambini e questi ragazzi? Lo imputiamo a loro, o
meglio ad una società malata e ad una famiglia che è in crisi, o c’è qualcosa
anche nella scuola che non funziona, un modello che non è rispettoso della loro
dignità, un agire volto più a chiedere conformismo, adattamento, passività,
piuttosto che libertà, creatività, indipendenza, autonomia, ricerca?
Marco Orsi,
A scuola senza zaino, Erickson,
Trento 2006