Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber

lunedì 12 marzo 2012

ARRIVO A DONNAFUGATA - Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Trani (2011)

Le carrozze con i servi, i bambini e l'alano Bendicò andarono direttamente al palazzo, ma, come voleva un antichissimo uso, gli altri prima di mettere il piede in casa dovevano assistere a un Te Deum alla Chiesa Madre. Questa era, del resto, a due passi e ci si diresse li in corteo, polverosi ma imponenti i nuovi arrivati, luccicanti ma umili le autorità. Precedeva don Ciccio Ginestra che con il prestigio della divisa faceva far largo ai passanti; seguiva il Principe a braccio della moglie e sembrava un leone sazio e mansueto; dietro, Tancredi con alla sua destra Concetta cui quel procedere verso una chiesa a fianco del cugino produceva un gran turbamento e una dolcissima voglia di piangere; stato d'animo che non era punto alleviato da una forte pressione che il premuroso giovanotto esercitava sul braccio di lei, al solo scopo, ohibò, di farle scansare le buche e le buccie che costellavano la via. Dietro ancora, in disordine, gli altri. I mortaretti sparavano mentre si saliva la scalinata e quando il piccolo corteo entrò in Chiesa, l'organista don Ciccio Tumeo, giunto col fiato grosso ma in tempo, attaccò con passione "Amami, Alfredo."
Il duomo era stipato di gente curiosa, fra le sue tozze colonne di marmo rosso; la famiglia Salina sedette nel coro e durante la breve cerimonia Don Fabrizio si esibì alla folla, stupendo; la Principessa era sul punto di venir meno per il caldo e la stanchezza, e Tancredi col pretesto di cacciar via le mosche sfiorò più d'una volta il capo biondo di Concetta. Tutto era in ordine e dopo il fervorino di monsignor Trottolino tutti s'inchinarono dinanzi all'altare, si avviarono verso la porta e uscirono nella piazza abbrutita dal sole.
Al basso della scalinata le autorità si congedarono e la Principessa che aveva avuto bisbigliate le disposizioni durante la cerimonia, invitò a pranzo per quella stessa sera il Sindaco, l'Arciprete e il Notaio. L'Arciprete era scapolo per professione ed il Notaio per vocazione e cosi la questione delle consorti per essi non poteva porsi; languidamente l'invito al sindaco venne esteso alla di lui moglie: era questa una specie di contadina, bellissima, ma giudicata dal marito stesso, per più d'un verso, impresentabile; nessuno quindi si sorprese quando egli disse che era indisposta; ma grande fu la meraviglia quando aggiunse: "Se le Loro Eccellenze lo permettono verrò con mia figlia, con Angelica, che da un mese non fa che parlare del piacere che avrebbe a esser da loro conosciuta, da grande."  Il consenso, naturalmente venne dato; e don Fabrizio che aveva visto Tumeo sogguardare da dietro le spalle degli altri, gli gridò: "E anche voi, si capisce, don Ciccio, e venite con Teresina." E rivolto agli altri aggiunse: "E dopo pranzo, alle nove e mezza, saremo felici di vedere tutti gli amici."  Donnafugata commentò a lungo queste ultime parole. Il Principe che aveva trovato il paese immutato venne invece trovato molto mutato lui che mai prima avrebbe adoperato parole tanto cordiali; e da quel momento, invisibile, cominciò il declino del suo prestigio.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, p. 77-79
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