“Quando l’uomo fa progetti, Dio ride”, dice un proverbio masai.
Quando le mappe e i sentieri non tornano, mi nasce un senso di frustrazione assolutamente esagerato. Non penso mai che la carta sia sbagliata, è il mondo che è fatto in modo approssimativo.
Mi ci vuole sempre un po’ a convincermi dell’esistenza di una terza ipotesi: sono io che ho sbagliato.
Molti i tronchi caduti, di volta in volta bisogna decidere se aggirarli o scavalcarli. Fanno impressione i giganti nella neve, cadaveri vegetali. La neve: l’avevo trovata ai margini della strada, non sul mio cammino, che si fa più faticoso a ogni passo.
E’ evidente non ce la posso fare. Ma come, proprio alla sorgente dell’Arno devo rinunciare, uno degli obiettivi del mio viaggio? Mi ostino più che altro per dimostrare a me stesso che ce l’ho messa tutta, improvvisamente sembra così importante. Ce ne metto ad accettare la situazione: invece è meglio farlo subito e non pensarci più. Ricordo una volta che risalii umiliato sulla barca dopo una specie di attacco di panico che mi aveva impedito di fare un’immersione con le bombole. Il respiro non ne voleva sapere di calmarsi. Quando mi issai sulla scaletta mi liberai di bombole e zavorra. Mi aiutò il marinaio, che disse: “Certe volte la migliore immersione è quella che si rinuncia a fare”.
Andrea Bocconi, Di buon passo, p. 66-75 passim
