A diventare ciechi si
impara duramente. È un apprendistato minuto e quotidiano. Tutt'occhi sono i
bambini. Ditini sfoderati che vedono lontanissimo, perennemente stupiti,
curiosi, arrabbiati anche, di volere andare e toccare quel che è nuovo e vivo.
Capricci che dicono la verità sul bisogno umano di non chiudere gli occhi.
Eppure si impara a
camminare fra ali di ignoto, ignorato. Amnesie rituali e irrituali frutto di un
addestramento tenace che comincia presto.
È il genitore che
attraversa la strada all'opposto del lato in cui lontano, da molto lontano
anche lui, vede il povero.
E forse non sa di
essere stato scritto nel Vangelo.
È il telegiornale che
della miseria fa panino, fra uno scandalo e un gossip. Babele delle immagini in
cui si frullano bene e male e tutto diventa implacabile e normale.
È anche il nostro
bene, curato e ben difeso, con annesso garage sempre più grande, terrazza per
le feste, recinti bene alzati.
E anche questo è
stato scritto:
Gli
idoli degli uomini sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo.
Hanno
bocca e non parlano; hanno occhi e non vedono.
Sia
come loro chi li fabbrica.
Sal
135, 15-16. 18a
Finché l'operazione
diventa perfetta e si finisce con il non vedere nemmeno la nostra aspra,
egoista e solitaria infelicità.
Mariapia
Veladiano, Ma come tu
resisti, vita, p. 83-84