Tom ristette sulla
soglia, a guardare. La mamma s'era fatta, non grassa, ma pesante, materiale.
Portava una vestaglia di flanella a fiori, ma il colore dei fiori era sbiadito,
così che risultavano solo un poco più chiari del fondo, e la veste le scendeva
fino alle caviglie. I piedi, larghi e nudi, si muovevano tuttavia con agilità,
e senza rumore. I capelli grigi erano raccolti in un misero nodo sulla nuca.
Mostrava nude fino al gomito le forti braccia lentigginose, ma le mani
apparivano bianche, tondette, delicate, come d'una bimba grassoccia. Guardava
nel sole. La sua faccia carnosa, senza esprimere dolcezza, era affabile, e
disciplinata. Gli occhi marroni sembravano aver sperimentato tutte le tragedie,
scalando a grado a grado il dolore fino alla vetta, per spaziare nelle supreme
sfere d'una comprensione e d'una tranquillità sovrumane. Sembrava conoscere,
accettare, gradire la sua posizione: era la cittadella della famiglia, la
roccaforte inespugnabile. E siccome i mali e le paure potevano offendere il
babbo e i bambini solo quand'ella ne avesse ammesso la sussistenza, aveva
adottato il sistema di negarla. E poiché in ogni ricorrenza il babbo e i
bambini guardavano lei per leggerle in volto i segni della gioia, ella s'era
avvezza a crearla fuor da un nonnulla. Ma più balsamica che la gioia era la
calma che palesava. La famiglia sapeva di poter contare sull'imperturbabilità
della mamma. E dall'alta, umile posizione che occupava in casa, ella aveva
derivato dignità, e una nitida, calma bellezza. Dalle loro funzioni risanatrici
le sue mani avevano derivato sicurezza, freschezza ed efficienza. Nelle sue
funzioni di arbitro ella era diventata remota e infallibile come una dea. Si
rendeva conto che se vacillava lei, la famiglia tremava; se lei tentennava o disperava,
la famiglia crollava.
John Steinbeck,
Furore, Bompiani, Milano 1940, p. 44
Titolo originale: The grapes of wrath, Copyright 1939 John
Steinbeck