Da una parte
abbiamo le belle parole del programma-contratto: “Scopo essenziale della scuola
non è tanto quello di impartire un complesso determinato di nozioni, quanto di
comunicare al fanciullo la gioia e il gusto di imparare e di fare da sé, perché
ne conservi l’abito oltre i confini della scuola, per tutta la vita”.
Dall’altra abbiamo la realtà di una scuola che invece di essere un servizio
sociale per l’uomo è espressione e strumento di un sistema simile nei fini
ultimi a tutti i sistemi che considerano gli uomini una massa da asservire e
strumentalizzare per fini che gli sono estranei.
Da noi il sistema è fondato
sul principio considerato sacro della proprietà e dell’iniziativa privata, la
quale ha come unica motivazione il profitto e come conseguenza la competizione.
Chi comanda ha modellato la scuola a immagine e somiglianza del sistema: il
profitto lo troviamo sulla pagella espresso in voti.
E tu sai per esperienza
diretta che dove c’è la prova oggettiva dell’esame uguale per tutti non si
tiene conto del punto di partenza di ognuno, dei talenti e degli sforzi
compiuti dall’handicappato.
Mario Lodi, Il
paese sbagliato. Diario di un’esperienza didattica, Einaudi, Torino
1995, pp.18-21.