Capitava
che Adamsberg si concentrasse, che si trasformasse in un avversario compatto e
pericoloso. Raramente, ma in quel caso lo si poteva neutralizzare. Invece
offriva meno presa quando, come succedeva in generale, la sua materia mentale
si spostava a blocchi mobili. E non offriva più alcuna presa quando quello
stato si intensificava fino alla disperazione, come in quel momento, grazie al
dondolio del treno che annientava i nessi di coerenza. Allora sembrava che
Adamsberg si muovesse come un sommozzatore, con il corpo e il pensiero che
ondeggiavano graziosamente senza meta. I suoi occhi assecondavano il movimento,
assumendo l’aspetto di alghe brune, comunicando all’interlocutore una
sensazione di indeterminatezza, di scivolamento o di inesistenza. Accompagnare
Adamsberg fino a quei limiti significava scendere in profondità, fra i pesci
lenti, le melme spesse, le meduse fluttuanti, vedere contorni imprecisi e
colori torbidi. Accompagnarlo troppo a lungo significava rischiare di addormentarsi
in quell’acqua tiepida e affogare. In quei momenti particolarmente acquosi, era
come voler discutere con gli spruzzi del mare, con la schiuma, con le nubi.
Fred Vargas,
Un luogo incerto, Torino 2009, p.
32-33