Essere autonomo
significa darsi da fare di più, proporsi un risultato di successo, fondarlo
sullo stimolo partecipativo e quindi sul sapere come conquista: in una scuola
come permanente laboratorio e permanente innovazione, con un apprendimento per
problemi e non per sola articolazione disciplinare.
A questo scopo, la
scuola deve essere strumento di ascesa sociale per i cittadini e di promozione
del talento di ciascuno. Quindi non solo una “scuola del recupero”, ma anche
una scuola di valorizzazione delle capacità personali e delle eccellenze. Uno
sforzo molto impegnativo che, oltre a interventi di tipo strutturale e di
ridisegno complessivo, richiederà un’azione incisiva dei docenti chiamati a
mettere in atto metodologie didattiche innovative.
Credo che un
obiettivo assai urgente e necessario sia una campagna di investimento
professionale (che brutta parola la “formazione” in servizio) con docenti e
dirigenti, fondata sui temi della revisione della metodologia didattico-disciplinare
con forti elementi di verifica del risultato e della soddisfazione dei
partecipanti, sempre e tempestivamente, cui devono seguire conseguenti misure.
Non aspettiamoci
che la scuola cambi dall’alto, di questi tempi. Cambia se le scuole e i loro “territori”
si muovono. Anche grazie all’autonomia, che – appunto – è creatività.
D’altro canto,
ricordate: ciò che non è espressamente vietato è consentito.
Luigi
Berlinguer, L’autonomia
incompiuta, “Dirigere la scuola”, XXI (2012), n. 4-5-6