“Ma se giocano
tutto il giorno quando studiano?” obbietto al mio accompagnatore.
Mi sorride. “Loro
non studiano, imparano.”
“Cioè?”
Per tutta risposta
fa cenno a un ragazzino di fermarsi. “A cosa serve la
milza?” Chiede. “A produrre le piastrine che puliscono il sangue”.
“E il fegato?” Con
voce leggermente affannata ma ferma, guardandomi negli occhi, il ragazzino
prosegue. “È una centralina energetica, un serbatoio di glicogeno detto anche
glucosio, inoltre produce la bile che serve per la digestione, e un sacco di
altre cose…” Poi, sorridendo, torna a giocare.
“Qui da noi in
Kirghisia, i bambini crescono con la consapevolezza che il corpo umano, anche
solo come macchina biologica, è un capolavoro della natura. Lo conoscono e ne
ammirano la perfezione.
Scoprendo che il
corpo umano è un capolavoro, la persona si relaziona a se stessa con lo stesso rispetto
e cautela che si ha per un opera d’arte e di conseguenza tratterà anche i suoi
simili, chiunque essi siano, come dei capolavori”.
“Posso fermarne uno
io di questi “giocatori”?”. Chiedo avvicinandomi a una ragazzina che si sta
sistemando una scarpa. “Do you speak english?” (Parli
inglese?) Le chiedo.
“I speak five languages” (Parlo cinque
lingue ) dice graziosamente e sfugge a un gruppo di altre bambine che
evidentemente la stanno inseguendo.
“Ma
come è possibile?” Chiedo al mio amico Kirghiso.
“Ha frequentato la
Casa delle lingue, dove proiettano in dieci diverse lingue i film che piacciono
ai ragazzi di ogni età.”
Mi accompagna ai
margini del parco, spiegandomi che il meccanismo dell’imparare è permanente e più
rapido di quello collegato allo studio, che, essendo quasi sempre obbligatorio,
non penetra a fondo nella memoria conoscitiva e svanisce rapidamente con il
trascorrere del tempo.
Lo studio impone l’apprendimento
e quindi non nasce da un interesse o da un desiderio, ma da un obbligo.
Le nozioni che si
apprendono con lo studio sono simili a fiori recisi che vengono immessi nel
vaso della memoria e, pur rinnovandosi, le parole prima o poi appassiscono.
Ciò che si impara
invece, nasce dal desiderio di sapere ed è simile a un seme messo nella terra
che poco a poco cresce, fruttifica, vive e si rinnova.
Silvano
Agosti,
Lettere dalla Kirghisia, dalla Seconda lettera