Ci venne incontro il bibliotecario, che già
sapevamo essere Malachia da Hildesheim. Il suo volto cercava di atteggiarsi a
una espressione di benvenuto, ma non potei trattenermi dal fremere di fronte a
una così singolare fisionomia. La sua figura era alta e, benché estremamente
magra, le sue membra erano grandi e sgraziate. Come procedeva a grandi passi,
avvolto nelle nere vesti dell’ordine, v’era qualcosa di inquietante nel suo
aspetto. Il cappuccio, che venendo di fuori aveva ancora levato, gettava
un’ombra sul pallore del suo volto e conferiva un non so che di doloroso ai
suoi grandi occhi melanconici. Vi erano nella sua fisionomia come le tracce di
molte passioni che la volontà aveva disciplinato ma che sembravano aver fissato
quei lineamenti che ora avevano cessato di animare. Mestizia e severità
predominavano nelle linee del suo volto e i suoi occhi erano così intensi che a
un solo sguardo potevano penetrare il cuore di chi gli parlava, e leggergli i
segreti pensieri, così che difficilmente si poteva tollerare la loro indagine e
si era tentati di non incontrarli una seconda volta.
Umberto Eco,
Il nome della rosa, p. 80-81