L’idolo – inteso come «simulacro», «feticcio» –
non è la personificazione del dio, e in questo non inganna l’adoratore che è
perfettamente consapevole di trovarsi di fronte non al dio in persona bensì a
un’opera delle proprie mani, un «manufatto» che egli stesso offre al dio come
«immagine visibile» affinché questi acconsenta ad assumerne il volto. Così, chi
adora una statua sa benissimo che il dio non coincide con quell’idolo: in essa
trova il volto accettato dal divino che sta prima di ogni immagine. In questo
senso si può dire che l’esperienza umana del divino precede il volto che quel
divino assume in essa, l’elaborazione umana del divino anticipa il volto
idolatrico e così l’idolo restituisce all’uomo, sotto la forma del volto di un
dio, la sua stessa esperienza del divino. Così quello che emerge a livello di
«simulacro», di oggetto, si rivela autentico anche al livello più profondo (o
più alto) dell’immagine: l’idolo, che sia esso statua o realtà immateriale o
ideologia, non inganna ma fornisce certezze riguardo al divino. Anche quando
appare nel suo aspetto terribile, l’idolo è rassicurante perché identifica il
divino nel volto di un Dio.
Enzo Bianchi,
Lessico della vita interiore, Milano
2004